Elezioni

India alle urne, Modi favorito: trionfa il fondamentalismo indù

L'India, la democrazia ed il Paese più popoloso del mondo, sta votando da 40 giorni, in quella che è l'elezioni più lunga del pianeta. Ma è anche una nazione sempre più autoritaria nei confronti di società civile e media che criticano la politica nazionalista indù del primo ministro

di Paolo Manzo

Dal 19 aprile scorso 968 milioni di indiani hanno iniziato a votare e lo faranno sino al 1 giugno per eleggere i 543 membri del Parlamento provenienti da 28 Stati. Il 4 giugno si sapranno i risultati e, solo dopo, i deputati sceglieranno il futuro leader dell’India. L’attuale primo ministro Narendra Modi era in testa a tutti i sondaggi prima dell’inizio del voto, seguito dal principale leader oppositore, Rahul Gandhi, dello storico Partito del Congresso che si è unito per l’occasione con il resto dell’opposizione nell’Alleanza nazionale indiana per lo sviluppo e l’inclusione, acronimo India. Modi e il suo partito, il Bharatiya Janata Party (BJP), sono al potere da 10 anni, e a spiegare il suo vantaggio, oltre ai sondaggi, sono almeno due motivi. 

L’abbandono del secolarismo

Il primo è che il primo ministro ha abbandonato la tradizionale politica dell’India moderna, ovvero quella secolare che non aveva mai definito la sua identità in termini di religione, ed ha polarizzato per fini elettorali la divisione tra gli indù ed i circa 200 milioni di musulmani. I nazionalisti come Modi cercano questa polarizzazione, come dimostra quanto dichiarato dal primo ministro in una recente manifestazione in Rajasthan, ovvero che se l’opposizione arriverà al potere prenderà la ricchezza degli indù e la darà a coloro «che hanno più figli». Un chiaro riferimento ai musulmani tanto che Pakistan Today ha poi titolato «Modi vuole trasformare le elezioni in una guerra indù-musulmana».

Purtroppo la maggioranza dell’elettorato, composto per l’80% da indù, sembra approvare questo nazionalismo religioso nonostante «una corrente sotterranea di preoccupazione economica» per la disoccupazione e per l’inflazione dei prodotti alimentari, ha sottolineato The Economist.

La falsa narrativa

Le notizie che arrivano in Italia dall’India descrivono una crescita economica enorme. «Modi è diventato ormai proprio un culto e da l’impressione al resto del mondo che il mio paese si stia sviluppando tantissimo ma uno dei grossi problemi è la povertà, che c’è ancora», spiega a VITA un prete indiano che, per motivi di sicurezza, ovvero per evitare ritorsioni contro di lui ed il suo ordine, ci ha chiesto l’anonimato.

«Lo sviluppo è infatti molto concentrato nelle mani di pochi – continua il religioso. I ricchi stanno diventando sempre più ricchi mentre c’è una piccola speranza per la classe media che è cresciuta tanto ed è arrivata al 20% della popolazione, ovvero quasi 300 milioni di abitanti. Dunque si vede che la ricchezza è arrivata in India, c’è un mercato enorme e tutti i grandi imprenditori vogliono entrare qui per fare business. Il problema è che quasi la metà della popolazione vive ancora in povertà e almeno duecento milioni sono nella miseria. Soprattutto nei villaggi».

La deriva nazionalista

Inoltre, la deriva nazionalista induista di Modi è palpabile, conferma a VITA il sacerdote. «Quando quando ero ragazzino c’era una famiglia di un musulmano vicino e poi c’è parecchi indù ma esisteva un bellissimo rapporto tra noi. Loro venivano per le Messe di Natale. Gli indù partecipavano, offrivano le candele accese, perche noi cristiani indiani abbiamo una tradizione di offrire candele accese a Gesù. Venivano anche i musulmani, entravano nella nostra chiesa e poi condividevano i pasti con noi, la torta e noi andavamo alle feste loro. Quindi esisteva condivisione mentre adesso gli indù che erano aperti sono un po’ chiusi, c’è una identità forte, anche se la maggioranza non è contro musulmani né contro i cristiani. Questa nuovo nazionalismo ha portato in tanti indù l’idea di essere un paese per gli induisti e, dunque, se accade qualcosa contro le altre religioni, oggi rimangono in silenzio. Un po’ come è successo in Italia col fascismo, e questo è un fenomeno nuovo e preoccupante». 

Elezioni sbilanciate

Il secondo motivo del favoritismo di Modi è che queste elezioni non si svolgono affatto in condizioni di parità. Il primo ministro dispone infatti di molti più fondi per condurre la campagna elettorale, visto che il suo partito ha ricevuto oltre 1,4 miliardi di euro in donazioni, più di tutti gli altri partiti politici messi insieme. Inoltre, il primo ministro ha limitato pesantemente l’indipendenza dei media, dei tribunali e della società civile, vietando i finanziamenti esteri per ong del calibro di Oxfam India, Amnesty e Greenpeace.

Cosa accadrà se Modi otterrà i due terzi dei seggi in Parlamento il prossimo 4 giugno. «Se così sarà, la maggioranza potrà cambiare la Costituzione e stanno promuovendo di andare in questa direzione», spiega il sacerdote. «Già hanno tentato di cambiare il nome e vogliono togliere la parola secolare per sostituirla con Repubblica indù e, quindi, tutti gli altri non hanno avranno diritti. È un pericolo grande».

L’incognita del voto giovane e degli esclusi dal boom

A rendere ancora incerto l’esito del voto sono però i giovani e gli esclusi dal boom economico di Modi. In India, infatti, il 79% degli under 25 con una laurea è impiegato nel settore informale. Inoltre, la crescita economica degli ultimi 10 anni (una media annuale del 7% del Pil) è stata distribuita in modo diseguale tra il 10-20% dei più ricchi. Non a caso, per la Banca Mondiale oggi lIndia è solo il 147° paese al mondo per tenore di vita, e questo nonostante gli economisti stimino che sia destinata a diventare la terza potenza per PIL entro il 2027, dopo Stati Uniti e Cina.

«L’altra grande sfida che abbiamo oltre alla povertà è disoccupazione e, nonostante le tante promesse fatte, ci sono tantissimi giovani ancora senza lavoro, con l’80% di giovani che ha studiato, che ha una laurea e aspettative ma non riesce a trovare lavoro», conferma a VITA il religioso. Per poi spiegare che «il governo ha lanciato un programma, il Make in India, ovvero il ‘Produrre in India’, una grande pubblicità affinché tutto sia prodotto nel nostro paese, così l’India diventa come la Cina che li produce e poi li esporta in tutto il resto del mondo. Però non ha avuto successo e tanti giovani sono disoccupati».

La guerra alle ong

Di certo c’è che da quando è salito al potere, il governo Modi ha revocato le licenze a oltre 20.600 ong, 6.000 delle quali dall’inizio del 2022, secondo i dati di Amnesty International. Le loro colpe sono state evidenziare la repressione del governo del leader nazionalista indù contro politici di opposizione, l’incarcerazione di attivisti, i tentativi di limitare i media internazionali critici, come la BBC e la ABC, le crescenti violazioni dei diritti umani in aree sensibili, soprattutto nel Kashmir. Molte ong sono anche state accusate «di essere fiancheggiatrici del terrorismo» per «impedire loro di accedere ai fondi essenziali per operare», denuncia la stessa Amnesty. Per questo la maggior parte delle ong in India negli ultimi due anni ha ridotto il personale dell’80%.

La persecuzione contro Amnesty International India

Uno dei simboli della difesa dei diritti umani nel gigante asiatico è Aakar Patel, 53enne presidente del consiglio di amministrazione di Amnesty International India che, sino ad oggi, ha ricevuto 11 denunce penali per diffamazione per le critiche nei confronti di Modi e le violazioni dei diritti umani del suo esecutivo.

Un costo elevato per l’ong che, come tante altre, ha dovuto ridurre al minimo le sue attività. Dall’agosto del 2020, il governo ha infatti congelato i conti bancari di Amnesty India, ha fatto irruzione più volte nell’ufficio di Patel, a Bangalore e, tramite l’agenzia delle entrate indiana, ha accusato Amnesty di ristrutturare le sue operazioni in India per continuare a ricevere finanziamenti stranieri, dopo che il governo glielo aveva vietato.

Da due anni Patel non può viaggiare all’estero, gli hanno sequestrato il passaporto ed è stato inserito in una «black list». Da allora il presidente del consiglio di amministrazione di Amnesty International India ha con sé sempre un trolley con alcuni cambi di vestiti e uno spazzolino da denti, nello scenario peggiore, ovvero quello di finire in carcere.

Cosa può fare l’Italia per l’india?

È questa l’ultima domanda che rivolgiamo al nostro amico sacerdote. «Innanzitutto trasmettere la realtà e conoscere la vera situazione. Meloni ha detto che Modi ormai è il capo del mondo e una frase così promuove proprio un certo fascismo, un nazionalismo che secondo me è sbagliato. Quella frase è stata ripetuta mille volte in India e che anche il primo ministro dell’Italia la ripeta non aiuta. Io vorrei che gli italiani sapessero la verità affinché ci sia una opinione pubblica diversa dall’attuale, creata dalla narrativa di Modi».

In apertura un’immagine dell’attuale primo ministro Modi


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA