Volontariato

Italia: 22,5 milioni di semianalfabeti

Presentata oggi a Roma la ricerca sul fenomeno dell'analfabetismo ''Volare sanz'ali'' realizzata dall'Unla (Unione nazionale lotta all'analfabetismo)

di Redazione

Leggere, scrivere e far di conto: 22 milioni e mezzo di italiani sanno a malapena far questo. Eppure l’Italia ha raggiunto i primi posti tra i Paesi industrializzati. Lo ha fatto sfruttando al meglio l’arte di arrangiarsi, ma ora questo non basta piu’: l’anno scorso nella graduatoria dei paesi che l’Imd (International Institute for Management Development) compila periodicamente sulla competitivita’ economica mondiale, il Belpaese e’ slittato dal 18mo al 23mo posto; serve una piu’ decisa promozione del capitale umano se vuole restare al passo con gli altri. E’ questa, in sintesi, l’analisi che emerge da una ricerca sul fenomeno dell’analfabetismo ”Volare sanz’ali” presentata oggi a Roma. L’indagine, realizzata dal professor Saverio Avveduto, presidente dell’Unla (Unione nazionale lotta all’analfabetismo)-Ucsa (universita’ di Castel Sant’Angelo) e’ stata presentata al centro congresso Frentani per iniziativa dello Spi-Cgil. Pone l’accento, tra l’altro, sugli scarsi investimenti in ricerca (per percentuale di Pil ad essa dedicata l’Italia si piazza al quart’ultimo posto) e sull’esiguo numero di ricercatori (il Belpaese e’ relegato all’ultimo posto). 22 MILIONI E MEZZO DI EVASORI DELLA COSTITUZIONE – A fronte di 3.699.000 italiani che possiedono un dottorato di ricerca, una laurea o una laurea breve, ci sono 22.529.000 di concittadini – 39,2 italiani su 100 – analfabeti, semianalfabeti o in possesso della sola licenza elementare. E’ il Meridione, con oltre il 40% di ‘evasori della Costituzione’, a pagare lo scotto piu’ alto dell’ arretratezza educativa del Paese. La Calabria registra la compresenza del tasso di laureati comparativamente piu’ alto (5,1%) e di quello ben corposo dei semianalfabeti (43,4%) mentre la Basilicata ha un doppio saldo negativo: il piu’ alto numero di semianalfabeti (43,8%) e il piu’ basso patrimonio di laureati della Penisola (4%). Secondo l’indagine gli italiani in regola con la Costituzione (otto anni di scolarita’ obbligatoria, titolo di studio di licenza media) sono 16.677.000 (29%). SI SPENDE POCO PER ISTRUZIONE – Per quanto riguarda le risorse dedicate all’istruzione in rapporto al Prodotto interno lordo (Pil), a fronte di una media Ocse di 5,9% di spesa all’anno, l’Italia si attesta al 4,9% , sull’identico livello della Spagna. Al primo posto si piazzano gli Usa con il 7% e sulla percentuale tra il 5 e il 6 si attestano, fra i maggiori Paesi, la Danimarca (6,7), la Svizzera (6,5), la Svezia (6,5), il Canada (6,4), la Francia (5,6), la Germania (5,3) e il Regno Unito (5,3). Fra i Paesi minori piu’ impegnati nell’investimento educativo vanno segnalati l’Irlanda (6,3%) e la Corea (7,1%). BELPAESE ULTIMO IN CLASSIFICA PER NUMERO RICERCATORI – Considerando la consistenza del capitale umano piu’ sofisticato, i ricercatori, l’Italia si colloca all’ultimo posto della classifica, con un numero di ricercatori per 1000 unita’ di lavoro pari a 2,78. Al primo posto troviamo il Giappone con 9,72 seguito da Finlandia (9,61) e Svezia (9,10) e prima di noi si collocano Portogallo (3,11), Grecia 83,32), Spagna (3,77). La gravita’ della situazione – rileva l’indagine Unla – e’ data non tanto dal sorpasso dei Paesi tradizionalmente piu’ arretrati, quanto dal loro recente slancio nell’acquisizione di personale altamente qualificato, cio’ che – concludono i curatori dello studio – ci fa temere un aggravarsi nel futuro prossimo del nostro quadro se non invertiamo la rotta. POCHI CENTRI ECCELLENTI -Analizzando l’impatto della ricerca scientifica universitaria italiana nel suo complesso, ne nasce una graduatoria che vede al primo posto Milano con oltre 50.000 citazioni, seguita da Roma-Sapienza e Padova con oltre 40.000. Appena 8 presenze si registrano per Macerata, 2 per Foggia e nessuna per Napoli Orientale. Impressionante e’ lo squilibrio della ricerca universitaria nel comparto della matematica: in questo campo, infatti, fatta pari a 100 la qualita’ dell’istituzione al primo post e cioe’ la Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati) di Trieste, il resto delle universita’ italiane si attesta su quota 20. TRA SOLUZIONI ‘MARCHIO ATENEO’ – Alcune delle maggiori universita’ straniere, inglesi e americane soprattutto (Mit, Ucla..) hanno da tempo messo a punto il proprio ‘marchio’, sotto il quale producono sofisticate conoscenze, e lo vendono. Puntare sui centri italiani di eccellenza, sui Politecnici, sulle nostre piu’ prestigiose universita’, sui centri di ricerca piu’ affermati del Cnr – suggerisce l’Unla – ”significherebbe l’utilizzo appropriato di una positiva filosofia aziendale e la valorizzazione altrettanto appropriata delle migliori istituzioni di insegnamento e di ricerca”.


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