Famiglia

Affido: ecco i numeri dell’effetto Bibbiano

Sono 27.329 i bambini e ragazzi fuori famiglia al 31 dicembre 2021, che vivono in affidamento familiare e nei servizi residenziali per minorenni. È la prima occasione per quantificare a livello nazionale le conseguenze della messa sotto accusa di tutto un sistema, a seguito del caso Bibbiano. La fotografia pare meno scura di quanto si pensava: tra il 2019 e il 2021 gli affidi vedono un -2,3%. Tutto bene quindi? Non proprio

di Sara De Carli

Sono 27.329 i bambini e ragazzi fuori famiglia al 31 dicembre 2021, che vivono in affidamento familiare e nei servizi residenziali per minorenni. Il nuovo dato – il report precedente si fermava al 2019 – è contenuto nel Quaderno per la ricerca sociale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il numero 56, appena pubblicato. Due anni prima erano 27.608: il dato quindi è sostanzialmente stabile. Resta pressoché identico il numero di minori collocati in comunità (14.053 del 2019 vs 14.081 del 2021), mentre diminuisce il numero degli affidi familiari (13.555 vs 13.248).

I numeri

Il 2021 tuttavia segna una ripresa degli affidi dopo il vistoso calo registrato nel 2020: tra il dicembre 2019 e il dicembre 2020 ci furono a livello nazionale 740 affidi in meno (-5,5%), contro un calo del 4,6% per le accoglienze in comunità. Dati su cui ha inciso anche il lockdown. A livello nazionale, quindi, guardando all’arco temporale 2019/2021 si registra un -2,3% di minori in affido e un +0,2% di minori in comunità. È una prima quantificazione, numeri alla mano, dell’«effetto Bibbiano» sugli affidi.

La fotografia quindi è meno allarmistica rispetto al crollo degli affidi che si paventava e che si è effettivamente registrato a livello locale: ad agosto 2023 il Resto del Carlino aveva pubblicato i dati relativi alla provincia di Reggio Emilia, documentando fra il 2019 e il 2021 un calo del 25% dei minori fuori famiglia (in tutta l’Emilia Romagna il calo fu del 21%), con gli affidi in famiglia crollati del 32% nella provincia contro un -18% a livello regionale.

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Come leggere quei numeri?

Tutto bene? Non proprio. Perché se da un lato ci saremmo aspettati un calo più vistoso degli affidi, dopo lo strumentale attacco politico e mediatico montato attorno al caso Bibbiano (estate 2019), dall’altra parte in un contesto come quello post Covid segnato dall’aumento esponenziale delle fragilità personali e familiari, sarebbe naturale aspettarsi una crescita dell’affido (lo prevedeva per esempio Ciro Cascone, allora capo della Procura presso il Tribunale per i Minorenni di Milano), che è lo strumento preferenziale che abbiamo per supportare dei genitori temporaneamente in difficoltà nel compito di crescere i propri figli (“una famiglia in più”, come sempre si dice). Questo -2,3% che i dati ci restituiscono potrebbe quindi in realtà dire solo di una sostanziale tenuta degli affidi in essere ma di una incapacità del sistema di farsi carico di nuovi bisogni.

Paola Ricchiardi insegna Pedagogia sperimentale all’Università di Torino e un anno fa al convegno organizzato dal Tavolo Nazionale Affido per celebrare i quarant’anni dell’affido (la legge che lo ha introdotto in Italia e che lo disciplina è la 184 del 4 maggio 1983), tenne una relazione sullo “stato dell’arte dell’affido nei numeri”. «Non sarei tanto ottimista, nel senso che il 31 dicembre 2021 – con la pandemia di mezzo – probabilmente è troppo presto per vedere in pienezza l’effetto Bibbiano, se così vogliamo chiamarlo. Probabilmente si vedrà più avanti», riflette la professoressa. Lo stesso vale per la rilevazione dell’eventuale aumento di allontanamenti legati alla maggior fragilità che le persone e le famiglie dimostrano nel post Covid. «Non dimentichiamo che molti affidi durano a lungo (il 61% degli affidamenti ha una durata superiore ai due anni, con quasi il 23% che dura 2 ai 4 anni e un 38% che dura da oltre 4 anni, ndr) e quindi l’istantanea del report ci racconta la situazione al 31 dicembre 2021 ma non ci dice molto dei nuovi affidamenti avviati nel corso di quell’anno. In Piemonte per esempio abbiamo già i dati relativi al 2022 e sappiamo che in quell’anno gli affidi sono rimasti stabili ma sono aumentati quelli realizzati in urgenza».

Il 2021 – con la pandemia di mezzo – è troppo presto per vedere in pienezza l’effetto Bibbiano. Si vedrà più avanti. Non dimentichiamo che molti affidi durano a lungo, il report fa una fotografia ma non ci dice molto dei nuovi affidamenti avviati nel corso dell’anno. In Piemonte nel 2022 gli affidi sono aumentati molto

Paola Ricchiardi, docente di pedagogia sperimentale

Calano gli affidi, crescono gli invii in comunità

Il secondo dato che Ricchiardi evidenzia riguarda il confronto tra comunità residenziale o affido familiare. Se infatti il dato dei minori allontanati dalla propria famiglia resta stabile, i minori collocati in comunità crescono lievemente (14.053 del 2019 vs 14.081 del 2021), mentre diminuisce il numero degli affidi familiari (13.555 vs 13.248). «Negli anni recenti la tendenza nazionale è quella di un aumento del ricorso alle comunità, lo si vede in tantissime regioni in maniera trasversale, mentre in passato lo strumento dell’affido era prevalente: dall’approvazione della legge fino al 2010 c’era stata una decisa diminuzione dell’accoglienza nei servizi residenziali. In parte è spiegabile con il fatto che facendo meno prevenzione e intervenendo in ritardo, i minori allontanati sono più grandi. Ma già la conferma di questo trend dice molto del clima culturale attorno all’affido».

Una cartina di tornasole probabilmente sarà l’entrata in vigore della riforma Cartabia nella parte che concerne la giustizia minorile, il prossimo 17 ottobre 2024 (l’Aimmf l’ha dichiarata «insostenibile» e ne ha chiesto il rinvio al 1 gennaio 2030). La riforma prevede che la durata dell’affidamento, non possa mai essere superiore ai ventiquattro mesi dalla legge, a meno che ci sia una situazione di grave pregiudizio. Diversi affidi, a quel punto, termineranno e leggere i trend statistici dei “nuovi” affidi sarà più immediato. Peccato però, aggiunge Paola Ricchiardi, che «quando hai tre o quattro fattori di rischio, due anni di affido non bastano a risolvere le problematiche. Ci vuole tempo. Per la mia esperienza due anni non risolvono quasi mai nulla, se la situazione era tanto compromessa da portare all’allontanamento».

Foto di Mikael Stenberg, Unsplash

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