Europee, i candidati sociali

Annalisa Corrado (Pd): «Vado a difendere il Green Deal»

Ingegnera meccanica, attivista climatica, è candidata per il Pd alle elezioni europee nella circoscrizione Nord Est. «La chiave ecologista è quella che serve sia per interpretare la realtà in tutte le sue manifestazioni, sia per costruire le soluzioni. L’ecologia è legata a tutti gli altri temi». L'impianto del Green Deal, spiega, va difeso perché «è una chiave strategica fondamentale anche per la competitività del sistema Europa»

di Ilaria Dioguardi

Candidata per il Partito democratico nella circoscrizione Nord Est, Annalisa Corrado conduce la testa di lista, al secondo posto, dopo Stefano Bonaccini. Ingegnera meccanica, ecologista, dal 2014 si dedica all’attivismo per la giustizia climatica. Responsabile delle attività tecniche dell’associazione Kyoto Club, assieme ad Alessandro Gassmann ha ideato il progetto #GreenHeroes, nato per promuovere e valorizzare le esperienze virtuose legate al mondo della sostenibilità. Nella Segreteria nazionale del Pd si occupa di: conversione ecologica, clima, green economy e Agenda 2030.

Corrado, cosa pensa di poter portare in Europa?

La mia scelta di candidarmi è conseguente al fatto di aver accettato di lavorare nella Segreteria nazionale del Partito democratico. Ho iniziato un percorso di lavoro sui temi ecologisti, di impulso rispetto al partito, di acquisizione di una visione più radicale e strutturale intorno ai temi dell’ecologismo. È in Europa che si definiscono le linee, le risorse sui cui un Paese gioca la sua partita nella transizione energetica, nella conversione ecologica, quando la segretaria Elly Schlein mi ha chiesto di candidarmi alle Europee è stato naturale accettare. Anche per dare maggior spessore, ruolo, incisività a quello che sto cercando di dare.

Sono soprattutto i temi vicini all’ecologia, che le stanno più a cuore, che porterà a Bruxelles?

Sì, ma non solo. La chiave ecologista è quella che serve sia per interpretare la realtà in tutte le sue manifestazioni, anche su fronti e temi apparentemente slegati, sia per costruire le soluzioni. Non è un ruolo settoriale, l’ecologia è legata a tutti gli altri temi.

Ci spieghi meglio.

Quando si parla di migrazioni, non si può non pensare alla crisi climatica. Per quanto riguarda la salute, non si può non pensare agli effetti devastanti sull’ecosistema del nostro modello di sviluppo. Quando si parla di lavoro, non si può non pensare alla strategia industriale, che deve derivare dalla transizione energetica. Si tiene tutto insieme. Il mio ruolo sarà quello di tenere alta quest’attenzione, oltre che lavorare su tutto ciò che riguarda il Green Deal, ad esempio.

VITA ha dedicato il numero di maggio alle prossime elezioni europee, individuando cinque temi cruciali, uno di questi è proprio il Green Deal. Quali sono le sue idee in merito?

In generale, l’ambizione del Green Deal è messa abbastanza in discussione. Tutte le destre lo aggrediscono, sembra di tornare indietro. Il Green Deal è una politica attiva per la pace, mentre c’è una destra che dice di “organizzarsi per una economia di guerra”. Si tratta di difendere l’impianto del Green Deal, che è una chiave strategica fondamentale anche per la competitività del sistema Europa. Poi si tratta di costruire meglio gli strumenti che servono per rendere gli obiettivi accessibili alle fasce della popolazione e alle imprese che hanno sofferto di più gli effetti devastanti del modello precedente. Chi è più fragile, in questo momento storico, rischia di vedere il Green Deal come l’ennesimo vincolo, invece dobbiamo costruire le politiche giuste di sostegno perché in serenità venga vissuta come una grandissima opportunità, quale è.


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Corrado, ci sentimmo lo scorso luglio per un’ intervista a VITA in occasione di un monito del presidente Sergio Mattarella, lanciato contro le discussioni sulla fondatezza dei rischi legati al clima. In quell’occasione, lei mi disse che, tra gli interventi che sarebbe più urgente attuare nel nostro Paese, per quanto riguarda l’ambiente, ci sono il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima e il decreto delle Aree idonee. È passato quasi un anno, com’è la situazione?

A livello nazionale, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima è il piano che doveva rispondere agli obiettivi ambientali europei 2030 e che noi avevamo tanto contestato. Siamo vicini al momento in cui, dopo una negoziazione con l’Europa, dovrebbe presentare un piano definitivo. Anche la Commissione europea aveva segnalato tante mancanze nel Piano nazionale integrato. Purtroppo non si è fatto un dibattito, quello che chiedevamo era non solo di migliorare l’ambizione, gli strumenti, una maggiore precisione nella strategia e non solo negli obiettivi. Ma chiedevamo di aprire anche un grande dibattito perché tutto ciò che riguarda la transizione deve essere il più possibile partecipata dai protagonisti della transizione. Non aprire nemmeno un dibattito alle forze parlamentari è un fatto gravissimo, è un tema che riguarda il bene comune, non è un tema di parte. Il nostro giudizio rimane pessimo. E poi tutti gli atti conseguenti a questa strategia sono terribilmente mal scritti, mal fatti e peggiorano la situazione. Uno tra tutti le Aree idonee.

Ci ha detto nella precedente intervista che, il decreto delle Aree idonee «dovrebbe definire dove e come si possono fare impianti tecnologici, di energie rinnovabili e aiuterebbe a snellire il sistema autorizzativo». A che punto è?

La bozza del decreto è in Conferenza Stato Regioni, al momento, si è incagliata e non è assolutamente soddisfacente. Il governo ha centralizzato le autorizzazioni, ma non è riuscito minimamente a definire dove sono le aree in cui le installazioni si possono fare con maggiore velocità, quali sono i criteri per cui le installazioni si devono fare, aumentando un conflitto e le paure delle persone sui territori e il rischio di speculazioni in maniera esponenziale. Fino ad arrivare a un decreto in cui si dice che non si può fare mai il fotovoltaico in agricoltura.

Quindi, la situazione qual è?

Le regioni sono in difficoltà, non sono state scritte regole comprensibili, quindi gli imprenditori sono preoccupati. Si stanno acuendo dei conflitti sul territorio nei confronti di tecnologie che, invece, ci dovrebbero risolvere gli obiettivi europei e contrastare la crisi climatica. Secondo il mio punto di vista, la capacità di gestire la complessità di questo governo è totalmente non pervenuta. È più che altro una prova di forza tra i diversi ministeri, di chi fa di più il gioco del proprio settore. Senza considerare che, o si vince tutti insieme o non vince nessuno, quando si parla di conversione ecologica. E la crisi climatica galoppa. Ci siamo lasciati alle spalle l’autunno più caldo di sempre. L’agricoltura è il primo settore che paga il prezzo della crisi climatica. Mettere contro le esigenze dell’agricoltura le esigenze dell’ecosistema è una follia. Senza suolo sano non c’è agricoltura.

Questa intervista fa parte di una serie sui candidati sociali alle elezioni europee, di cui sono già uscite quelle a Humberto Insolera (Pd), a Rita Bernardini (SuE), a Bruno Molea (FI), a Ugo Biggeri (M5s), a Antonio Mumolo (Pd) e a Luca Jahier (Pd).

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