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Statuti,condizioni, attività.Chi è e chi non è Onlus

Pubblichiamo la terza scheda della Guida alla Legge Onlus, con il commento curato dai nostri esperti dello studio legale tributario Pettinato-Buscaroli Associati

di Salvatore Pettinato

Articolo 10. Organizzazioni non lucrative di utilità sociale La più significativa delle innovazioni introdotte con il decreto legislativo al nostro esame è costituita dalla creazione della figura fiscale delle Onlus. Dall?articolo in oggetto emerge che per poter ottenere la qualifica di Onlus è necessaria una determinata veste giuridica, ossia quella di associazione, comitato, fondazione, società cooperativa e altro ente di carattere privato non tipizzato. Sono inoltre considerate Onlus di diritto gli organismi di volontariato, le organizzazioni non governative e le cooperative sociali (per le quali si ritiene che il legislatore abbia ipotizzato come sussistenti a priori i requisiti necessari per l?ottenimento della qualifica, senza però pretendere aggiustamenti statutari). L??equiparazione automatica? dei predetti soggetti non è cosa di poco conto, specialmente se si considera che i requisiti civilistici richiesti per gli organismi in questione sono sicuramente minori di quelli posti per ottenere la qualifica di Onlus. Oltre a una determinata forma giuridica, per poter conseguire il titolo di Onlus è necessario che gli statuti o gli atti costitutivi, redatti necessariamente nella forma dell?atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, abbiano un determinato contenuto. È in primo luogo indispensabile che l?attività istituzionale venga svolta in determinati settori, ormai ampiamente noti, e cioè: 1) assistenza sociale e socio-sanitaria; 2) assistenza sanitaria; 3) beneficenza; 4) istruzione; 5) formazione; 6) sport dilettantistico; 7) tutela, promozione e valorizzazione delle cose d?interesse artistico e storico; 8) tutela e valorizzazione della natura e dell?ambiente; 9) promozione della cultura e dell?arte; 10) tutela dei diritti civili; 11) ricerca scientifica di particolare interesse sociale (purché svolta in forma diretta da fondazioni, o dalle stesse svolta in forma indiretta mediante affidamento della ricerca a università, enti di ricerca o altre fondazioni che la svolgano in maniera diretta; ma in tale ultimo caso, allora, perché un semplice committente dovrebbe beneficiare di tutte le agevolazioni fiscali previste per le Onlus?). Oltre allo svolgimento delle predette attività, è necessario che le stesse siano svolte esclusivamente con finalità di solidarietà sociale: la norma, però, non si limita a enunciare il principio, in quanto è lo stesso articolo 10, nei commi 2, 3 e 4 a dare dei chiarimenti su quale debba essere l?interpretazione da dare a tale locuzione. Il comma 2 chiarisce, infatti, che si intendono perseguite le finalità di solidarietà sociale quando, nell?ambito delle attività indicate ai numeri 2), 4), 5), 6), 9) e 10), le cessioni di beni e le prestazioni di servizi erogate non sono rese nei confronti dei soci, associati, partecipanti o altri possibili soggetti e loro parenti fruitori di eventuali facilitazioni, in virtù del legame che li unisce al soggetto erogatore, bensì nei confronti di: a) persone svantaggiate fisicamente, psichicamente, economicamente, socialmente o per ragioni familiari; b) componenti di collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari. Viene, inoltre, specificato (comma 3) che le suddette finalità si ritengono comunque soddisfatte (nonostante la precedente esclusione), anche nell?ipotesi in cui le cessioni o i servizi vengano destinati ai soci e agli altri soggetti a essi equiparati, purché questi ultimi si trovino nelle condizioni svantaggiate precedentemente indicate. Con decisione dell?ultima ora, non del tutto armonizzata con il resto, vengono poi considerate comunque inerenti a finalità di solidarietà sociale le attività istituzionali indicate ai numeri 1), 3), 7), 8) e 11). La natura stessa di tali attività è considerata tale da far presumere come sussistente la necessarietà e il fine solidaristico delle stesse, senza quindi l?esigenza di dover sindacare sulla natura e sulle condizioni dei soggetti beneficiari. Per poter ottenere la qualifica di Onlus è altresì necessaria l?espressa inclusione nello statuto di una clausola di divieto di svolgimento di attività diverse da quelle istituzionali e da quelle alle stesse direttamente connesse, ed è disposto l?obbligo di uso della parola Onlus: il che vuol dire che anche per tali minuzie lo statuto andrà subito cambiato (con costi). È la norma stessa che chiarisce (anche se in maniera non molto nitida) quali siano le attività direttamente connesse a quelle istituzionali: esse sono quelle statutarie indicate ai numeri 2), 4), 5), 6), 9) e 10) svolte in assenza delle condizioni di solidarietà sopra descritte, e quindi anche se rese ai soci o a terzi soggetti non svantaggiati, nonché le attività accessorie per natura a quelle istituzionali in quanto integrative delle medesime. Siamo in merito dell?avviso che ?l?integratività? vada ravvisata sul piano delle funzioni, dei supporti materiali, non su quello, ad esempio, finanziario. Va peraltro sottolineato come i termini adottati di attività ?connesse?, ?accessorie?, e ?integrative?, avrebbero necessitato un?ulteriore e migliore specificazione da parte del legislatore; riteniamo in proposito che in un futuro prossimo, proprio su tali aspetti si incentrerà la materia del contendere con l?Amministrazione Finanziaria. La qualifica di attività connesse è in ogni caso subordinata al fatto che nell?ambito di ciascun servizio e di ciascun settore le stesse non prevalgano quantitativamente sulle attività istituzionali e che i relativi proventi non superino il 66 per cento delle spese complessive dell?organizzazione. Altra clausola da inserire nello statuto è un espresso divieto di distribuzione (a promotori o partecipanti), anche in modo indiretto, di utili, avanzi di gestioni, nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell?organizzazione (a meno che non sussistano casi di distribuzione imposti per legge, ovvero di distribuzione a Onlus consorelle). È la legge stessa a individuare una casistica di operazioni che vengono considerate in ogni caso distribuzione indiretta di utili: sul punto necessiterà molta attenzione, specie in sede di contestazioni. Si considerano, allora, distribuzione di utili o di avanzi: 1) le cessioni e le prestazioni rese a soci, fondatori, amministratori, revisori, collaboratori anche gratuiti, sovventori e mecenati, ovvero loro parenti o affini stretti o loro società, effettuate a condizioni economiche più favorevoli. Tale regola non opera nei settori dei beni culturali e dell?ambiente, allorché i vantaggi abbiano valore onorifico o modico; 2) gli acquisti di beni e servizi che, senza valide ragioni economiche (disposizione tanto adottata nella normativa antielusiva, quanto di facile aggiramento pratico…) siano di valori superiori a quello normale; 3) la corresponsione di gettoni di presenza ad amministratori e revisori superiori a quanto accordato per legge, quale livello massimo di compenso, al presidente del Consiglio sindacale di una Spa (ora 150 milioni annui); 4) la corresponsione di interessi passivi per i prestiti di qualunque specie, superiori di 4 punti al Tus, eccezion fatta per quelli corrisposti a banche o a intermediari finanziari; 5) il pagamento di stipendi superiori del 20 per cento a quelli previsti dai contratti collettivi (gli emolumenti ai lavoratori autonomi vengono ricompresi dalla relazione governativa nell?ambito degli acquisti di servizi previsti dal numero 2). È evidente come il divieto di distribuzione indiretta di utili abbia finalità antielusive; la particolarità della disposizione è data dal fatto che, forse, per la prima volta nel nostro ordinamento una norma con tale natura sia stata correttamente introdotta. Al fianco del generale divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili, vengono infatti indicate una serie di ipotesi esemplificative, ma non tassative, di distribuzione indiretta. Ciò significa che eventuali creazioni di forme di distribuzione indiretta di utili non rientranti nei cinque punti esaminati, ricadrebbero comunque sotto la ?scure? del divieto generale posto con espressa clausola statutaria. La legge non stabilisce nulla sulla sorte del ?capitale? costituito in esenzione di imposta, magari per insufficiente utilizzazione erogativa: anche se ciò non è previsto, è da ritenersi implicito un obbligo di intangibilità assoluto. Nello statuto va previsto un obbligo di reinvestimento degli utili o degli avanzi di gestione nelle attività istituzionali o in quelle alle stesse connesse; va inoltre espressamente statuito che in caso di scioglimento il patrimonio vada distribuito ad altre Onlus. Ulteriore e fondamentale obbligo gravante sulle Onlus (da includere nello statuto) è quello di redazione del bilancio o rendiconto annuale (finalmente…). Da tale bilancio dovrà risultare la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell?organizzazione, distinguendo nella sua struttura, quantomeno a livello economico, le attività direttamente connesse, da quelle istituzionali. È così finalmente possibile anche nelle gestioni non profit soddisfare l?interesse collettivo alla trasparenza anche nel senso di una possibile ricostruttibilità contabile di quanto fatto. Fatta eccezione per le fondazioni e gli enti ecclesiali, le Onlus devono (per statuto) creare una struttura organizzativa su base democratica; ciò comporta l?attribuzione del diritto di voto a tutti gli associati o partecipanti maggiori di età, e l?eleggibilità degli stessi, senza differenziazioni per categorie di soci, con pieni poteri di modifica dello statuto e di nomina dei rappresentanti e degli organi direttivi. Lo statuto, tranne che per gli enti ecclesiastici, deve imporre, come già accennato, l?uso della denominazione, e in qualsiasi segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, delle parole ?organizzazione non lucrativa di utilità sociale? abbreviabili in ?Onlus?. Per concludere va ricordato come gli enti ecclesiastici e le associazioni di promozione sociale vengono considerate Onlus – con conseguente applicazione della presente normativa – limitatamente allo svolgimento delle attività ?Onlus? in precedenza elencate, eccezion fatta per quelle connesse, purché per esse sia tenuta una contabilità separata. Non possono infine assumere la qualifica di Onlus gli enti pubblici, le società di capitali (a meno che non si tratti di una cooperativa), gli enti conferenti di azienda bancaria (ai sensi della legge Amato), i partiti e i movimenti politici, le organizzazioni sindacali, nonché le associazioni di datori e di categoria. Ma la sussistenza del presupposto del solidarismo rende superflua la più parte di questa disposizione di sapore leggermente ?demagogico?.

a cura dello studio Pettinato-Buscaroli


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