Cultura

Linguistica e integrazione. Cari italiani, ma quanto arabo parlate

Molte parole come divano, zucchero o albicocca vengono da oriente. Un indizio della nostra vicinanza storica all’islam (di Pier Paolo Caserta).

di Redazione

Conoscere una civiltà con il sussidiario. Anzi, meglio: con l?abbecedario, quello strumento che ha insegnato ai nostri nonni a compitare le parole. Avvicinarsi a una cultura diversa dalla nostra come fossimo a scuola, davanti al libro di grammatica. Disorientati, all?inizio, poi sempre più certi, meno balbettanti. Ma sarà possibile? Con il mondo arabo, che pure appare a noi occidentali come qualcosa di vicino e lontano nello stesso tempo, comunque radicalmente inconciliabile con il nostro stile di vita, è possibile. Anche se non ce ne accorgiamo, infatti, nell?italiano sono presenti molte parole che vengono dall?arabo, e che ci ricordano una storia fatta di scambi, di commerci, di reciproci apporti tra le culture mediterranee nel corso degli ultimi 1.500 anni. Usiamo parole di origine araba tutti i giorni, e spesso ne impieghiamo anche molte nell?arco di una stessa giornata, anche se per lo più non ce ne rendiamo conto. Attraverso la Spagna Molte espressioni sono approdate all?italiano attraverso la mediazione dello spagnolo. La storia di questo doppio transito risale al periodo dell?occupazione araba in Spagna, che inizia nel VII secolo d.C. e si protrae fino al 1492, anno in cui cade Granada, ultima roccaforte moresca in Spagna. Il numero complessivo dei ?prestiti? arabi nello spagnolo è stato stimato intorno a 4mila. Queste parole abbracciano l?intero lessico dello spagnolo, ma se ne registrano molte soprattutto in alcuni ambiti particolari: nel lessico militare (Alcázar, fortezza o palazzo fortificato di origine araba, dall?arabo alqasr, a sua volta adattamento del latino castrum, accampamento, castello), nell?agricoltura (albaicoque, albicocca, dall?arabo barq¯uqa), nel commercio. La maggior parte di queste parole sono sostantivi e sono stati importati insieme all?articolo al. È il caso di molti altri vocaboli, che investono le aree più disparate del lessico. Ad esempio: alfiere (portabandiera; chi sostiene per primo o con più impegno una dottrina; caposquadra), dallo spagnolo alfèrez, che è a sua volta dall?arabo alf¯aris, il cavaliere. Il vocabolo ha una seconda forma: indica uno dei pezzi degli scacchi. Curiosamente, l?etimologia è diversa, benché sempre dall?arabo: da al-f¯il, l?elefante, perché originariamente il pezzo raffigurava tale animale. Alcova deriva dallo spagnolo alcoba, a sua volta derivato dall?arabo Al-qubba, volta, stanza contigua. La parola designava la parte della stanza, normalmente separata da un arco e chiusa da tendaggi, dove si collocava il letto. Nell?italiano corrente prevale tuttavia l?uso figurato, con il quale si indica la camera da letto o il letto stesso, nell?accezione di luogo d?intimità amorosa. Si tratta di un fenomeno caratteristico del mutamento semantico: una parola, venendo recepita da un?altra lingua, viene investita delle specifiche connotazioni culturali della comunità che la accoglie e il significato viene adattato di conseguenza. Casi come questo sono molto frequenti. Restando sul piano dell?arredamento domestico, indubbiamente non viene in mente a molti, tornando a casa stanchi dopo il lavoro e distendendosi sul divano, che la parola derivi dall?arabo d¯iw¯an, letteralmente lungo sedile. Le evoluzioni semantiche di questa parola sono di particolare interesse, perché dalla stessa etimologia deriva ugualmente la parola dogana, attraverso la trasformazione del significato di base da lungo sedile a ufficio. Un altro esempio di parole italiane diverse ma derivate dalla stessa etimologia, è offerto dalla coppia darsena/arsenale: entrambe vengono dall?arabo d¯ar-sin¯a?a, letteralmente casa del mestiere. Oltre ai numerosi sostantivi, non mancano gli aggettivi di origine araba che, anche in questo caso, sono transitati nell?italiano con pochi cambiamenti, quanto alla forma, rispetto allo spagnolo (ad esempio meschino, dall?arabo misk¯in, povero, misero). L?eredità scientifica Inoltre, dopo la caduta di Toledo una grande quantità di testi arabi di matematica, medicina, astronomia e alchimia vennero tradotti in latino, e proprio al latino l?arabo contese a lungo lo statuto di lingua ?colta? anche in molte università occidentali, fattore che ne favorì indubbiamente una nuova e rapida diffusione in Europa. Per quanto riguarda l?astronomia, sono di origine araba almanacco (dallo spagnolo almanaque, che è a sua volta dall?arabo alman¯ach, calendario), azimut (da as-samt?l, corso, direzione), zenit (da samt ar-ra?s, punto verticale nella volta celeste), nadir (che in arabo vale opposto), oltre a molti nomi di stelle e costellazioni, come Betelgeuse e Aldebaran. Nel campo della medicina, retina e cornea sono verosimilmente di origine araba (rispettivamente da ^sabakiyya e qarniyya), piuttosto che direttamente tradotte dai corrispondenti termini greci. Ma sull?etimologia di entrambi i vocaboli esiste almeno una seconda versione accreditata, secondo cui retina deriverebbe dal latino medievale retina(m), diminutivo di rete, rete, e cornea egualmente dal latino cornum, derivato di cornu, corno (dunque,simile a un corno, che ha forma di corno). L?indecisione sulla corretta etimologia testimonia in ogni caso dell?intenso intreccio tra le due culture. Un capitolo a parte meriterebbe la matematica, disciplina nella quale gli arabi toccarono altissimi vertici. Le tracce rimaste nella nostra lingua sono abbondanti. Due esempi su tutti: algebra, dall?arabo algiabr cioè reintegrazione, completamento, e algoritmo. Inutile sottolineare l?importanza che la nozione di algoritmo riveste nell?edificio della matematica. La parola deriva dal nome del matematico arabo del IX secolo Al-Khuw¯arizm¯i. Tuttavia, la Spagna non è l?unica fonte attraverso la quale le parole arabe sono giunte in Italia. Vi giunsero anche direttamente, dalla Sicilia araba e attraverso Genova e Venezia, fiorenti porti commerciali, e specialmente Venezia, centro privilegiato di scambi con l?Oriente. La differenza è che l?italiano ha preso i vocaboli arabi per lo più senza l?articolo al. Alcuni esempi: carciofo (nel nord Italia originariamente articiocco, spagnolo artichoke), dall?arabo har^s¯uf; cotone, (spagnolo algodón), dall?arabo qutn; zucchero (spagnolo azúcar), dall?arabo sukkar. In questi tre casi le altre lingue europee hanno successivamente preso la parola dall?italiano. La geografia dunque ci insegna che c?è l?Occidente e c?è l?Oriente, che si trova, si suppone, dall?altra parte. La linguistica ci mostra che, al di là di ogni facile confine, siamo tutti, quanto meno, un po? mediterranei.

Pier Paolo Caserta


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