Non profit
Ribellatevi giovani,lo chiede la ministra
"Vorrei portare i giovani al tavolo della concertazione, ma prima devo intercettarli" dice Livia Turco. E invita i ragazzi a cambiare le cose.
Silenziosi. Sfuggenti, lontani, addirittura passivi. Sono questi i giovani secondo la ministra della Solidarietà sociale Livia Turco. Una generazione, quella di oggi, che Livia Turco sta inseguendo. Per confrontarsi con loro. «Vorrei invitare i giovani al tavolo della concertazione» dice. «Se solo riuscissi a intercettare i loro percorsi». Una generazione a cui sa di non assomigliare. «I giovani hanno scelto di essere invisibili, di stare fuori dalla politica, e questo mi dispiace, perché le fasi in cui i ragazzi erano attivi protagonisti della scena politica sono state le migliori», afferma. «Capisco le loro difficoltà, perché oggi si trovano su un treno in cui i posti a sedere sono tutti occupati, e rischiano di fare il viaggio in piedi. Non che ne abbiano colpa, ma tocca soprattutto a loro fare qualcosa per cambiare le cose». Un messaggio forte, quello della ministra, e lontanissimo dalle solite lusinghe che molti politici in passato erano abituati a lanciare ai ragazzi, per portarli dalla loro parte. Livia Turco ai giovani dedica un piano d?azione triennale. Lo ha presentato durante il convegno nazionale ?Bi-lancio giovani?, svoltosi nell?ambito di Ability. Ma mentre ne comprende i problemi, non rinuncia a dare loro la sveglia. «Io me ne sono andata via di casa a 18 anni, e già da tempo lavoravo per mantenermi da sola», dice. «Invece i ragazzi di oggi rimangono a casa dei genitori fino a 30 anni. Ma come si fa? Bisogna essere autonomi dalla famiglia».
Signora ministra, in questi giorni lei ha parlato di giovani ?invisibili alla politica?. Cosa manca ai giovani di oggi per contare di più?
«Un conflitto con gli adulti. I giovani devono uscire dal silenzio e dall?oscurità che hanno scelto, e far sentire la loro voce. Soltanto così si aprirebbero dei meccanismi nuovi in politica, si comincerebbe finalmente a discutere di stato sociale, di riforma del welfare tenendo conto anche del punto di vista delle giovani generazioni, dei loro bisogni. Altrimenti continueremo a garantire i garantiti, e non cambierà mai niente».
Il suo è un inno alla contestazione?
«Alla contrapposizione. Il conflitto generazionale, inteso come diverse identità a confronto, sarebbe salutare per rimettere in discussione la distribuzione delle risorse, tutta sbilanciata a favore degli adulti, che esiste attualmente in Italia. La società invecchia e si ripiega su se stessa. E questo non è normale, anzi, porta a conseguenze patologiche: pensiamo al tramonto della mobilità sociale. In passato tutti noi abbiamo sperato di diventare qualcosa in più dei nostri genitori, e in gran parte ci siamo riusciti. Oggi invece è il contrario, i padri sanno già che difficilmente i loro figli raggiungeranno le loro stesse mete, sebbene siano più colti e preparati. Non solo. Il sorgere di una coscienza quasi ?sindacale? da parte dei giovani arricchirebbe la scena politica di nuovi attori. Che si potrebbero anche alleare con gli adulti…».
Alleare? Ma non aveva parlato di un conflitto?
«Il conflitto è la premessa, la leva per il cambiamento. Ma l?approdo è un patto nuovo tra giovani e adulti».
Ma se è vero che la politica favorisce gli adulti, se si arriva a un patto questi ci perderanno qualcosa.
«Non c?è dubbio. L?alternativa è: perdere dei privilegi o scegliere di cambiare. Senza schematismi, sia chiaro: so bene che la frase ?togliamo ai padri per dare ai figli? è troppo semplicistica, anche perché ci sono tanti padri che se la passano male, così come è sbagliato dire ?giovani contro anziani?, perché questo è un Paese che spende una cifra enorme per le pensioni ma non sa dare ai suoi vecchi un?esistenza dignitosa. Ma a parte i facili slogan, invocare il cambiamento mi sembra doveroso».
Ci può fare qualche esempio?
«Cambiamo i tempi della vita. Perché i meccanismi di protezione sociale devono tutelare soltanto la vecchiaia? Si potrebbe pensare a una diversa tutela in diverse fasi della vita: un adulto lavoratore e garantito dovrebbe poter scegliere che tipo di protezione sociale gli sta meglio. È preferibile andare in pensione a 60 anni dopo aver lavorato senza sosta o a 68 anni ma prendendosi delle pause nel corso della vita lavorativa per crescere i figli, seguirli negli studi, ottenere per loro opportunità di autonomia dalla famiglia? E in tema di privilegi: perché non dare spazio ai giovani all?interno delle università o degli ospedali, per esempio, mandando in pensione qualche barone o qualche primario? Si parla tanto di dare lavoro ai giovani, ma non si pensa mai a queste ovvietà. E poi non c?è solo il problema del lavoro, ma esiste anche il tempo libero».
Un tema inusuale per un?agenda politica.
«La scarsa attenzione riservata a questo tema la dice lunga sull?assenza della componente giovanile dalla politica. Non voglio assolutamente invadere il tempo libero di nessuno, ma perché non parlarne mai? Perché permettere che a deciderne l?organizzazione sia soltanto il mercato? Bisogna offrire delle opportunità concrete e interessanti per impiegare il tempo libero, con occasione di mobilità e di scambio tra Paesi diversi e culture diverse».
A proposito di culture diverse, qualcuno ha accusato il suo Dipartimento di interloquire solo con alcune organizzazioni giovanili, quelle schierate a sinistra. Non c?è il rischio di avere a che fare con giovani ?di regime??
«Io voglio dialogare con tutti, in particolare con le organizzazioni del volontariato. Il mio invito è esteso: qualcuno ritiene di non raccoglierlo perché sta all?opposizione? Benissimo, ma è un problema suo, non mio».
Ci può indicare le priorità più urgenti a cui mettere mano subito, una volta approvato il suo piano per i giovani?
«Primo, il problema della casa. Come si fa a rendersi autonomi dalla famiglia senza agevolazioni per l?affitto? Secondo, la crescita di una coscienza di generazione. Ma questo, purtroppo, non dipende da me».
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