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Sintonia non profit

La protesta delle piccole emittenti senza fine di lucro colpisce nel segno. Il governo modifica l’articolo che le avrebbe condannate al silenzio.

di Alessandro Sortino

Esenzione totale dai contributi, procedure semplificate, deducibilità delle donazioni: sembra che la vita delle radio non profit, quelle che la legge attuale definisce ?comunitarie?, sia destinata a diventare più facile. Dopo mesi di trattative in sede ministeriale infatti il governo ha depositato in Senato il disegno di legge 1138, testo di riforma del sistema radiofonico e televisivo, seconda puntata rispetto alla legge 249 approvata a luglio. L?impressione che se ne ricava è positiva questa volta, come confermano anche i rappresentanti delle organizzazioni di categoria.
Rispetto alla prima versione infatti il sottosegretario alle Poste, Vincenzo Vita, ha annunciato la modifica del comma 6 dell?art 3, cioè quello che conteneva il limite più controverso: le emittenti radiofoniche locali, completamente non profit e di servizio non potevano trasmettere che in ambito provinciale o sub provinciale. Una limitazione gravissima, che rischiava di tagliare le gambe a tutte le radio nate nei circuiti diocesani o parrocchiali, che possiedono bacini di ascolto completamente diversi rispetto ai confini amministrativi.
«Non ci aspettavamo questa novità», spiega Luigi Bardelli presidente dell?associazione Corallo che unisce 260 emittenti di ispirazione cattolica, «ma confidiamo nelle assicurazioni del governo.C?è solo un rischio che rimane in piedi: i benefici concessi alle radio non profit passano sempre attraverso rapporti con le amministrazioni. Non vorremmo che ciò andasse a scapito della libertà».
Il resto del testo di riforma dovrebbe comunque garantire dei passi avanti rispetto al Far West attuale: le emittenti radiofoniche non profit (cioè quelle che non raccolgono pubblicità e si finanziano solo con raccolta fondi) sarebbero divise in due grandi categorie: quelle nazionali e quelle locali. L?esercizio dell?emittenza non profit nazionale (sul modello di Radio Maria per intenderci) sarebbe soggetto a concessione. L?esercizio invece di quella locale «consentito tramite autorizzazione». Queste ultime emittenti prenderanno il posto di quelle così dette ?comunitarie? alle quali però era concesso trasmettere fino al 5 per cento di pubblicità. In cambio sono consentite convenzioni per la promozione dell?attività di enti non profit e fondazioni.
L?autorizzazione amministrativa è, rispetto alla concessione, un trattamento di favore, perché riconosce la preesistenza di un diritto, piuttosto che costituirlo ad hoc. Per questo è più difficile che venga revocata.
Questi gli altri vantaggi: le radio locali non profit sono esentate dai contributi, godono di percorsi privilegiati per stipulare convenzioni con gli enti locali, le donazioni che ricevono sono detraibili dalle tasse, e dunque più facili da ottenere. Esiste poi una terza categoria intermedia: quella delle radio locali con obbligo d?informazione: devono cioè lasciare uno spazio della loro programmazione all?informazione e tenersi nella raccolta di pubblicità sotto una certa soglia. Parla Enrico Viviano direttore della radio toscana Monteserra (Cisl, Misericordie e diocesi), che appartiene a quest?ultima categoria: «Ben vengano le leggi», ha detto, «ma il problema maggiore per l?emittenza sociale, sono i controlli governativi, l?applicazione concreta delle norme. Il ritardo nel piano di assegnazione delle frequenze, per esempio, rischia di provocare la scomparsa di quanti non hanno la forza di difendersi: o sul piano legale, perché le cause costano, o sul piano pubblicitario, dove chi è più grande prevale. Certo è che il governo così facendo evita di dover risolvere fastidiosi contenziosi».
La legge del più forte insomma, è sempre la più comoda.

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