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Ecco i nuovi Enti non commerciali: chi sono, cosa fanno e il loro reddito

Guida alla legge Onlus 1a scheda art. 1-2-3-4

di Salvatore Pettinato

Da due anni circa interveniamo su svariati aspetti della nuova legge fiscale sul non profit. Abbiamo spesso richiamato l?attenzione sul fatto che il taglio di discussione che alla materia si dava durante la sua fase propositiva era cosa ben distinta da quello che prima o poi si sarebbe imposto come momento tecnico di applicazione concreta della legge. Con l?approvazione del decreto legislativo è arrivato il momento di ?cambiare tono? e di procedere necessariamente a un?analisi applicativa alla quale dedicheremo cinque interventi, nei quali, pur nello sforzo di essere chiari per quanto possibile, si rispetterà l?essenza del provvedimento in commento, che è pur sempre quella di una legge in senso stretto. Per ovvie ragioni di brevità i commenti che seguono presuppongono la lettura a parte del testo di legge, nonché una conoscenza quantomeno di base delle problematiche di fondo in cui la nuova legge si incunea Articolo 1. ll nuovo concetto di ente non commercialeÈ ben noto che il Decreto è distinguibile in due parti, di cui la prima detta le nuove regole di riferimento per gli enti non commerciali in generale e la seconda regola specificatamente le Onlus. Iniziamo, ovviamente, dalla prima parte. L?analisi dell?art. 1 dedicato alla nuova definizione di ente non commerciale ha senso solo se condotta insieme all?art. 6, norma che nel dettare le regole per la perdita della qualifica raggiunta di ente non commerciale esprime in realtà la parte principale della disciplina. Pur dopo tutta l?agitazione sollevata dai lavori e dalle polemiche della recente riforma Zamagni, la definizione formale di enti non commerciali resta quella di ?enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l?esercizio di attività commerciali? (art. 87 del TUIR). Stabilire se un dato ente ha un oggetto principale commerciale ovvero non commerciale, equivale dunque a dare la cittadinanza primaria allo stesso. La qualità di ente non commerciale infatti impone, tra l?altro, un?estensione dell?obbligo contabile con effetti fiscali a tutta l?attività condotta, a tutte le spese fatte, ai proventi in qualsiasi modo ottenuti. Si impone un giudizio di ?principalità? (scusateci per la terribile parola), concetto che nell?accezione teorica non necessariamente coincide con la prevalenza quantitativa e che naturalmente presume che sia determinata con estrema precisione quale nozione di attività commerciale rileva a questi fini. Su tale giudizio di confronto in verità si discute senza sosta né pace da un ventennio. La riforma Zamagni ha tentato di completare il quadro legale specificando che l??oggetto esclusivo o principale dell?ente residente è determinato in base alla legge, all?atto costitutivo o allo statuto se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l?attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall?atto costitutivo o dallo statuto?. Stando alle nuove disposizioni, si potrebbe in prima analisi ritenere che il giudizio di riconoscimento per capire se una certa attività è o non è oggetto principale è basato su fattori puramente qualitativi: se lo svolgimento dell?attività ?essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari? dell?ente non è dato da attività commerciali, l?ente è non commerciale. Nel caso contrario si perverrà alla soluzione opposta. Diciamo, dunque, che in prima battuta la nuova legge appare più rispettosa dei fattori qualitativi a discapito dei confronti di quantità: questi però possono facilmente entrare in gioco allorché si passa ad affrontare il problema della perdita della qualità di ente non commerciale, problema che è invece fortemente legato a confronti quantitativi, forse più ancora di quanto avveniva con la vecchia legislazione. Tale assetto subirà peraltro i correttivi speciali introdotti dalla legge sotto la rubrica di ?Perdita della qualifica di ente non commerciale? i quali restituiscono al fattore quantitativo una importanza decisiva. Un ente con fini statutari non profit che svolga una funzione materiale orientata a quei fini nasce come non commerciale, a meno che l?attività essenziale per raggiungere i fini statutari non sia essa stessa un?attività commerciale. Detta qualifica peraltro può venir meno per effetto dell?operatività di una o più delle cause di decadenza, vere e proprie valvole di difesa del sistema, poste a salvaguardia della qualifica predetta. Quali sono queste cause? Bisogna guardare all?art. 6 della legge Zamagni, dove è innanzitutto stabilito che, ?indipendentemente dalle previsioni statutarie, l?ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d?imposta?. Le previsioni statutarie sono quindi considerate ?inferiori? di rilevanza all?eventualità che attività oggettivamente commerciali siano non principali ma anche solo prevalenti rispetto alle attività istituzionali. Prende così corpo una valutazione quantitativamente complessa che andrà svolta in base a vari elementi di giudizio (es. destinazione di risorse, occupazione prevalente etc.). Detto criterio peraltro non si applica, per espressa eccezione, agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili. Oltre all?elemento di decadenza ?principe?, la legge attesta che si tiene conto anche di alcuni parametri: detti parametri sono posti come fatti indice di commerciabilità, e deve ritenersi che concorrano a un giudizio complessivo senza essere automaticamente decisivi per sé. I parametri sono: a) la prevalenza delle immobilizzazioni relative all?attività commerciale ; b) la prevalenza dei ricavi dell?attività commerciale sul valore corrente degli interventi istituzionali, cioè, l?ente dovrà valutare quanto vale sul mercato assistere i malati o prevenire la violenza sui fanciulli, e controbilanciare con detta valutazione l?entità dei ricavi; c) la prevalenza dei redditi netti commerciali rispetto alle entrate globali (contributi, sovvenzioni, liberalità, quote associative); d) prevalenza delle spese (componenti dette ?negative?) dell?attività commerciale rispetto alle restanti spese. Appare chiaro che, qualificata come commerciale una qualunque attività di servizio o vendita, se non si ?entra? nelle cause soggettive di agevolazione (volontariato, Onlus, enti associativi), diventa molto facile transitare tra gli enti commerciali pur restando enti non profit: tra l?ineffabilità del concetto di oggetto principale e la rigidità delle cause di perdita della qualifica, il rischio appare senz?altro molto alto. Il mutamento di qualifica obbliga l?ente ad includere nell?inventario delle attività commerciale tutti i suoi beni, entro sessanta giorni. Articolo 2. Occasionali raccolte pubbliche di fondi e contributi per lo svolgimento convenzionato di attività Si tratta di due nuove norme applicabili a tutti gli E.N.C. La seconda è di immediata intuizione. La prima invece stabilisce che non dovranno concorrere, in ogni caso, alla formazione del reddito complessivo degli enti non commerciali, in primo luogo, i fondi pervenuti ai predetti enti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione. Secondo quanto indicato nella relazione di accompagnamento, la finalità della disposizione è quella di ?incentivare una delle forme di finanziamento più cospicue per gli enti non lucrativi?. Queste attività saranno caratterizzate da un regime di particolare favore legislativo: oltre alla sopra richiamata agevolazione da ogni altro tributo. Per usufruire del particolare regime di favore indicato, il decreto pone, tuttavia, un vincolo, disponendo che queste attività debbano essere svolte in via occasionale; in proposito, viene demandato ad un apposito regolamento il compito di specificare le circostanze ed i limiti sulla base dei quali l?attività in parola possa essere considerata occasionale e sia, quindi legittimata ad usufruire dei benefici. L?art. 8 del decreto impone a tutti gli enti che effettuano raccolte pubbliche di fondi di redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell?esercizio, uno specifico rendiconto, dal quale devono risultare, anche tramite un?apposita relazione illustrativa, in modo ?chiaro e trasparente?, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione. Il documento va redatto indipendentemente dalla sussistenza dell?obbligo di predisporre il rendiconto annuale e finanziario di cui all?art. 5. Articolo 3. Determinazione dei redditi e contabilità separataÈ stato previsto l?obbligo, in via generale, per tutti gli enti non commerciali che esercitano attività commerciale, di tenere una contabilità separata. Non sarà più consentito, in sostanza, tenere una contabilità unica e comprensiva sia dei fatti commerciali che di quelli istituzionali, è evidente la ratio della disposizione cogente, dettata dall?esigenza che la contabilità commerciale degli enti non commerciali sia il più possibile trasparente e precisa, e che sia evitata ogni commissione con l?attività istituzionale. L?intento è, quindi, quello di imporre agli enti non commerciali l?obbligo di gestire l?attività commerciale con la maggiore chiarezza possibile. Il decreto precede, inoltre, che la quantificazione delle spese e degli altri componenti negativi relativi a beni utilizzati promiscuamente per l?esercizio dell?attività commerciale e per altre attività sia effettuata secondo il criterio attualmente utilizzato dagli enti che gestiscono l?attività commerciale senza contabilità separata. Il limite di deducibilità di tali oneri sarà determinato nella percentuale corrispondente al rapporto tra l?ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d?impresa e l?ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Per gli immobili utilizzati promiscuamente sarà deducibile la rendita catastale o il canone di locazione anche finanziaria per la parte corrispondente al predetto rapporto. L?obbligo della contabilità separata non si applica agli enti soggetti alle disposizioni in materia di contabilità pubblica. Articolo 4. Regime forfettario di determinazione del reddito Una delle più importanti novità è data dall?introduzione di un regime forfettario di determinazione del reddito per gli enti non commerciali in contabilità semplificata, applicabile dietro esercizio di apposita opzione. Per questi soggetti il reddito d?impresa verrà determinato applicando all?ammontare dei ricavi conseguiti nell?esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività corrispondente alla classe di appartenenza, secondo la seguente tabella: a) attività di prestazioni di servizi: 1) fino a lire 30.000.001 a lire 360.000.000, coefficiente 25 per cento; b) altre attività: 1) fino a lire 50.000.000, coefficiente 10 per cento; 2) da lire 50.000.000 a lire 1.000.000.000, coefficiente 15 per cento. All?importo così determinato dovranno, poi, essere aggiunti determinati componenti positivi di reddito (plusvalenze, sopravvenienze attive, dividendi e interessi, proventi immobiliari). Per gli enti che costituiscono contemporaneamente prestazioni di servizi ed altre attività, il coefficiente sopra indicato dovrà essere determinato con riferimento all?ammontare dei ricavi relativi all?attività prevalente: in mancanza della distinta annotazione dei ricavi verrà considerata prevalente l?attività di prestazione di servizi. In sede di ultimazione del decreto è stato opportunamente precisato che questo regime non si sovrappone, ma lascia salvi gli effetti, sia in termini di determinazione del reddito che di obblighi contabili, del regime disciplinato per le associazioni senza scopo di lucro dalla L. 398/91.

a cura dello Studio Pettinato-Buscaroli


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