Famiglia

Vita, si stampi!

Eravamo un gruppo di giornalisti con la voglia di fare qualcosa di diverso. Girammo l’Italia con un quartino a presentare il nostro progetto.

di Riccardo Bonacina

Il primo numero di Vita fu un indimenticato quartino, formato A4, mirabilmente disegnato da Gavino Sanna, con cui il sottoscritto e un piccolo gruppo di giovani giornalisti coraggiosi e dalla faccia tosta, nell?estate del 94 giravamo per dibattiti e convegni di associazioni per raccogliere fondi e abbonamenti a quella che era poco più di un?idea: il progetto di un settimanale ?diverso? e una data per il debutto in edicola, il 27 ottobre 1994. Eravamo reduci da una trasmissione televisiva quotidiana su Raidue (Il Coraggio di vivere) che per la prima volta in televisione aveva dato visibilità e rappresentazione alle realtà associative del volontariato italiano, che i vertici aziendali, dopo 4 anni di successi, volevano dissolvere nel solito, stupido, contenitore pomeridiano (contenitore tutt?ora in onda condotto da Cucuzza). Decidemmo che valeva la pena provare un?altra avventura professionale piuttosto che ridurre il nostro lavoro alla confezione di una paginetta sociale tra l?intervista alla velina di turno, le chiacchiere sui Savoia e la presentazione del disgraziatissimo ?caso umano? di giornata. Decidemmo che l?idea, di cui spesso si era parlato nei corridoi della Rai prima delle dirette con i rappresentanti delle associazioni, quella di metter su un settimanale che raccogliesse le istanze della società civile organizzata italiana, era un?impresa che meritava di essere tentata. Quel quartino con cui giravamo nell?estate 94 iniziava così: “Può un giornale nascere non per l?iniziativa di gruppi forti in cerca di consenso e di voti? Può oggi uno strumento di comunicazione, uno spazio d?informazione e di dibattito nascere dal basso, da un?esigenza diffusa nella società civile?”. Ovvio, la nostra risposta stava tutta nella nostra convinzione temeraria che un siffatto giornale non solo poteva nascere, ma poteva anche vivere; ma davvero la domanda era del tutto aperta, del rischio tutti noi eravamo coscienti. Avevamo però una convinzione: che i milioni di uomini e donne che producevano reddito sociale in questo Paese, dovevano avere voce, dovevano contare di più, dovevano avere uno spazio loro e perciò anche di tutti, uno spazio cioè non separato, clandestino, ma pienamente dentro, pur nella sua diversità giornalistica e imprenditoriale, il mercato della moderna comunicazione di massa. Infatti, scrivevamo sempre su quel quartino del 1994: “Vita, si chiamerà così il nostro giornale, una parola sola senza articoli né aggettivi, la parola prima, il sostantivo essenziale da cui bisogna sempre ripartire se non si vuole soccombere alle astrazioni con cui si vorrebbe catalogare, imbrigliare le nostre azioni, i nostri ragionamenti e anche i nostri sentimenti. Vita è anche il nome del nostro obiettivo: fare irrompere nel dibattito politico e sociale i problemi, le ragioni e le speranze del nostro vivere concreto e quotidiano”. Il settimanale che non c?era In un decennio, che per quanto riguarda la comunicazione e le sue regole è racchiuso tra il tentativo, poi fallito, di abrogare la legge Mammì e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto Gasparri, Vita ha il merito di non aver perso tempo a discutere se erano meglio uno, due o tre padroni, per raccontare incessantemente la vita di migliaia e migliaia di persone impegnate nella costruzione di un mondo più giusto e plurale, in Italia e ovunque. In un decennio che, per la vita politica, è racchiuso tra i veleni finali della tangentopoli politica e quelli incipienti della tangentopoli bancaria e industriale, Vita ha raccontato le imprese e le opere di una moltitudine che ha perseguito il profitto per tutti e non per sé. Perciò la copertina che inaugura il nostro decimo anno è una copertina fatta di nomi, nomi propri di uomini e di donne che hanno messo in gioco se stessi e la propria vita nel tentativo di rispondere ai bisogni propri e del prossimo. Nomi propri di chi prova ad amare la realtà e il suo tempo, nomi che in questi dieci anni hanno scritto una storia del tutto diversa da quell?altra moltitudine, troppo spesso nascosta dietro sigle neo latine o anglo-americane, che il mondo vorrebbe riordinarlo e rifarlo nella misura dei propri interessi. Un racconto scritto da persone Il nostro tentativo editoriale, che oggi si affaccia a un traguardo davvero insperato nel 1994, è stato reso possibile non solo dall?incoscienza, dalle speranze e dai sacrifici di chi ci ha lavorato, ma soprattutto dalla fiducia con cui tanti amici e lettori ci hanno accompagnato. Quando andammo in edicola il 27 ottobre 1994 contavamo sull?appoggio di una quindicina di associazioni e sull?abbonamento al buio di mille persone, ma già dopo pochi numeri i nostri lettori erano più di 5mila. Passo dopo passo, anno dopo anno, siamo cresciuti sino a raggiungere gli 80mila lettori di oggi. E i gruppi e coordinamenti di associazioni che si sono riunite nel nostro Comitato editoriale sono oggi quasi 60 in rappresentanza di oltre 5mila realtà del non profit italiano. In questi dieci anni il mondo che raccontiamo è cresciuto in dimensioni e coscienza. Nell?agosto 2001 l?Istat ha quantificato così il peso delle istituzioni non profit: sono 221.412 con quasi 630mila lavoratori (532mila lavoratori dipendenti, 80mila co.co.co. e 17.500 distaccati da altre imprese o istituzioni) e un fatturato complessivo di oltre 38 miliardi di euro. Dati che equivalgono a un peso sul Pil nazionale dell?1,6% e a una fetta dell?15,1% dell?occupazione nei servizi di pubblica utilità. Un pezzo sostanziale di Italia, che oggi ha ben chiaro il ruolo che è chiamato a giocare nella riforma del Welfare, nel rilanciare il tessuto democratico e di partecipazione del Paese, nel riaffermare l?idea e la pratica del ?bene comune?, nel difendere l?autonomia dei corpi sociali intermedi. Un pezzo d?Italia che ormai da qualche anno ha portato la sua sfida anche sul terreno dei comportamenti, degli stili di vita e della cultura. Chi fa questo giornale, e tutte le altre attività al magazine connesse (dal sito all?équipe di consulenti) arriva al traguardo dei dieci anni con una convinzione. Siamo convinti che oggi la nostra originale scommessa sia più necessaria che mai, non solo perché la crescita del Terzo settore deve continuare a essere accompagnata da uno strumento di informazione, di cultura e di opinione indipendente che sa rappresentare il mondo della solidarietà dall?interno parlando e interessando tutti, ma anche perché sempre più giovani di questo Paese guardano al non profit come a un settore in cui è possibile, come dice il presidente Ciampi, “fare del bene agli altri facendo del bene a se stessi” e in cui è possibile coniugare lavoro e senso del lavoro.


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