Famiglia

Padre che impresa

Un tempo erano solitari, marginali, quasi degli eroi guardati con circospezione.

di Gabriella Meroni

Don Roberto ha fondato una cittadella da 40mila metri quadrati. Don Angelo ha 4mila dipendenti. Don Vinicio si è alleato con il re delle scarpe. Don Virginio ha inventato una carta di credito. Anche i preti cambiano. Non solo perché nessuno (o quasi) gira più con la tonaca nera lunga fino ai piedi, e tutti hanno il telefonino e smanettano su Internet, ma soprattutto perché è cambiato il loro ruolo, la loro strategia, il loro atteggiamento. Nel campo del sociale la rivoluzione è copernicana: se prima il prete faceva quasi solo da consolatore degli afflitti e rifugio dei peccatori, e umilmente si ritraeva dalle luci della ribalta mondana, oggi il sacerdote si è reinventato mille ruoli, e tutti da protagonista: manager, imprenditore, cooperante, amministratore e anche, se serve, cane da guardia dei diritti altrui. Un solo abito i preti non l?hanno smesso mai: quello del postulante. Ma oggi si chiama fundraiser, che diamine? Il don costruttore Don Roberto Rondanini potrebbe sembrare, a prima vista, un prete del primo tipo. È parroco, indossa la tonaca, vive in periferia e ha la canonica assediata da poveracci che chiedono una mano. Eppure questo cocciuto sacerdote milanese è riuscito a smuovere il Comune, una fondazione, due banche, un?università e sei aziende (tra cui Mediaset) e a creare un quartiere dal nulla. Il neonato Villaggio Barona, inaugurato il giorno di Santa Lucia su un?area di 40mila metri quadrati, era già sorto nella testa di don Roberto tanti anni fa. Fin da quando, tra i primi in Italia, si accorse dell?emarginazione dei malati di Aids, o sollecitava i suoi parrocchiani, non certo facoltosi, a dare una mano agli abitanti dell?ex Jugoslavia, che non stavano meglio. Il capolavoro di don Rondanini invece ospiterà, in palazzi costruiti con criteri sostenibili bonificando un?ex area industriale dismessa, una comunità alloggio per anziani, un centro per disabili, una palestra, un micro-nido, un centro professionale per giovani, una struttura per malati di Aids, un laboratorio per malati psichici, un alloggio per rifugiati politici. E ancora: 82 appartamenti popolari, un pensionato per 130 studenti, un parco, un?area gioco per bambini, un campo sportivo. Costo: 23 milioni di euro. Meglio di Milano Due. E tutto realizzato bussando porta a porta, da antico postulante, ma con lo spirito e l?intelligenza di un moderno visionary manager. Il don finanziatore Don Virginio Colmegna, direttore della Caritas ambrosiana, per battere la povertà ha inventato una carta di credito. Si chiama Equa e può essere utilizzata nelle Coop Lombardia. La novità sta nel fatto che attraverso la carta il ?donatore? destina l?1% (o più) della spesa a un fondo aperto presso Banca Etica; Coop Lombardia raddoppia la donazione e il beneficiario avrà a disposizione la carta di credito, caricata dai clienti e dalla Coop, per fare la spesa. Per il suo inventore, si tratta di un?azione che va al di là del semplice donare: “La carta sarà dello stesso tipo, con il marchio Caritas, per beneficiato e beneficiario, per renderli indistinguibili”, precisa. “È una questione anche culturale, perché poter consumare è importante, dà un ruolo nella società”. Don Virginio Colmegna si muove da dieci anni in questo modo: puntando ai diritti di cittadinanza. “La prima battaglia è stata quella per la residenza anagrafica dei senza fissa dimora. Ora facciamo un nuovo passo”, spiega. “Ci sono troppi anziani che non riescono ad arrivare a fine mese e per loro è una sconfitta. Con questo sistema sviluppiamo mutualità e la cultura dell?uguaglianza delle opportunità”. Non è la prima volta che Caritas ambrosiana sia allea con il profit. Qualche mese fa è stato presentato il progetto per la Casa della Carità, nella quale come partner finanziario è sceso in campo Unicredit. “Non ci sono pregiudiziali ideologiche, è una strada però lungo la quale occorre procedere cauti”, spiega Colmegna. “Per noi l?attenzione alla responsabilità sociale delle imprese è fondamentale”. Il don manager Don Angelo Bazzari è instancabile: presiede la Fondazione don Gnocchi dal 1993; prima, per dieci anni, fu direttore della Caritas milanese. Insomma, da vent?anni la declinazione ambrosiana della solidarietà passa dai suoi uffici. È un teorico della pluralità dell?offerta sanitaria: “Ci vuole un sistema sanitario che, pur mantenendo l?impostazione pubblicistica, affidi i servizi non solo alle strutture pubbliche, ma a più soggetti, anche privati”. Don Bazzari è alla testa di un vero impero della solidarietà, la Fondazione don Gnocchi. Tremila posti letto per quasi 4mila dipendenti. Un rapporto assistente/assistito che parla da solo. Mentre tante altre grandi istituzioni annaspano davanti alle sfide della modernità e alla crisi di vocazioni, la don Gnocchi non cessa di crescere e avviare nuove iniziative. Il calendario del 2004 è impressionante: a Roma verrà inaugurato il nuovo centro S. Maria della Provvidenza, acquisito dal Cottolengo. La don Gnocchi lo riqualificherà come residenza sanitaria assistenziale per disabili e struttura di riabilitazione per i malati di Alzheimer e Parkinson. A Milano l?istituto Palazzolo aggiungerà 80 posti ai 700 esistenti (una decina dei quali dedicati alle persone in coma). Al Sud sarà l?anno della grande crescita in Basilicata, con l?ampliamento del centro di Acerenza e l?apertura di quello di Tricarico, in provincia di Matera. Il don comunicatore Don Vinicio Albanesi è uno di quei preti che se avesse fatto l?attore o l?animatore, in un teatro di posa o in un villaggio vacanze, forse non si sarebbe stupito nessuno. Ironico, istrionico, gran affabulatore e soprattutto marchigiano doc, don Vinicio è tutto: giornalista, pensatore, animatore sociale della sua comunità (quella di Capodarco), amico degli ultimi che lì vi sono ospitati (disabili, paraplegici, malati nella mente e nel corpo, ?tossici?) come dei primi (grandi industriali, illustri giornalisti, famosi politici) che a Capodarco passano a trovarlo e a rinverdire ogni volta il mito di una comunità che, fondata da don Franco Monterubbianesi, è diventata una vera ?istituzione? del mondo del non profit. Non a caso don Vinicio, che da 10 anni della comunità di Capodarco di Fermo, provincia di Ascoli Piceno, è il rigoroso e scrupoloso presidente, ha messo in piedi così tante iniziative che sono in molti a chiedersi come diavolo faccia a trovare energie, idee, tempo e, ovvio, soldi. La comunità infatti ormai non si limita più a percorsi di recupero e riabilitazione, ma è diventata un luogo accreditato, dove si fa opinione. A tal punto che quando ogni anno a Capodarco planano 200 giornalisti, esperti della comunicazione, responsabili di uffici stampa e riviste del Terzo settore (ma anche giornalisti di grandi testate) per ascoltare i big dell?informazione, il seminario Redattore sociale si confonde con la festa e tutti mangiano alla stessa mensa, quella dove don Vinicio conduce le danze. C?è un però, riscontrato all?ultimo seminario organizzato dalla comunità. Quello di una comunità e un mondo cresciuto a tal punto da invitare, in qualità di ospiti-relatori, anche personaggi che da quel mondo paiono distanti anni luce: Diego Della Valle, re delle scarpe di lusso, marchigiano anche lui e buon amico di don Vinicio, o addirittura Fabio Falzea, giovane primo della classe oggi ?responsabile pierre? di (udite udite) Microsoft Italia.

hanno collaborato Ettore Colombo e Silvia Vicchi

Chi fa il blog e chi no

C?era da aspettarselo. Antonio Mazzi, fondatore della comunità Exodus di Milano, ex ospite fisso di Domenica In (dal 94 al 98), scrittore, giornalista (conduce una rubrica settimanale su Raisat2000), da qualche giorno è diventato un blogger entusiasta e senza censure (collegarsi al visitatissimo blog: Io la penso così… per credere). Un?onnipresenza mediatica che non toglie energie a don Mazzi: “Che volete che sia, la tv mi prende mezz?ora al giorno, il resto del tempo lo passo in comunità”. Rimane il fatto che digitando il suo nome su un qualsiasi motore di ricerca online, dopo pochi secondi appaiono circa 24.900 documenti. Gli argomenti più gettonati sul neonato ?diario elettronico? del vulcanico don Antonio? Le vicende giudiziarie di Michael Jackson, la droga tra i parlamentari, il dialogo tra genitori e figli. Per un sacerdote sovraesposto (in senso buono) ce n?è un altro che da anni opera nello stesso settore di don Mazzi (la tossicodipendenza) ma di cui non si sente parlare spesso: è don Mario Picchi, 73 anni, fondatore del Ceis (Centro italiano solidarietà) di Roma. Un silenzio mediatico scelto, il suo, a causa della difficoltà “di parlare dei problemi veri con giornalisti che dopo tre parole ti chiedono di andare in comunità e fotografare i ragazzi”, dice a Vita, vincendo il riserbo. Poco prima dell?approvazione della legge Fini, però, don Picchi non ce l?ha fatta più a tacere e ha scritto una lettera al sito

Il Barbiere della Sera

frequentato quasi esclusivamente da giornalisti, anche perché vi si leggono, tra l?altro, gustosi pettegolezzi su traversie e beghe delle redazioni. In quella lettera, intitolata ?Se continuate tutti a star zitti la pagheremo cara? il sacerdote chiedeva ai giornalisti di parlare di droga, di non tacere il problema facendo credere che tutto si è normalizzato. Una mossa da consumato esperto di comunicazione, la sua, che ha suscitato una cinquantina di scritti da altrettanti giornalisti. Sfortunatamente, tutti privati.

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