Volontariato

La Parmalat e i piccoli produttori. Debiti in forma di latte

Quattro mesi di ritardi nei pagamenti. "Ma Tanzi aveva il vizio di pagare in ritardo. Così si autofinanziava".

di Ida Cappiello

Tensione altissima nel mondo degli allevatori italiani. La crisi finanziaria Parmalat si incrocia pericolosamente con i destini di tante aziende agricole, soprattutto le più piccole, che da mesi aspettano di vedersi pagato il latte venduto a una delle decine di centrali controllate dal gruppo di Calisto Tanzi: 120 giorni, cioè quattro mesi, sono i tempi medi di attesa dell?ultimo anno dichiarati dall?Unalat e dall?Aia (Associazione italiana allevatori), le due organizzazioni agricole più rappresentative. “Per un piccolo allevatore, quattro mesi possono mettere a rischio di chiusura. E possono diventare anche di più se non si ha una persona dedicata al recupero crediti. Più si è deboli, maggiore è il danno”, dice senza mezzi termini Antonio Baietta, presidente della cooperativa Sant?Angiolina di San Colombano al Lambro, nel milanese. Che piccola non è, visto che raccoglie 5mila quintali di latte al giorno da 270 soci, ma i suoi problemi con Parmalat li ha avuti. In passato, però. “Dalla fine degli anni 80 ho chiuso i rapporti con loro perché, a essere sinceri, ce l?hanno sempre avuto il vizio di pagare in ritardo, era un modo di finanziarsi”. C?è un secondo motivo per cui gli allevatori stanno col fiato sospeso, e questa volta tutti, non solo i fornitori del mondo Parmalat. L?azienda di Collecchio è il primo acquirente di latte italiano, con 8 milioni di quintali su 11, secondo le stime Unalat (ridotti però a 6 dalle stime dell?Osservatorio Latte). “Un peso così rilevante da determinare un grave squilibrio tra domanda e offerta, tale da condizionare negativamente i prezzi su tutto il mercato”, dice il vicepresidente di Coldiretti, Nino Andena. Prezzi che da due anni a questa parte sono già scesi del 13%. Non è certo un caso che Assolatte, la Confindustria del settore lattiero-caseario, abbia improvvisamente sospeso le trattative sul prezzo con le organizzazioni agricole. Se si dovesse verificare una ?fuga? da Parmalat, il latte in eccesso finirebbe sul libero mercato a vantaggio dell?industria. Abbandonare il cliente scomodo sarebbe un comportamento poco razionale, ma comprensibile. I rapporti di Collecchio con i produttori di latte, infatti, sono sempre stati difficili, e non solo per questioni di soldi. Il lancio di FrescoBlu, il contestatissimo latte a durata prolungata, è un esempio. Dietro al prodotto c?era una strategia non rivelata di concentrazione produttiva in pochi siti (chiudendo le piccole centrali locali), dai quali distribuire il latte su scala nazionale, acquistandolo all?estero o comunque svincolandosi dai legami con il territorio. Il prodotto poi non è stato all?altezza delle aspettative, anche per la guerra dichiaratagli dal concorrente Granarolo, ma certo non ha fatto bene ai rapporti con il mondo agricolo. Probabilmente, però, il peggio sarà evitato. Gli allevatori continueranno a vendere il loro prodotto alle aziende controllate da Parmalat, sperando nel salvataggio del gruppo con l?aiuto delle banche e dello Stato, perché non hanno alternative. Oggi, il potere contrattuale di un simile colosso è forse, paradossalmente, ancora più forte.


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