Cronache africane
Congo, la denuncia del cooperante: «La situazione è tragica e dimenticata»
Con oltre sei milioni di morti negli ultimi 30 anni, 250 etnie, 100 gruppi armati, nella Repubblica democratica del Congo si rischia l'ennesima carneficina. Per fare il punto, VITA ha intervistato Marco Puzzolo, regional area manager di Coopi per l'Africa Centrale: «In Congo l’emergenza cronica», dice. «E se ne parla troppo poco»
di Paolo Manzo
Cosa significa oggi essere congolesi? La domanda se la fanno in molti, ma è davvero difficile trovare una risposta anche per i 110 milioni di persone, divisi in 250 etnie, che vivono nella Repubblica Democratica del Congo. Il Paese ottenne l’indipendenza nel 1960 dal Belgio, al pari di Ruanda e Burundi.
La Repubblica Democratica del Congo – Rdc è un Paese figlio della decolonizzazione. È allo stesso tempo uno dei più ricchi di risorse, ma anche uno dei più corrotti, violenti e poveri. A partire dagli anni ’90 la guerra nella parte orientale del Paese ha ucciso circa 6 milioni di persone, il numero più alto in qualsiasi conflitto dalla seconda guerra mondiale. La catastrofe umanitaria nella Repubblica Democratica del Congo è la conseguenza di un conflitto che dura da 30 anni e che si è aggravato a partire dal 1990, quando prima e durante il genocidio dei tutsi in Ruanda del 1994 arrivarono nel Paese milioni di profughi, quasi tutti tutsi e, dopo l’arrivo al potere di Paul Kagame a Kigali, quasi tutti hutu.
Il Paese sta vivendo una guerra infinita. Per fare il punto sulla drammatica situazione che VITA ha intervistato Marco Puzzolo, regional area manager di Coopi per l’Africa Centrale, che nella struttura della ong comprende le missioni in Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana e Ciad.
Puzzolo, può descriverci la situazione attuale in Rdc?
La situazione è tragica e se ne parla troppo poco. Quello a cui assistiamo in questi anni ha delle radici profonde che derivano anche dal passato coloniale di questi Paesi. In un’ottica regionale, tra Rdc e Rca riscontriamo qualche similitudine a livello di situazione politica e socio-economica, nel senso che i due Paesi sono fortemente colpiti da un’insicurezza cronica e povertà estrema. La dinamica di conflitto vede contrapposte forze governative e numerosi gruppi armati, è legata allo sfruttamento delle immense risorse naturali, e influenzata da interessi stranieri. In Ciad invece al momento non assistiamo a conflitti interni tra gruppi armati e governo ma la problematica principale è dovuta agli effetti della crisi sudanese. In termini generali nella regione si assiste a una debolezza delle istituzioni statali, al fatto che la stragrande maggioranza della popolazione civile rimane in uno stato di povertà estrema e che le ineguaglianze si stanno ampliando.
La sua ultima missione in Rdc è durata un mese. Cosa ha trovato?
A parte la capitale Kinshasa, dove abbiamo l’ufficio di coordinamento, ho fatto il giro delle basi principali di Coopi in Rdc a Kananga nella provincia del Kasai Centrale e a Bunia, nella provincia dell’Ituri, a Est. Sono anche passato per Goma, in Nord Kivu, dove attualmente gestisamo le referenze mediche di ex-bambini soldato nel quadro di un progetto finanziato dal Fondo della Corte Penale Internazionale per le vittime di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. A Goma la situazione era tesissima. In quei giorni gli attacchi del gruppo armato M23 in un’area a circa 25km dalla città avevano generato lo sfollamento di più di un centinaio di migliaia di persone verso Goma.
Cosa fa Coopi in Rdc?
Siamo sul campo al fianco della popolazione congolese dal 1977. Lavoriamo sia in progetti di sviluppo che di emergenza a seconda del contesto locale. Attualmente i nostri principali settori d’intervento in Rdc sono il contrasto alla malnutrizione infantile e la protezione di bambini e donne vittime di violenza attraverso un’assistenza trasversale che include attività di sostegno psicosociale, reinserimento educativo e reintegrazione socio-economica. I nostri principali finanziatori sono la Banca Mondiale attraverso il Ministero della Salute della Rdc, l’Unione Europea, Unicef, il Fondo Umanitario delle Nazioni Unite e il Fondo della Corte Penale Internazionale. Implementiamo i nostri progetti in Kasai Centrale, Kasai Orientale, Haut-Katanga, Bas-Uelé, Nord-Kivu e Ituri. Anche se per ovvie ragioni geopolitiche e per il recente inasprimento degli scontri, Goma e la provincia del Nord-Kivu hanno una maggiore copertura mediatica, anche in altre aree del Congo Orientale e in particolare in Ituri la situazione è catastrofica e quindi interveniamo con progetti di assistenza umanitaria nell’ambito della nutrizione e protezione. Essendo ricca di risorse minerarie, principalmente oro, questa provincia è teatro di uno scontro di enormi interessi e quindi di una guerra che sembra essere infinita, dove i civili pagano sempre il prezzo più alto e si ritrovano a dover subire gli effetti della presenza di decine di gruppi armati, alcuni di questi anche di origine straniera.
Quali?
Il gruppo Adf, Allied Democratic Forces, che è di origine ugandese ma operano anche gruppi di autodifesa su base comunitaria e territoriale che si sono organizzati per difendere i propri interessi e la popolazione contro attacchi esterni. Oltre a questo ci sono rivalità di lunga data tra alcuni gruppi etnici come ad esempio gli Hema e i Lendu, radicate in tensioni storiche per terra e potere, che sfocia in cicli di violenze e massacri. Proprio nei giorni in cui ero a Bunia in Ituri, si è verificato ad esempio un massacro in una zona in cui in cui operiamo dove hanno perso la vita quindici persone. Ovviamente, l’insicurezza ha un effetto sull’accesso umanitario mentre i bisogni generati da questo stato di “conflitto eterno” sono enormi. Secondo i dati ufficiali delle Nazioni Unite solo nell’Ituri più di un milione e trecentomila persone hanno bisogno di assistenza umanitaria. Allo stesso tempo, trattandosi purtroppo di un’emergenza cronica, oltre a rispondere a bisogni urgenti, Coopi si è anche impegnato a mettere in atto progetti pluriennali a supporto delle vittime del conflitto, in particolare con progetti finanziati dal Fondo della Corte Penale Internazionale.
Il tribunale dell’Aja?
Esattamente. la Corte Penale Internazionale ha un fondo per le vittime di crimini di guerra e contro l’umanità, per la riparazione al danno subito. È un grosso progetto pluriannuale a sostegno di chi ha patito immani sofferenze nella seconda guerra del Congo, tra 1998 e 2003, per mano di criminali di guerra condannati dalla Corte. In particolare sosteniamo i bambini reclutati a forza nei gruppi armati.
Quanti ne state assistendo e come?
Circa duemilacinquecento. Il nostro aiuto è olistico, quindi comprende sia il sostegno medico a livello di salute fisica e mentale sia il reinserimento socio-economico, il quale include la formazione su determinate attività generatrici di reddito. L’obiettivo è contribuire a migliorare la qualità della vita delle vittime, affinché possano condurre una esistenza dignitosa e partecipare alla riconciliazione e al consolidamento della pace all’interno delle loro comunità.
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Quanti progetti avete in Congo attualmente?
In questi primi mesi del 2024, stiamo implementando 13 progetti con uno staff di circa 170 persone. Il numero viene aggiornato in base ai progetti di emergenza che entrano e, quindi, può variare nel corso dell’anno. Tra i membri del nostro staff, una quindicina sono internazionali, tra cui tre italiani. Il progetto più grande si trova nella provincia del Kasai Centrale ed è finanziato dalla Banca Mondiale attraverso il Ministero della Salute della Rdc. Ha l’obiettivo di rafforzare la lotta contro la malnutrizione infantile, supportando le strutture sanitarie locali e coinvolgendo attivamente le comunità. I destinatari del nostro sostegno sono quindi i bambini fino ai cinque anni e le loro mamme. Il progetto è iniziato nell’agosto 2023 e ha una durata di due anni.
Quante persone state aiutando nel Kasai Centrale?
Il progetto si estende su tutti i distretti sanitari della provincia, quindi contiamo di raggiungere circa 165mila beneficiari diretti e 490mila indiretti, insieme ad un’organizzazione partner congolese che si chiama Social Development Center.
E tra gli altri importanti progetti di Coopi in Rdc?
Ne implementiamo uno a favore delle ragazze madri sopravvissute a violenza sessuale durante il conflitto, sempre finanziato dal Fondo della Corte Penale Internazionale. Grazie al nostro lavoro in termini di formazione e supporto psicologico, stanno riuscendo a rimettere un po’ insieme la loro vita. Le loro testimonianze sono agghiaccianti.
Ad esempio?
Quella di una ragazza che ho incontrato a febbraio durante una visita di monitoraggio del progetto. Durante un attacco al suo villaggio, ha prima visto uccidere i propri genitori, poi è stata forzatamente reclutata da un gruppo armato e infine è sopravvissuta a violenza sessuale rimanendo incinta. È difficile anche solo concepire un dolore così.
Foto di apertura: Bunia/il centro di Coopi dove si aiutano le vittime di violenza sessuale/Credits/Julien Harneis
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