Cultura

Noi, eroi per caso

C’è l’imprenditore che costruisce pozzi in Africa, il chirurgo che opera in Rwanda, il pediatra che libera ostaggi in Bosnia.Ecco il volontariato che nessuna statistica potrà mai spiegare

di Alessandro Sortino

Forse qualcuno riuscirà un giorno a contare davvero i volontari. Infilarli in un elenco, può dare già l?impressione del controllo. Ma riuscirà qualcuno a conoscerli? Non la mamma che guarda in Tv i servizi sulla denutrizione e dice al figlio obeso di mangiare proprio tutta la pappa, «perché c?è gente che muore di fame». O il borghese che rampogna i pendolari sulla metro. Né il politico nella cui bocca la parola ?volontariato? si gonfia. Loro conoscono immaginette di volontari, da francobbollare sulla vergogna, affinché non appaia. Ma i volontari, riguardo a se stessi, sono iconoclasti. L?immagine che amano è quella dei frutti. Raccogliamo queste immagini dalle storie che ha pubblicato Vita in questi anni. I frutti del lavori di Alpidio Balbo, per esempio, sono più di duecentocinquanta pozzi d?acqua costruiti nel nord del Benin (nell?Africa subsahariana), una decina di scuole professionali, 1.300 adozioni a distanza. Alpidio faceva l?imprenditore. Andò in Africa per una vacanza extra lux. Capitò in una missione e vide sei bambini morire. La volta dopo tornò con uno scatolone pieno di medicine e vide due bambini salvarsi. Capì che salvare la vita di un bambino era una cosa tanto grande, quanto facile: bastava farlo. Chi abita sulla sponda del dire, all?ombra dei sensi di colpa, fa fatica a capirlo. Così come non tutti compresero il gesto di Mario Andolina, un pediatra volontario, che durante il conflitto serbo bosniaco si improvvisò mediatore. Riuscì laddove l?Onu aveva fallito, e fece liberare due ostaggi, prendendo contatto coi militari serbi. L?amico degli assassini lo chiamarono. «Se il diavolo avesse dei bambini, andrei a casa sua a cena», rispose lui, «a patto che me li lasci visitare». Ecco la caratteristica numero due: il volontario non si lascia mettere in fuga dalle bandiere. Perché non teme il vento che cambia. E poi il volontario si diverte: Gino Strada, ad esempio, il medico chirurgo fondatore di Emergency. Trasecola quando qualcuno lo dipinge come un eroe, o un santo: lui è un chirurgo, e per un chirurgo il lavoro è dove qualcuno rischia la vita. In Rwanda fu il primo ad arrivare e a operare i bambini dilaniati dalle mine. «Ma non è una scelta che ho fatto per gli altri, va sostenendo, è una scelta che ho fatto per me». «Perché mi dici buono?», rispose persino Gesù Cristo a un suo adulatore. «Solo Dio è buono». Dunque il volontario non è ?buono?. E il ?male?, per lui, non è esattamente il contrario del ?bene?, ma ciò che gli assomiglia di più senza esserlo. Le favelas erano considerate ?male?, perché all?opposto dell?immagine ?bene? di una città ordinata e serena. Eppure il problema favelas, cominciò a trovare soluzione grazie a una coppia di volontari italiani dell?Avsi: Anna e Livio Michelini, 47 anni, sei figli di cui due adottati. Nel 1985 si trasferirono in Brasile. Mentre in tutto il mondo si pubblicavano studi su come smantellare le favelas loro cominciarono a lavorare perché le favelas diventassero un posto dove era possibile vivere. Ci riuscirono, e oggi il loro intervento è preso a modello in tutto il Paese. La città ideale, quella in cui le favelas non trovano posto, è un sogno violento. Servono muri per chiudere chi non rispetta quel sogno. Servono volontari per abbattere quei muri. I volontari non sognano una città ideale, loro svegliano quei cittadini che si sentono buoni. «Ciò che è stato conosciuto ha cessato di esistere» dice un poesia di Paul Eluard. Ma i volontari esistono eccome. Anche senza i censimenti dell?Istat.


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