Cultura

Civil Servant: «io risolvo problemi»

Sono gli uomini che avevano avvertito del pericolo. E che ora sono chiamati al capezzale del sistema per fornire le soluzioni. E per indicare le vie di uscita.

di Francesco Maggio

Mentre cominciano a fioccare le prime pesanti condanne per i responsabili dello scandalo Enron, come nel caso dell?ex direttore finanziario Andrew Fastow che ha accettato di scontare una pena di dieci anni di carcere e di pagare una multa da 23 milioni di dollari offrendo totale collaborazione alle autorità federali statunitensi. Mentre si apre davanti all?Alta Corte di Londra lo storico processo contro la Banca d?Inghilterra sullo scandalo della Bcci (Bank of Credit and Commerce International), istituto lussemburghese particolarmente attivo (nel malaffare) nel Regno Unito, fallito nel luglio 1991 sotto il peso di oltre 10 miliardi di debiti. Mentre la Sec, la Consob americana, procede alla riforma dei mutual fund (un settore da 7mila miliardi di dollari e 100 milioni di risparmiatori) scossi da manipolazioni e frodi varie, proponendo severe regole di comportamento per risanare la governance del settore. Mentre da più parti accade tutto questo, che succede in Italia? Scoppia un bubbone che nemmeno la più fervida fantasia di un esperto di thriller finanziari avrebbe potuto partorire: il crack Parmalat. Diciamolo subito: non è che altrove siano più bravi e più buoni. Proprio quanto accaduto a Collecchio vede prevalentemente imputato il sistema dei controlli anglosassone. Ma finalmente (si fa per dire) viene definitivamente sfatato un assunto che come un disco rotto abbiamo sentito ripetere dopo i vari casi Enron, Worldcom e compagnia bella: che in Europa e in Italia, nefandezze simili non sarebbero mai potute accadere; che gli anticorpi del nostro capitalismo bancocentrico ci rendevano immuni dagli eccessi di ingordigia propri di chi specula in Borsa; che l?impresa familiare è sempre portatrice sana di valori; che le aziende italiane sono tra le più ?dotate? di codici etici. Su quest?ultimo punto, poi, meglio soprassedere. Basti pensare che nell?ultimo consiglio di amministrazione della Parmalat, tenutosi il 14 novembre, era stato deciso di introdurre proprio un codice di comportamento per i dipendenti del gruppo (sic!). QUELLI CHE SI DEFILANO Le cronache di queste settimane sono ricche di dettagliati resoconti circa le trame che il cavalier Calisto, il ragionier Tonna, l?avvocato Zini e una nutrita schiera di adepti ordivano per nascondere ammanchi e intascare quattrini. Altrettanto corpose (e inutili) sono le disamine di chi, sempre pronto a chiudere le stalle dopo che i buoi sono scappati, propone con dubbia autorevolezza e competenza ricette e interventi. In questo mare magnum di parole pronunciate a vanvera, una duplice assenza si è fatta notare: quella delle autocritiche di chi, ricoprendo incarichi di responsabilità, forse avrebbe potuto intervenire tempestivamente per evitare il baratro. Ha ammesso, con rara onestà intellettuale, Giuliano Amato: «Vedo ovunque gente che si defila: non sapevo, non era di mia competenza? Io almeno per gli anni del governo dell?Ulivo, sento di avere delle responsabilità per non aver capito, intuito. Certo meno di chi aveva a disposizione strumenti ben più efficaci. In quegli anni, per esempio, la Banca d?Italia mi ha parlato di cento cose ma non del problema delle emissioni obbligazionarie effettuate da operatori che sfuggivano a ogni verifica del titolo di credito». L?altra assenza di peso che si è fatta notare è stata quella di chi avesse titolo per rivendicare: «Io l?avevo detto». UOMINI RISORSA In realtà, qualche lodevole eccezione, al riguardo, c?è stata. Ed è rappresentata da coloro i quali, a pieno titolo, potremmo far rientrare a pieno titolo nella cosiddetta categoria dei civil servant. Ossia di coloro che costituiscono una risorsa per il Paese, che sanno mettere a disposizione del bene ?pubblico? la propria competenza e il proprio ethos civile e sui quali, per uscire dal tunnel Parmalat, il Paese dovrà necessariamente puntare. Chi sono? Ne abbiamo intervistato alcuni: Marco Vitale, Marco Onado, Guido Roberto Vitale, Donato Masciandaro. La limpidezza delle loro analisi è davvero encomiabile. Ma l?elenco non si esaurisce qui: prosegue, per esempio, con Tommaso Padoa Schioppa, Guido Rossi, Sergio Cusani. Sì, proprio lui, l?ex consulente di Gardini che ha pagato con il carcere le sue responsabilità ma che oggi, oltre ad essere impegnato direttamente nel sociale con la sua Banca della solidarietà, si è conquistato la stima dei magistrati milanesi che, non a caso, l?hanno ?convocato? per provare a capirci meglio dove, verosimilmente, possa essere nascosto il tesoro di Tanzi e company. Senza dimenticare, naturalmente, il ?mastino? Enrico Bondi, al quale molti gruppi italiani probabilmente devono la loro stessa sopravvivenza (Telecom, gruppo Ligresti, gruppo Lucchini), il quale è giunto al capezzale di Collecchio con una determinazione a salvare azienda e posti di lavoro che gli fa onore.


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