Non profit

Che la debolezza sia la nostra forza

Marco Revelli. Nel 1994 si ruppe il sistema basato su Stato-Mercato. Il primo svuotato di potere, il secondo trasformato in macchina distruttiva. Ma...

di Marco Revelli

Millenovecentonovan- taquattro. Annus mirabilis. O annus horribilis? Forse entrambe le cose. A seconda del registro della memoria cui ci affidiamo, il nostro barometro interno volge al bello o alla tempesta.
Se è il registro della politica, prevale senza dubbio il maltempo: il 94 è il fatidico anno della ?discesa in campo?. Quello in cui una formazione fino ad allora sconosciuta, dal nome che ricorda più il campo da pallone che quello ?dell?onore?, gioca e vince. Prendendo in contropiede tutti gli analisti, i politologi, i professionisti della politica, diviene dal nulla partito di maggioranza relativa realizzando l?inimmaginabile: la materializzazione del partito azienda e il passaggio dal conflitto di classe di ieri al conflitto d?interesse di domani. Il 94 è, d?altra parte, l?anno in cui finisce ufficialmente la prima Repubblica, con i suoi indiscussi vizi, ma anche con le sue (spesso ignorate) virtù: un regime democraticamente parlamentare, una sia pur imperfetta forma di rappresentanza sociale. Una discretamente efficace aggregazione degli interessi in organizzazioni di massa (partiti, sindacati, associazioni imprenditoriali) capaci di conflitto e mediazione. Un sistema di welfare spesso clientelare e insidiato dalla logica dello scambio, ma comunque tendenzialmente universalistico, faticosamente conquistato da un mondo del lavoro tardivamente riconosciuto come soggetto centrale della democrazia repubblicana.
Se invece a prevalere è il registro della società o, forse meglio, del sociale, è il ?bello più o meno stabile? a farsi largo. Il 1994 è infatti l?anno in cui il ?fai da te? sociale fa la propria comparsa pubblica, origina un proprio linguaggio, un proprio discorso finalmente emancipato dalla tutela asfissiante e avvolgente della politica politicante, libero da collateralismo e da ruoli ancillari. è l?anno in cui la solidarietà e il principio della cittadinanza attiva si danno proprie strutture organizzate e proprie, come dire?, istituzioni. Invisibile fino ad allora, il reticolo dell?associazionismo volontario, della finanza etica, della cooperazione sociale, del fair trade, dell?informazione, tende a riaffiorare alla superficie. A farsi progetto. A chiedere anche, direttamente o indirettamente, di ?essere raccontato?. Di trovare luoghi e modi per fare racconto di sé, il che significa, in senso proprio, esistere nello spazio pubblico.
C?è senza dubbio un rapporto tra l?alta e la bassa pressione del nostro barometro. Le due serie di eventi appartengono cioè alla stessa perturbazione, al medesimo vortice ciclonico che segna – ormai è evidente – la fine storica (prima di quella cronologica) del XX secolo. Che ci separa dal mondo di ieri e prepara, anche se non ancora con chiarezza, quello di domani. L?emergere di nuove, inedite forme di autorganizzazione del sociale, la costruzione di reti indipendenti di elaborazione della solidarietà orizzontale e la domanda prepotente di ?fare da sé? nella tessitura di nuove relazioni di mutuo aiuto e di cooperazione sono la risposta al naufragio della politica novecentesca. O quantomeno alla decostruzione del suo apparato di intervento nel sociale e di sostituzione ad esso. Il Novecento era vissuto nel dogma (o nell?illusione) della coppia Stato-Mercato come luogo monopolistico di regolazione delle relazioni tra gli uomini. Su quella base aveva fatto piazza pulita di ogni altra logica, di ogni terzietà che si aggiungesse alla vocazione alla Potenza del primo o all?ossessione per l? Utile del secondo, si chiamasse essa gratuità o reciprocità, etica del dono o pratica della solidarietà o spirito cooperativo…
Ora, il rovesciamento del Mercato da luogo delle connessioni utilitaristiche a mega-macchina distruttiva di legami sociali, da una parte, e l?esaurimento della capacità ordinatrice dello Stato (indebolito dalla globalizzazione), lasciano aperto lo spazio per un ritorno (possibile) delle altre forme di elaborazione della socialità, domestiche, relazionali, ?morbide?, restituite a un protagonismo sconosciuto da almeno un secolo. Aprono un cammino incerto, con molte verità parziali e nessuna sicurezza inossidabile, aperto alle prove e agli errori, al gusto e al rischio della sperimentazione. Soprattutto alla verifica del ?possibile?. Ma c?è un altro evento, apparentemente estraneo a tutto ciò, in realtà fortemente connesso con questo ?salto di paradigma? nelle dinamiche sociali e politiche, appartenente a un terzo registro della memoria: quello che fino a ieri avremmo collocato nell?ambito della politica estera o delle relazioni internazionali e che oggi, invece, consapevoli di questa inedita ?internità? dell?intero spazio globale, della formazione di un unico, integrato spazio planetario avente come soggetto protagonista l?intera umanità, non possiamo non considerare alla stregua degli altri due.
Ed è l?evento che si è manifestato proprio il 1° gennaio 1994 in un luogo apparentemente lontano di qui, apparentemente periferico, al confine della selva Lacandona, nel sud-est del Messico, quando poche migliaia di indios solo simbolicamente armati hanno occupato San Cristobal de Las Casas e altre sei città del Chiapas. Quell?evento ha segnato l?inizio di un?altra storia, rispetto non solo a quella di tutte le altre guerriglie sudamericane, ma anche rispetto a tutte le ribellioni in Occidente. Un nuovo inizio che è anche un nuovo paradigma, perché quegli ?insurgentes?, per la prima volta, dichiaravano di escludere dal proprio orizzonte l?obiettivo (affascinante e tossico) della ?conquista del potere? che aveva sedotto e devastato le numerose generazioni rivoluzionarie precedenti, e si davano, come programma qualificante, l??apertura? e la difesa di spazi di autonomia, sociale e culturale. La costruzione di frammenti di spazio pubblico in cui elaborare e consolidare relazioni umane qualitativamente altre rispetto a quelle cui li avevano costretti la violenza esplicita della dominazione e quella implicita del neo-liberismo. “Por todos todo”, dicevano. “Por nosotros nada”. E facendolo segnavano la fine di ogni idea di avanguardia, men che meno armata, e l?inizio di una pratica comunitaria che affidava al potere della parola e alla forza dei legami culturali il loro (e il nostro) destino. Anche quello era un modo per ?uscire dal Novecento?. Dal naufragio della sua politica di potenza. E per ricostruire sulla base di una nuova logica di reciprocità e relazionalità. Là come qui. Con difficoltà e umiltà. Cadendo e rialzandosi. Camminando e raccontando. Anche per merito loro il 1994 può essere considerato annus mirabilis.

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