Arte
Il Vaticano in Biennale. Una mostra senza social
Il Vaticano sarà alla Biennale di Venezia e il cardinale prefetto delle Cultura, José Tolentino, ha voluto realizzarlo nel carcere della Giudecca con le detenute a fare da guida. Un allestimento che, giocoforza, non è "instagrammabile" perché il luogo è off limits per gli smartphone. La facciata della cappella "ri-affrescata" da Maurizio Cattellan
È il Padiglione di cui tutti parlano. È allestito nel carcere femminile della Giudecca: chi lo visita deve lasciare i cellulari all’ingresso. Così non c’è altro modo di vederla se non con i nostri occhi, come il titolo stesso annuncia. Una grande lezione per tutto il mondo dell’arte
C’è un fenomeno curioso che sta segnando questa nuova edizione della Biennale d’arte di Venezia: la cosa di cui più si parla è una cosa di cui non gira neanche un’immagine. Un paradosso per una manifestazione che vive di una ingordigia di immagini a 360 gradi, dai social ai siti fino alla carta stampata. L’oggetto di questo felice paradosso è il Padiglione con cui il Vaticano ha deciso di essere presente alla grande kermesse e che verrà anche visitato dal Papa il prossimo 28 aprile.
Allestimento in carcere, detenute le guide
Gli organizzatori, guidati dal cardinale José Tolentino, prefetto del Pontificio Consiglio per la cultura, hanno scelto di pensare e allestire il Padiglione all’interno della casa di detenzione femminile della Giudecca. Dato che per entrare in carcere bisogna lasciare all’ingresso i cellulari, ecco che accade il miracolo: la mostra di cui tutti parlano e per la quale tutti si mettono in coda, è una mostra “invisibile”. Invisibile esattamente come le persone che abitano il luogo in cui è stata allestita. Si è creato così un corto circuito che fa saltare le normali dinamiche della comunicazione: il silenzio mediatico si dimostra molto più potente dell’affannoso e tante volte insopportabile cicaleccio che pervade il mondo dell’arte. Maurizio Cattelan, un artista che è maestro come pochi nel conquistare visibilità cavalcando l’ansia dei nuovi media, ha ammesso che la scelta del Vaticano «è un gesto rivoluzionario perché ci obbliga a mettere piede in un territorio inesplorato, a guardare negli occhi chi ha perso la libertà».
Con i miei occhi,
una mostra che chiede di esser vista
Con i miei occhi è titolo il cardinal Tolentino ha voluto per il Padiglione vaticano affidando poi la selezione degli artisti a due curatori Chiara Parisi e Bruno Racine. Un titolo che oggi comprendiamo nella sua pienezza: è una mostra che chiede di essere vista con i “nostri” occhi, senza nessuna possibilità di mediazione. Chi l’ha vista con i “suoi” occhi potrà raccontarcela ma niente di più. Tocca noi andare a vedere e andare a sentire le guide speciali che accompagnano tra le opere degli otto artisti: sono infatti le detenute stesse, vestite con le divise bianche e nere che loro stesse hanno disegnato. Non sono soltanto guide, perché elementi delle loro vite sono confluite in alcune delle opere esposte: le placche di lava smaltate realizzate da Simone Fattal contengono parti di poesie scritte dalle detenute. Che vestono la parte di attrici nel cortometraggio girato da Marco Perego e Zoe Saldana. ha realizzato le sue opere partendo dai ritratti da bambine delle detenute e dei loro affetti, ritratti installati in una grande quadreria nella sala adiacente alla Cappella.
Infine sulla facciata della cappella Cattelan ha fatto dipingere su scala gigantesca della pianta di due piedi di un uomo. «I piedi insieme al cuore portano la stanchezza e il peso della vita» ha spiegato l’artista. Quasi un avvertimento di cosa si vedrà solo con i nostri occhi oltrepassando la soglia.
Nella foto di apertura, di Luca Bruno per AP/LaPresse, l’istallazione di Maurizio Cattelan alla Giudecca, svelata al pubblico il 17 aprile scorso.
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