Mondo

2004 l’Africa spera. Matteo Zuppi: “Angola e Sudan piccoli segni di rinascita”

Intervista all’assistente spirituale della comunità di Sant’Egidio, composta per un terzo da africani. "Gli anni 90 sono stati terribili".

di Emanuela Citterio

“L?Africa ci ha cambiato”, affermano. Sant?Egidio, la comunità romana che ha avuto un ruolo chiave nella pace in Mozambico, si sta ?africanizzando?. Non solo perché ha sposato da tempo la causa dell?Africa (e della pace nel continente con più guerre). Ma perché ormai conta più di 10mila africani fra i suoi membri, un terzo della comunità, ed è presente in 28 Paesi del continente. Sant?Egidio può parlare di Africa e di pace a pieno titolo almeno dal 1992, anno dell?impegno diretto della comunità nel negoziato che ha concluso la guerra in Mozambico. Allora riuscì in un?opera di mediazione che sembrava impossibile: riunire intorno a un tavolo i rappresentanti dell?allora partito unico Frelimo (Fronte di liberazione del Mozambico) e i ribelli della Renamo (Resistenza nazionale mozambicana). Ribattezzata ?l?Onu di Trastevere? per questa attività di dialogo, che di fatto contribuì alla fine della guerra civile, Sant?Egidio ricevette allora anche il premio Unesco per la pace. Don Matteo Zuppi, assistente della comunità, nel 92 era uno dei negoziatori della pace in Mozambico. Oggi è uno dei più attenti osservatori delle vicende africane. Vita: Partiamo da Sant?Egidio: una comunità che più romana di così non si può, in dieci anni diventa per un terzo africana. Cos?è cambiato per voi? Matteo Zuppi: La consapevolezza di un destino comune. In Europa si può anche restare convinti che ci siano destini diversi, e che il nostro mondo possa andare avanti da solo. Noi ora crediamo che il destino dell?Europa non possa prescindere dalla relazione con l?Africa e con ciò che vi accade. Vita: E il ?destino? dell?Africa, in che direzione sta andando? Zuppi: Ai tempi della pace in Mozambico, inizio anni 90, c?erano molte speranze. Un vento di democrazia che ha attraversato tanti Paesi africani, ma che poi si è concretizzato più in piccoli episodi che in un processo maturo di democratizzazione. In effetti negli anni 90 l?Africa è stata segnata da moltissime guerre. Solo ultimamente ci sembra di scorgere alcuni piccoli segnali positivi, specialmente conflitti che stanno arrivando a una pacificazione. Penso all?Angola, dove dopo quasi trent?anni di guerra si è giunti a un accordo, e alla negoziazione in corso in Sudan. Segnali che ci devono incoraggiare ulteriormente a percorrere rapidamente una via di dialogo per mettere fine alle guerre in corso. Ma anche soprattutto a investire di più sulla pace, cioè a evitare che i conflitti si creino per mancanza di passione, di forza, di investimento sulla pace e sulla cooperazione. Vita: È vero che l?Occidente negli anni 90 si è ritirato dall?Africa? Zuppi: C?è tuttora un ritiro dell?Occidente, anche se in alcuni contesti ci sono piccoli segnali che indicano un miglioramento. La cooperazione negli anni 90 è stata largamente inferiore agli impegni presi. E questo ha avuto delle conseguenze. Oggi interi Paesi non hanno più i mezzi per investire nell?educazione e nella formazione delle classi dirigenti. Un?altra emergenza, assoluta, in cui la comunità internazionale è ancora molto indietro, è il dramma dell?Aids. Anche se relativamente ai processi di pacificazione qualcosa sta migliorando, c?è ancora molto da fare. Bisogna evitare l?isolamento e l?abbandono dell?Africa. Vita: In che modo? Zuppi: Lo strumento classico della cooperazione, per fare un esempio, non è obsoleto. Forse deve trovare modalità nuove. Ma sono convinto che non sia da buttare via come si sta facendo. È fondamentale. L?esperienza del Mozambico ci ha insegnato quanto sia importante e possibile aiutare. Ed è un impegno che siamo convinti debba continuare da più parti. I nostri Paesi oggi sono chiaramente in deficit rispetto agli impegni presi e alle necessità in Africa. Vita: Torniamo all?africanità del vostro movimento. Ci sono africani anche nel vostro consiglio direttivo? Zuppi: Sono in tre, provengono dal Mozambico e dalla Costa D?Avorio. Vita: Cosa fanno i gruppi africani di Sant?Egidio? Zuppi: Una delle iniziative più diffuse è quella delle ?scuole della pace?. Sono ormai 200 in 28 Paesi africani. Da noi in Europa si tratta di una sorta di doposcuola, in Africa spesso rappresenta ?la? scuola per molti bambini. Gruppi di giovani volontari insegnano in luoghi dove mancano strutture scolastiche o la povertà impedisce di accedervi. È commovente vedere come questi ragazzi mettano in piedi queste scuole, che poi in molti Paesi sono scuole di speranza, di futuro, di vicinanza, spesso di ricomposizione etnica. Vita: Ci fa un esempio in corso? Zuppi: In Ruanda volontari hutu e tutsi vanno insieme nelle scuole e negli orfanotrofi ad aiutare figli di hutu e tutsi uccisi durante il genocidio. Questa è la vera riconciliazione. La ricomposizione di qualcosa che l?inimicizia e l?odio hanno rotto. Vita: I volontari africani vengono anche a Roma? Zuppi: Sì, specialmente giovani rappresentanti delle comunità africane, per corsi di aggiornamento. Quando tornano in Africa sono in molti a stupirsi. Perché rinunciare a restare in Europa, da parte di chi ne ha la possibilità, nei loro Paesi risulta incomprensibile. Credo sia questo il contributo positivo dei diversi gruppi di Sant?Egidio: aiutare gli africani ad amare l?Africa e a credere che possa essere diversa. Siamo convinti che la vera costruzione della pace sia questa. Nella rassegnazione e nella disperazione, quando si pensa che solo altrove ci sia speranza, è più facile che siano le forze della guerra a prevalere. Vita: A proposito di guerre e pace. Sia gli Stati Uniti che l?Unione Europea hanno di recente stanziato fondi ingenti in Sudan (dopo più di vent?anni di conflitto fra il governo islamico del Nord e il Sud) per favorire l?accordo di pace. Segno che il peso delle vicende africane è cambiato dopo l?11 settembre? Zuppi: Sicuramente l?allarme terrorismo ha fatto scattare un?attenzione maggiore. Ci si è accorti che l?Africa, nella sua debolezza, può essere un terreno di investimento per i gruppi terroristici. Il pericolo effettivamente c?è, e non riguarda solo i regimi integralisti, ma anche i non-regimi, quelli che possono essere facilmente comprati, i non-Stati o gli Stati che sono abbandonati dalla comunità internazionale. Tutte entità che possono essere recuperate da chi ha i mezzi e vuole servirsene come base. Vita: Del resto alcuni interventi calati dall?alto, basti per tutti il caso della Somalia, in passato sono stati fallimentari? Zuppi: Perché la pace non può essere imposta così. Nel caso della Somalia un intervento che doveva essere umanitario si è rivelato un intervento politico che ha distrutto quel poco che c?era, lasciando il Paese, com?è tuttora, nella totale confusione. Vita: Lei in quali Paesi africani è stato? Zuppi: Ho visitato molti Paesi nell?Africa australe. Vita: Cosa vi chiedono gli africani? Zuppi: L?Africa ha bisogno di gente che speri in lei. Non aspetta altro. Bisogna darle fiducia e metterla in condizione di utilizzare la sua enorme vitalità per costruire un avvenire migliore, innanzitutto per combattere i grandi flagelli che l?attraversano.


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