Rocco ha un megafono in mano, la camicia arrotolata sull’avambraccio e sopra la maglietta del Comala Fc. Dagli spalti sta incitando una squadra di calcio. È composta dai ragazzi che in settimana studiano proprio accanto a dove lui gioca a carte.
Sugli spalti del Cit Turin, storica società sportiva all’ombra della Mole, manca poco al momento in cui una tribuna di 500 persone in giubilo esploderà in un memorabile abbraccio: la squadra degli ingegneri (quasi tutti fuori sede) nata per gioco tra gli studenti del centro culturale Comala un anno e mezzo fa, vince il Campionato di Terza Categoria.
È uno scatto che racconta. Uno dei tanti che da domenica scorsa rimbalzano tra i profili social, l’ultimo capitolo di una storia che sa di Torino e di quartieri, di partecipazione e senso di appartenenza. Eppure, è incominciata molti anni fa. Almeno dieci.
Una caserma, un milione di vite
«In effetti è un po’ strana tutta questa attenzione. Siamo qui da tempo». Andrea Pino sorride, seduto in uno dei tanti posti studio all’aperto che per chiunque passi da corso Ferrucci a Torino è impossibile non notare. È uno dei fondatori (oggi presidente) dell’associazione culturale che porta nel nome l’omaggio allo scrittore messicano Juan Rulfo: Comala è la sperduta cittadina in cui è ambientato uno dei suoi romanzi.
«Undici anni fa o poco più, questa era una caserma abbandonata con un milione di vite alle spalle», racconta. In effetti, l’imponente edificio che si affaccia su tre quartieri (Cit Turin, Borgo San Paolo e Cenisia) è stato nell’ordine mercato del bestiame, caserma intitolata al generale Alfonso Lamarmora e poi, una volta dismessa, sede di uno dei processi più complicati del Novecento italiano, quello a carico del nucleo storico delle Brigate Rosse. È stata la casa del primo Comitato di Quartiere, della biblioteca civica Sereno Regis e infine del primo Centro di Incontro.
L’hub sociale nell’ex-aula bunker del processo Br
Oggi Comala è l’hub in cui prendono forma le nuove vite di questi spazi: la grande aula studio al piano di sopra è la stanza in cui era stata allestita l’aula bunker per il processo alle Brigate Rosse, il punto in cui oggi si gioca a calcetto era il ricovero di sacchi di sabbia e mitragliatrici, mentre il bar sorge in quella che un tempo era la stalla dove si rifocillavano i cavalli delle truppe di artiglieria.
«Siamo partiti da quella finestra lassù – Andrea indica un angolo in alto dell’ex caserma -. Eravamo un’associazione di ragazzi, qualcuno già laureato, altri lavoravano. Nell’ambito di un percorso con la Città per lo sviluppo delle Politiche giovanili, era emerso un vuoto di proposte nella Circoscrizione 3. La caserma era abbandonata da tempo, noi avevamo una certa capacità manuale e soprattutto volevamo aprire una sala prove. Il nostro progetto fu accolto. Tutta l’ala musicale dove oggi si suona, si registrano dischi e trasmissioni radiofoniche l’abbiamo fisicamente costruita noi»
La vocazione universitaria
«Abbiamo aperto la sala prove e iniziato a organizzare concerti», continua Pino, «le serate si riempivano di ragazzi, molti erano studenti, soprattutto dal Sud. Ci siamo accorti che il quartiere aveva una vocazione universitaria fortissima». A pochi minuti a piedi, c’è il Politecnico, un ateneo prestigioso che, secondo le classifiche di settore, è nella top 50 a livello mondiale nell’area di Ingegneria: un polo in grado di attrarre da tutta Italia chi sceglie una facoltà ingegneristica.
«Un giorno una ragazza si ferma a parlare e ci lancia un’idea: perché non usate il cortile? Abbiamo messo due tavoli, in poco tempo sono diventati aule studio all’aperto. Se sei uno studente fuori sede, spesso condividi la casa con 5 o 6 colleghi: avere un luogo in cui studiare è prezioso». Intanto, la struttura cresce, si recuperano nuovi spazi, nasce un dialogo con le associazioni della zona. Comala diventa il luogo di aggregazione sociale e di comunità che mancava.
Dopo il Covid, la svolta: «Quando abbiamo riaperto, ragazzi che erano chiusi in casa da un anno riempivano i giardini che circondano l’ex caserma, ogni giorno aggiungevamo una fila di tavoli per dare una postazione a tutti. Oggi abbiamo 600 posti studio, tutti occupati nei periodi di sessione esami. Non c’è prenotazione né obbligo di consumazione o tessera, per molti questa è casa».
«Venni a Comala perché…»
La maggior parte dei frequentatori di Comala abita in zona e trascorre qui tantissimo tempo. Si studia ma non solo. In questi giorni un piccolo Festival resistente offre spunti per parlare di diritti e allevamenti intensivi, libertà e canzoni di protesta, ma in generale varie associazioni (e generazioni) gravitano qui.
«Un anno e mezzo fa ci siamo detti: facciamo attività sportiva. Siamo andati a parlare con il responsabile dei campi del Cit Turin (la società è proprio accanto a Comala, dalla tribuna si vede il cortile e viceversa, nda). Hanno accettato di farci giocare qui le partite in casa, e così abbiamo lanciato la proposta in un post». La settimana prima dell’inizio del campionato, con un provino improvvisato, nasce Comala Fc (sta per Comala Football and Cricket), una squadra di calcio a 11 iscritta al Campionato di terza categoria Figc. Se ne forma subito un’altra per il campionato Csi e da qui trova linfa un’associazione sportiva dilettantistica. «Oggi abbiamo sei squadre per 120 atleti tesserati: due maschili di calcio a 11, una femminile di calcio a 5, due di basket maschile e femminile e una di pallavolo mista». L’epilogo sta facendo il giro del web, e in effetti quella che si sta concludendo è un’ottima annata: i ragazzi del calcio a 11 vincono il Campionato di terza categoria, e a portare il primo trofeo della stagione (e della storia) del Comala Fc è la squadra di basket femminile che si è aggiudicata il Campionato Csi.
Lo sponsor sulla maglia? La difesa di un parco
Potrebbe essere la trama di un film motivazionale, sa di rivalsa e di bellezza. «La maggior parte dei nostri calciatori ha frequentato o frequenta Ingegneria e rientra nella categoria dei fuori sede, ragazzi che per studiare hanno dovuto lasciare il proprio piccolo paese e trasferirsi lontano da casa», racconta Pino, che per allenare la squadra ha preso un patentino, «sono storie diverse, ma in fondo si somigliano. Tutti hanno trovato in questo spazio il posto in cui mettere radici».
Attorno alla squadra di calcio, si è creato un senso di comunità che è figlio del percorso fatto fino a qui. Rocco che dal megafono canta i cori dei tifosi, i giocatori che sulla maglietta portano la scritta in difesa del Parco Artiglieri da Montagna (che proprio accanto a Comala, rischia di essere distrutto per fare spazio a un ipermercato), centinaia di studentesse e studenti che riempiono le tribune in una lega che di solito si gioca senza pubblico. Sono i volti di un centro culturale che è diventato un paese e forse anche qualcosa di più.
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