Mondo

Sergio Segio: “Quel velo che inaridisce il cuore”

Saper piangere davanti alle sofferenze del nemico. Sergio Segio ha seguito il filo delle tante lacrime versate in questo anno.

di Luca Cardinalini

“Sì, quel termine: traiettoria, usato per raccontare il pianto, è molto indicativo. Purtroppo”. Sergio Segio, oggi impegnato nel volontariato del Gruppo Abele, ieri esponente di spicco di Prima Linea (ha ucciso e perciò ha trascorso più di 20 anni in carcere), riflette sulle parole di Desdemona Lioce. Vita: Cosa significano quei termini, quelle lacrime? Sergio Segio: Le lacrime sono una precondizione, necessaria ma non sufficiente. Possono irrigare il campo inaridito della coscienza individuale e sociale, poi però bisogna seminarci sopra. Vita: E qual è il crinale, la linea di confine? Segio: Il passaggio è il recupero della ragione e con essa della capacità di capire le ragioni dell?altro, dunque di com-patire. Solo restituendo all?Altro (chiunque esso sia e quali siano le sue identità, culture, riferimenti religiosi o politici) la sua indissolubile e irriducibile umanità, è possibile riconoscere e rinvigorire la propria. Altrimenti tutto il resto rientra e ritorna alla logica antica dell?occhio per occhio, dell?odio per odio. Vita: Chi spara, chi ha sparato, chi ha ucciso, poi piange? E per chi? Segio: Nelle biografie di chi usa le armi c?è sempre un?inavvertita, ma inesorabile, anestesia morale. Come uno smarrimento progressivo di sé, della propria umanità e delle proprie eventuali ragioni originarie. A questa disumanizzazione senza lacrime si supplisce con la remunerazione simbolica dell?ideologia. Chiudendo e inaridendo gli occhi di fronte alle sofferenze dell?altro ridotto a nemico. Vita: Occhi chiusi anche alle lacrime, quindi? Segio: C?è come un velo che porta a riconoscere solo la sofferenza tua, dei caduti della tua parte. Una nebbia ideologica che copre tutto, compresi i sentimenti privati, e tutto getta in una spirale di odio. Vita: Poi si muore soli. Segio: Il caso di Galesi a mia memoria è l?unico di una solitudine così totale. Anche il culto o il ricordo dei morti, quantomeno dei propri morti, era diverso tra organizzazioni, ma c?era. La morte di un compagno purtroppo serviva anche ad alimentare questa spirale, creando un vincolo e un obbligo morale per continuare la lotta. Vita: Le lacrime erano riservate per il dopo, magari in carcere? Segio: Non direi. In carcere sei veramente sotto osservazione e le lacrime ostentate potevano indicare un indizio di cedimento o di debolezza, quindi venivano rigorosamente nascoste o rimosse. Vita: Si dice che le lacrime che non escono vanno ad incrostare il cuore. Segio: “Bisogna indurirsi senza rinunciare alla propria tenerezza”, diceva Che Guevara. È un importante monito ma anche un grande inganno. La guerra, il terrorismo, la lotta armata, la violenza (cose diverse ma unificate dalla disumanizzazione dell?avversario divenuto nemico, il male) quali che siano le motivazioni e i presupposti sono un virus che contagia chiunque venga a contatto con il male. La logica della violenza è una malattia che non può essere curata omeopaticamente. Per immunizzarsi occorre negarla in radice. Il vaccino possibile certo è la realizzazione di maggiore giustizia ma, assieme, quello di educare ed educarsi alla pietas, al riconoscimento di una umanità comune. E bisogna saperlo fare unilateralmente, abbandonando il cinico bilancino che misura i torti e pesa le vite e le morti con parametri e sentimenti diversi, a seconda dalla maggiore o minore distanza da sé, dal colore della propria pelle, della diversa religione, ruolo sociale o convinzione politica. Vita: Una compassione planetaria è forse impossibile. Segio: Vero, ma il motto maoista sull?esistenza di morti che pesano come piume e di altri che pesano come montagne, tuttora riscontrabile in ogni angolo del mondo, è una cosmogonia che va messa in crisi, disarmando unilateralmente. Perché ciò non costituisce una resa, ma uno scarto radicale dalla trappola dell?odio. È la radicalità sintetizzata nel messaggio di san Paolo: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Romani 13,21). O, se vuole, il ?mettersi in mezzo? di cui ha parlato il cardinal Martini dopo l?11 settembre (“Ogni popolo guardi il dolore dell?altro e sarà pace”). Vita: Quali lacrime, delle tante che ultimamente hanno bagnato il nostro Paese, l?hanno più colpita? Segio: Forse quelle non versate. Un esempio: molti titoli dopo la strage di Nassiriya indicavano solo il numero dei morti italiani, mentre quelle dei civili iracheni era sepolto nelle cronache, una contabilità a parte. La pietas è disarmante, uno strumento potente, l?arma più forte di tutte.


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