Volontariato

Ecco il mio problema

Per le vie di Milano cercando i disperati che bussano ai Centri Caritas. Come il curdo Salem: "Fuggo dalla morte ma qui mi sembra di morire un po’ ogni giorno".

di Cristina Giudici

Ormai i giornali sembrano disposti a parlare di immigrati solo quando i gommoni provenienti dall?Albania arrivano sulle coste italiane semi vuoti. Eppure dalla Puglia a Trieste, dalla Calabria a Milano l?emergenza immigrazione non è solo questo. A Milano ogni mattina decine di latino americani appena arrivati bussano alle porte dei centri di accoglienza Caritas. Lo fanno per sottrarsi al racket dei subaffitti oppure per chiedere, invano, asilo politico. Siamo di fronte a un?emergenza silenziosa che si nota salendo sui tram di notte, quando cambia radicalmente il colore dei passeggeri, oppure passando in piazza Duomo dove, a turno, settemila peruviani clandestini si trovano per scambiarsi comunicazioni di servizio di ordinaria sopravvivenza: i lavoretti in nero, la merce rubata da piazzare, i letti da affittare per la notte. Milano, così discreta e distratta che non si rende conto, non vede e non sa. Bisogna andarli a cercare, i clandestini, per capire che ci sono, arrivano ogni giorno, sempre più numerosi e sempre affamati. Bisogna cercarli nelle case di accoglienza, nei centri Caritas, negli appartamenti di via Porpora e di viale Monza dove si dorme per terra a 10 mila lire a notte, oppure nelle case dove vivono anziani o malati, unica fonte di impiego per gli stranieri. Pochi ce la fanno ad avere un permesso di soggiorno, un impiego fisso; a pagare il debito con le ?agenzie? che li hanno parcheggiati qui, a Milano, meta finale della?rotta degli Inca ?, come viene chiamato il percorso che porta i clandestini dai Paesi dell?America Latina. Quasi nessuno torna a casa meno povero di come è arrivato, ma molti si perdono, dimenticano le ragioni che li hanno spinti in terra straniera, non riescono più a tornare indietro; le loro famiglie si frantumano nell?attesa e i racket degli stranieri incassano. Milano non li vede, e noi siamo andati a cercarli. «Ai miei fratelli che stanno arrivando dall?Irak, dico: meglio morire a casa nostra che in Italia. Sì, perché qui a Milano ogni giorno io muoio tante volte nello stesso giorno». Salem, nome inventato per ragioni di sicurezza, viene da un villaggio ai confini del Kurdistan iracheno che non ha voglia di ricordare, ed è l?unico rifugiato politico curdo iracheno a Milano. Da quando è arrivato, un mese fa, si sente in trappola. Di giorno cammina nelle strade intorno a piazza Lima, facendo passare il tempo, per combattere la paura e la solitudine e parla da solo per non impazzire; di notte torna a dormire in un appartamento della Caritas dove gli obiettori hanno riempito di puntine colorate la mappa geografica per ricordarsi da quale parte del mondo sono spuntati gli ospiti stranieri che affollano il loro centro. Il viaggio di Salem è costato 35 milioni di lire, finite nelle tasche di un intermediario turco. Quando è sbarcato nell?aeroporto di Stoccolma, dopo uno scalo a Milano, ha alzato le mani e ha gridato: «Sono un rifugiato politico curdo, la mia vita è in pericolo!». Sono bastati 20 minuti per convincere i poliziotti svedesi che stava raccontando la verità. Salem infatti è membro del Pkk, il Partito Unico del Kurdistan, ed è reduce della guerra Iran-Irak, dove ha perso un fratello. Proprietario di una falegnameria e leader ormai bruciato dell?opposizione, sognava di raggiungere un pezzo di famiglia già rifugiata in Svezia: invece è stato obbligato dalle norme europee a chiedere rifugio all?Italia perché Milano è stata la prima città europea in cui ha toccato il suolo. «Non dovete credete alle bugie sui curdi, quelli che stanno arrivando con le navi non vengono per fame, né per rimanere in Italia: arrivano per sfuggire alla morte e alla persecuzione e andare in Germania, dove il rifugiato politico viene trattato come tale» Salem ha 33 anni, una moglie, tre figli e una guerra da combattere. Non può andare avanti né tornare indietro. Soffre per se stesso e per i suoi fratelli; per la guerra civile scatenata in seno al suo popolo dalla scacchiera politica internazionale, che ha diviso il Kurdistan in tre nazioni e il popolo curdo in mille fazioni, e soffre perché lui non vuole essere un anonimo immigrato inghiottito da una città inospitale, ma desidera solo essere un uomo libero. «Milano è brutta», chiede con tono appassionato, «qui nessuno ti aiuta, qui nessuno capisce i problemi di noi curdi. Mi volete spiegare perché per gli americani e per gli occidentali se prendiamo le armi in Irak siamo dei poverini perché c?è il dittatore cattivo che si chiama Saddam, mentre se invece prendiamo le armi in Turchia siamo terroristi perché lì c?è una dittatura buona?». Salem è solo un volto di un?emergenza immigrazione più silenziosa, ma non meno tragica. Ma a Milano c?è anche un?altra emergenza: quella della fame; che ha più volti e più nazioni, ma segue le stesse rotte e spesso lo stesso destino: come quello di morire annegati e ignoti. La Segreteria degli esteri della Caritas ogni giorno apre le porte a dieci-venti ecuadoriane. Arrivano dalla Slovenia, via Amsterdam, dove vengono caricate su dei Tir per essere scaricate qualche giorno dopo alle porte di Milano. Come Rosa, che ha perso il sonno perché gli interessi del suo debito di otto milioni sono altissimi e quando è arrivata, un mese fa, ha dovuto dormire per una settimana in una cabina telefonica nei pressi della Stazione Centrale. Poi si è recata in via Porpora, in quella casa dove affittano una branda per 2500 lire a notte. O come Imelda,che in Ecuador ha lasciato due bambini e un marito e ha pagato 8 milioni al racket della ?rotta degli Inca?, nella speranza di potersi costruire una casa tutta sua al ritorno a casa: «Qui lavoriamo assistendo un anziano e viviamo nel terrore dell?espulsione. Mi auguro solo che i vostri nonni che oggi ci danno da mangiare vivano a lungo», ride amara Imelda. «Ora dormo dalle suore e spero che la nuova legge faccia una sanatoria anche per me. La farà, vero? In Ecuador mi hanno raccontato un sacco di bugie. Milano non è così bella come si racconta e poi è grande, troppo grande». I flussi della nuova ondata di immigrati non sono diversi da quelli precedenti: stesse regole di sopravvivenza, stessa disperazione, stesse speranze tradite. L?emergenza immigrazione continua e alla Caritas milanese di via Copernico i volontari contano le nazioni che hanno bussato alle loro porte (117), raccontano allegramente dei bambini stranieri che hanno fatto nascere in dieci anni (4000) e si chiedono se il governo dell?Ecuador si sia reso conto che il Paese andino si sta svuotando.


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