Cultura

Gay, Giochi proibiti?

Ad Amsterdam arriveranno la prossima estate oltre tremila atleti e alcune stelle internazionali. Tutti omosex. Coraggiosa provocazione o discutibile esibizione corporativa?

di Pasquale Coccia

Anche gli omosessuali hanno la loro Olimpiade. Anzi, no. Visto che il Cio, cioè il Comitato olimpico internazionale ha vietato di usare questo nome altisonante per i giochi che si terranno ad Amsterdam l?agosto prossimo e a Sidney nel 2002. Nella città olandese arriveranno la prossima estate ben oltre tremila atleti omosessuali, che praticano ogni tipo di sport a livello dilettantistico, e anche alcune stelle luminose dell?atletica internazionale che non hanno paura di dichiarare apertamente la loro appartenenza alla comunità gay. Vista la minaccia del Cio, la comunità internazionale gay ha così deciso di usare il termine ?games?: sicuramente più ludico e meno compromettente.
Ma una domanda rimane: queste manifestazioni favoriscono davvero una maggiore conoscenza e una maggiore presa di coscienza da parte dei cittadini dei diritti rivendicati con forza dagli omosessuali, oppure siamo di fronte a una manifestazione sportiva internazionale promossa solamente all?insegna dell?autorappresentazione e del narcisismo?
«Non sono assolutamente manifestazioni corporative», afferma Franco Grillini, presidente dell?Arcigay. «Anche i disabili hanno le loro olimpiadi, proprio perché ogni minoranza ha bisogno di affermare la propria identità culturale, psicologica e sociale. Per noi le olimpiadi gay rappresentano uno strumento potente per combattere il pregiudizio così fortemente radicato nella società, da presentare una visione completamente distorta dell?omosessualità. Oltre a essere un reale momento di festa, e l?occasione per rivendicare il diritto all?attività motoria anche da parte della comunità omosessuale, i giochi olimpici gay rappresentano una vera e propria provocazione», prosegue il presidente dell?Arcigay. «In particolare verso il mondo dello sport ufficiale, che si presenta sessuofobo e omofobo, conservatore e consumista».
Se da una parte le associazioni sportive omosessuali e l?Arcigay plaudono alla tre giorni fitta di gare che caratterizzeranno la città olandese l?agosto prossimo, dall?altra manifestano una certa irritazione verso quegli atleti italiani che sulla propria identità omosessuale preferiscono tacere, terrorizzati come sono dall?idea di essere scoperti da un ambiente che, in nome dei privilegi economici miliardari di cui godono, li vuole virili sempre, in campo e fuori.
«Nelle squadre che partecipano al campionato di calcio di serie A», conclude Franco Grillini, «vi sono numerosi calciatori, anche alcuni molto famosi, che vivono praticamente una doppia vita: omosessuale in privato, apparentemente virile in pubblico. È un atteggiamento sinceramente deleterio, perché nega l?identità psicologica omosessuale».
A un attore, a un ballerino è tranquillamente concesso dichiararsi omosessuale in pubblico, agli sportivi assolutamente no. Eppure i dati dicono che ben il 6,4 per cento dei maschi e il 5,3 delle femmine che praticano sport in Italia, sono dediti a pratiche omosessuali. E che il 3 per cento riguarda atleti di livello olimpico.
Il mondo dello sport ufficiale, però, tace. Le centinaia di miliardi degli sponsor internazionali, che finanziano questo ambiente, non consentono danni all?immagine.

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