Famiglia
Laltro mio figlio,lItalia che sa adottare
Diecimila bambini in affido, quasi tre milioni di azioni di sostegno a distanza, più di 75 mila minori stranieri accolti ogni anno in Italia per brevi periodi di vancanza.
La famiglia italiana, è opinione comune, è la sorgente di tutti i mali del nostro Paese. Dalla mafia alla pedofilia, dalle raccomandazioni al calo delle nascite. È una famiglia chiusa, si pensa, che cova le nevrosi. Un presepe dove non sono ammessi i pastori, i Re magi, e spesso nemmeno il Bambinello. E invece le famiglie che accolgono ci sono e sono tantissime, nascoste e discrete come i presepi più belli.
Qualche dato: nel 1996 in Italia esistevano diecimila bambini in affidamento. Il che vuol dire: diecimila famiglie che si sono aperte per accogliere un bambino che temporaneamente non può stare con la sua famiglia di origine.
Settantacinquemila minori stranieri sono stati accolti in Italia nel 1997 per brevi periodi di vacanza. Centinaia di migliaia di famiglie hanno partecipato ad azioni di sostegno a distanza, fornendo a bambini lontani i mezzi necessari per sostenersi e studiare. Tra tanti dati positivi, uno negativo che dà il senso di quanto ci sia ancora da fare: sono quarantamila i bambini italiani ospiti degli istituti. Non mancano loro il tetto,o il cibo. Ma il sorriso, il rimprovero, il bacio della buona notte.
“Mamma corri, c’è mamma al telefono”. Non è la battuta di una commedia dell’assurdo. La pronunciava Marco, quando era un bambino dato in affidamento. Aveva perso il padre quando aveva cinque anni. Sua madre ebbe un esaurimento e si ammalò. A scuola andava male, aveva dei problemi caratteriali. Fino a che non incontrò Laura, la madre di un suo compagno di scuola. Lei prima cominciò a occuparsi di lui saltuariamente, poi in maniera sempre più assidua fino a che non ne ottenne l’affidamento. Marco cominciò a chiamare mamma la sua nuova madre, senza smettere di chiamare mamma la sua mamma vera. Oggi ha 25 anni, si è laureato in economia con 110, fa il volontario e il manager di una multinazionale. È l’orgoglio delle sue mamme.
La storia non è inventata: l’ha raccontata Claudio in persona a Reggio Calabria nel corso del convegno internazionale sull’affido organizzato dalla ministra Turco. Chi c’era riferisce di aver scoperto un’Italia diversa da quella delle cartoline. Un’Italia dove il detto: ?Di mamma ce n’è una sola?, non è più vero. Non sempre.
«L’affido temporaneo consiste proprio in questo», spiega Fulvia Tomizzi, dell?Anfaa (Associazione nazionale famiglie affidatarie), «ricreare un rapporto del bambino con la famiglia di origine. In questo l’affido temporaneo si distingue dall’adozione: l’adozione si rende necessaria solo quando i rapporti con i genitori di origine devono essere spezzati».
Anche Martina risponde fieramente a chi le fa domande: «Io ho due mamme e due papà». Martina è una bambina di otto anni. I genitori erano tossicodipendenti. Probabilmente se non fosse esistito l’affido li avrebbe persi. Invece attraverso la famiglia affidataria Martina è ruscita a ricostruire un rapporto con i suoi genitori. Spesso il padre affidante e la madre affidataria vanno insieme a prenderla a scuola, poi pranzano tutti insieme. «È stata dura», raccontano i genitori di Martina, «capire quanto fosse attaccata all’altra famiglia. Ma sappiamo che è per il suo bene. Al battesimo abbiamo scelto che il padrino e la madrina fossero loro».
Al suo battesimo Martina ha avuto vicino a sé i suoi quattro genitori. Non accadrà lo stesso ai tre milioni di bambini stranieri, in situazioni svantaggiate, sostenuti a distanza dalle famiglie italiane. Ma la presenza si sente ugualmente. «Abbiamo un nostro corrispondente in vari paesi del mondo», spiega Dario Cervi dell’Aibi, «lui ci fornisce una scheda in cui descrive la situazione del bambino che deve ricevere il sostegno. Noi lo mettiamo in contatto con la famiglia italiana, e poi lasciamo che l’amicizia si sviluppi privatamente. Sappiamo che molto spesso il rapporto non si limita all’aspetto economico: la famiglia italiana e il bambino straniero si scrivono, in qualche caso si incontrano»
Dalle parti di Siena c’è una piccola associazione, creata da una donna straordinaria, Maria Franca Lubrano Lavadera. È una donna italo-eritrea, e si occupa di far adottare a distanza i bambini africani dalle famiglie italiane. La sua filosofia è semplice: le famiglie si devono incontrare solo quando il bambino adottato ha raggiunto un livello culturale simile a quello della famiglia adottante. A quel punto le fa conoscere. Sono nate grandi amicizie e le famiglie della provincia di Siena hanno cominciato a diventare un po’ africane.
E poi bosniache, ucraine, bielorusse. Le famiglie italiane sono le meno provinciali del mondo, quando si tratta di ospitare un bambino straniero. Le statistiche sui bambini accolti in Italia per le vacanze sono impressionanti: solo dal 1° maggio al 31 agosto 1997 hanno passato le vacanze in Italia 37 mila bambini stranieri provenienti dall’Europa dell’Est e in maggioranza da Ucraina e Bielorussia per i programmi di disintossicazione a favore dei bambini della zona di Cernobyl. Ha raccontato la signora Rossana, che vive in provincia di Grosseto: «A Juri mi sono affezionata come a un figlio. Lui mi indicava un piatto nel mio libro di ricette e io glielo facevo. Ora ci scriviamo, anche con la mamma»
Famiglie doppie, famiglie a distanza, famiglie che non riescono a chiudersi. Come una famiglia di Como, che aveva fatto richiesta all’Ai.Bi. di adottare un bambino straniero. Allora era una coppia giovane, con una figlia di pochi anni. L’Ai.Bi. ha proposto un bambino con delle malformazioni agli arti. Loro hanno accettato senza fiatare. Poi hanno adottato un bambino africano, che a Milano non voleva nessuno, perché era troppo nero. Poi ancora hanno preso in affidamento un ragazzo brasiliano senza una gamba, lo hanno ospitato per un anno, gli hanno comprato una protesi, lo hanno fatto studiare informatica. Ora è tornato in Brasile, cammina, ha trovato lavoro. Grazie a due dei suoi genitori.
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