Sovraindebitamento

Ammalarsi di debito

Viviamo in una società che ci chiede di essere persone super performanti e sempre con il denaro in tasca. Ci spinge sempre più verso il credito al consumo e ci fa spendere denaro che non abbiamo. Il risultato è che sempre più persone sono sovraindebitate. Quali sono le conseguenze sociali di questa situazione? VITA lo ha chiesto a Michela Di Trani, portavoce della Consulta nazionale antiusura San Giovanni Paolo II e autrice, insieme al sociologo Maurizio Fiasco, del libro “Liberi dal debito”

di Rossana Certini

Il debito è un’ipoteca sulla vita della persona. Una macchia sociale. Chi è sovraindebitato non ne parla facilmente, prova vergogna. Invece chiedere aiuto è fondamentale per arrivare a trovare una soluzione legale per uscire dalle difficoltà economiche. «Il primo passo è perdonare se stessi», spiega Michela Di Trani, portavoce della Consulta nazionale antiusura San Giovanni Paolo II e autrice, insieme a Maurizio Fiasco, consulente delle Fondazioni antiusura, del libro Liberi dal debito edito da Città nuova. Poco più di 140 pagine che offrono al lettore una guida per comprendere la situazione attuale e il lavoro delle trentaquattro Fondazioni antiusura che forniscono strumenti di accompagnamento e garanzie alle persone sovraindebitate.

«Abbiamo voluto fare una fotografia dello stato attuale descrivendo non solo il debito come qualcosa di privato ma anche come un problema pubblico, perché se buona parte della popolazione è indebitata come si può pensare a una ripresa economica del nostro paese?», spiega Di Trani, «il nostro vuole essere un messaggio di incoraggiamento per chi vive in questa situazione. Nel libro spieghiamo che esistono dei percorsi di uscita. Sono in salita ma se si chiede aiuto si può essere accompagnati fuori dal sovraindebitamento».

Di debito ci si ammala

La parola debito è sempre più di uso comune e forse questo è il motivo per cui si pensa che il suo significato sia intuitivo e chiaro per tutti. Nei fatti, invece, se parliamo di debito nessuno è veramente consapevole di cosa questo vocabolo è capace di attivare in termini di pensieri ossessivi, riflessioni psicologiche e comportamenti impulsivi che vanno oltre la sfera logica e razionale. Il debito investe la persona nel privato, nel sociale e negli aspetti emotivi. Di debito ci si ammala.

«La nostra società ci chiede di essere persone super performanti, sempre con il denaro in tasca», prosegue Di Trani, «la forte spinta verso il credito al consumo ci fa spendere denaro che non abbiamo. Stiamo smantellando la storica propensione al risparmio degli italiani. Quella attitudine che ha permesso la ricostruzione del nostro paese dopo la guerra quando le famiglie italiane consumavano solo una parte del capitale che guadagnavano. Oggi questi principi sono stati sovvertiti. A questo si aggiunge il fatto che l’educazione finanziaria non è prevista in nessuna fase della crescita delle persone. Per iniziare a risolvere il problema del sovaindebitamento è necessario che sia chiaro a tutti che il denaro che si prende in prestito non è nostro. Un giorno dobbiamo restituirlo con del denaro nostro. Se io oggi non ho soldi devo chiedermi se ne avrò domani per restituire il mio debito prima di chiedere un prestito».

Il denaro si è dematerializzato


Un concetto che appare semplice ma che non è chiaro a nessuno. Solo vent’anni fa, per fare un esempio, i genitori davano ai figli che uscivano con gli amici la così detta “paghetta” che permetteva ai ragazzi di toccare i soldi, ricevere qualche raccomandazione su come spenderli e vedere fisicamente il numero di banconote spese. Invece oggi, come spiega Michela Di Trani: «non è più così. I ragazzi hanno in mano una scheda prepagata che i genitori ricaricano. Il denaro si è dematerializzato e con esso anche la capacità di valutare quanti soldi si spendono. Non c’è più un rapporto fisico tra la persona e il denaro».

Il rapporto con il denaro è qualcosa di molto complesso che ogni persona costruisce attraverso le proprie esperienze di vita e non sempre è sereno e lineare.

La storia di chi dal debito ne è uscito

«Mi viene in mente un ragazzo vittima d’usura che ho incontrato», prosegue Di Trani, «era riuscito ad acquistare a un prezzo sotto il valore di mercato la licenza per una tabaccheria. Ma presto scopre, a sue spese, che i venditori erano persone poco raccomandabili che iniziano a chiedergli “il pizzo”. Per fortuna trova il coraggio di denunciare e grazie alla normativa e alle Fondazioni antiusura è stato aiutato a uscire da questa situazione e ad aprire un’altra attività economica. Ora ha una vita abbastanza normale. Ma quando era nella morsa dei debiti aveva perso la lucidità. Chiedeva denaro a chiunque potesse darglielo senza pensare a come avrebbe potuto restituirlo. Ora che è uscito dalla spirale del debito anche una bolletta di qualche euro più alta di quello che preventivava lo mette in uno stato di ansia con forti attacchi di panico. Una situazione emotiva irrazionale che però dimostra come il rapporto con il denaro non è scontato e sereno e per questo è importante educarci al suo uso».

La nostra società assegna un giudizio di valore alle persone indebitate pregiudicando tutte le relazioni sociali. «Se non hai soldi non sei nessuno», prosegue Di Trani, «a maggior ragione se finisci nelle grinfie di un usuraio. La persona viene emarginata socialmente. Il nostro invito è a non chiudersi in se stessa. A chiedere aiuto alle Fondazioni antiusura che avviano un percorso di accompagnamento verso l’esdebitamento a tutto campo: finanziario, economico, legale e psicologico. L’obiettivo è quello di creare tutte le condizioni necessarie affinché le persone in stato di bisogno possano avere davanti un’alternativa più dignitosa, umana e legale del prestito usuraio».

Le Fondazioni sono molto concentrate nell’attività di prevenzione cercando di attivare incontri di educazione finanziarie con le scuole, le famiglie e tutte le realtà interessate. La prevenzione è importante perché, conclude Di Trani, «le persone indebitate che arrivano in Fondazione sono psicologicamente a pezzi. Alcune hanno tentato il suicidio. La Fondazione attiva le procedure per accedere al fondo di prevenzione che garantisce nei confronti degli istituti di credito i soggetti così detti non bancabili così da evitare che queste persone possano cadere nella trappola dell’usura. La strada è faticosa e dolorosa. Ma è importante capire che uscire da questa situazione è possibile».

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