Il lavoro del futuro
Un’umana e un’IA si sfidano nella scrittura. Chi fa meglio?
“Viaggio oltre l’ignoto” è un libro della casa editrice Il Castoro. Ma, soprattutto, è il resoconto di una sfida narrativa tra essere umano e macchina. Un’autrice esordiente, Valentina Federici, e un’Intelligenza Artificiale (per la precisione, cinque IA diverse), hanno ricevuto il compito di scrivere una storia romantica dovendo rispettare identiche regole di lavorazione, identici input, stesse fasi di scrittura. I risultati? Sono molto diversi, creativamente e stilisticamente
Il dibattito sulle Intelligenze Artificiali generative, cioè in grado di produrre in autonomia nuovi contenuti, sta creando scompiglio e scatenando reazioni diversissime tra loro. C’è chi protesta, chi rifiuta, chi vorrebbe distruggere o non vedere, chi pensa a come controllare e regolamentare gli altri, chi fissa paletti etici e morali, chi invoca prudenza, dannazione o l’intervento divino.
Poi c’è chi sperimenta e prova a immaginare. La casa editrice il Castoro, per esempio, ha pubblicato un libro, “Viaggio oltre l’ignoto” che contiene due racconti: il primo è opera di una talentuosa autrice umana qui al suo esordio, Valentina Federici. L’altro, invece, è opera di un’Intelligenza Artificiale, più nel dettaglio da cinque diverse intelligente artificiali.
Entrambe le intelligenze, quella umana e quella artificiale, hanno ricevuto le stesse regole e istruzioni, e si sono messe alla prova, si sono sfidate, scrivendo una storia d’amore che mettesse in gioco emozioni forti; e fosse appassionante o divertente da leggere. La scelta dell’ambito non è stata banale: questo, infatti, è un campo dove, per vulgata popolare, siamo portati a pensare che la simulazione digitale non sappia addentrarsi né addestrarsi più di tanto. O forse ci sbagliamo?
Un’opera a diciotto mani
Quello che ne è uscito è appunto “Viaggio oltre l’ignoto”, ideato, curato e scritto da tre autori di riferimento della letteratura per ragazzi di oggi: Pierdomenico Baccalario, Davide Morosinotto, Marco Magnone che descrivono l’esperimento nella sua fase di impostazione e avvio e ne commentano le conclusioni.
«Il libro è una creatura di Frankenstein partorita da più intelligenze diverse: le nostre, quella di Valentina Federici, GPT 3.5, GPT 4, Claude 1, Claude 2 e DeepL. Se i computer avessero le mani, sarebbe un’opera a diciotto mani».
Il libro è una creatura di Frankenstein partorita da più intelligenze diverse: le nostre, quella di Valentina Federici, GPT 3.5, GPT 4, Claude 1, Claude 2 e DeepL. Se i computer avessero le mani, sarebbe un’opera a diciotto mani»
Queste sono state le regole di ingaggio
«Abbiamo pensato a una trama e l’abbiamo affidata a un’Intelligenza Artificiale e a uno scrittore umano», racconta Morosinotto. «Abbiamo lavorato nello stesso modo sia con l’umano che con la macchina, fornendo consigli, suggerimenti, istruzioni, anche molto puntuali e dettagliate, ma senza modificare mai direttamente i loro testi». Inoltre, sia Federici che la IA avrebbero dovuto lavorare seguendo lo stesso numero di fasi di scrittura predefinite, per poter ottenere due processi confrontabili. «Di conseguenza, noi autori abbiamo comunicato con loro solo in forma scritta, in modo da poter produrre la documentazione necessaria di ogni fase del processo. Entrambe avrebbero potuto contare su idee, suggerimenti, direzioni, indicazioni, che chiameremo, senza la pretesa di insegnare niente, “istruzioni” ».
Queste sono state alcune delle indicazioni fornite (ne condividiamo solo una parte per non rovinare la sorpresa):
«Sia Valentina che le IA coinvolte hanno rispettato scrupolosamente tutti i parametri della trama, e questo fa sì che le loro storie abbiano diversi punti in comune».
Ma, forse, il punto più interessante è questo:
«Prima di iniziare l’esperimento, noi forse avremmo scommesso che il racconto di Valentina avrebbe avuto molte più sfumature emozionali, mentre la IA ci avrebbe regalato qualcosa di freddo, asettico e, insomma, robotico. Col senno di poi era una visione ingenua, e infatti è successo quasi l’opposto», spiega Morosinotto. «Valentina ha scritto una storia molto intensa, di sicuro non fredda, però intellettuale nel senso più ampio del termine. Dietro le pagine del suo racconto si scorge un mondo intero: c’è la mitologia che l’autrice ben conosce e ama, ci sono sorprendenti strizzate d’occhio pop. I sentimenti sono al centro della narrazione, ma non sono il solo elemento che la rende unica e preziosa; sono il tassello vitale di un grande puzzle di infinita complessità, in cui lei, se volesse, potrebbe ambientare altre cento avventure».
Di contro, «la IA ha scritto una storia che non ha alcuna complessità. È una sequenza piuttosto ripetitiva di amore-mostro-battaglia-amore-mostro-battaglia. Ma con pagine e pagine di struggimenti e batticuori. Poche e ripetitive azioni, insomma, senza grandi colpi di scena e con le emozioni sempre al centro, quasi fossero l’unico interesse, l’unica cosa che val la pena raccontare».
Queste osservazioni ne generano altre, ancora più filosofiche: che cos’è l’uomo? Cosa ci rende tali? Quale ruolo rivestono le emozioni nella definizione del nostro “io”, in senso ontologico?
Il futuro che ci aspetta
Le conclusioni a cui gli autori sono giunti sono parecchie. In sintesi, «possiamo dire che, almeno per ora, far scrivere a una macchina un intero racconto dall’ideazione all’editing finale è una pessima idea», conclude Morosinotto. « Non è che non si possa fare, ma ci sembra che il confronto con l’umano sia ancora (e per fortuna) impietoso».
C’è un però: «la prima volta che abbiamo fatto clic e un intero capitolo di racconto si è scritto sotto ai nostri occhi in una manciata di secondi, (quando ciascuno di noi ci avrebbe messo mezza giornata di lavoro), abbiamo avuto un sussulto di panico. Solo quando lo abbiamo letto, al panico si è sostituita la consapevolezza di quanto ancora la creatività e la tecnica umana siano imprescindibili e di quanto lavoro avessimo davanti per ottenere un testo accettabile».
Le IA sanno confezionare una storia che sembra vera, ma poi non funziona
Davide Morosinotto
«Ma siamo solo agli inizi. Già oggi dobbiamo riconoscere che le IA sono molto più brave di noi (nel senso di altrettanto brave ma più veloci) a schematizzare, sintetizzare, riassumere, scalettare, cioè dividere un’azione in sotto-azioni. Non riescono altrettanto agilmente a uscire dagli schemi, inserire imprevedibilità e colpi di scena, considerare i significati simbolici e profondi di quello che scrivono, vale a dire intercettare il senso che va oltre le parole e capire che non tutto l’imprevedibile, o l’uscita dagli schemi, fornisce un risultato esteticamente gradevole. In sintesi, per scrivere non basta far accadere una cosa imprevedibile. Deve essere una cosa imprevedibile che sia però “bella” e portatrice di significato. Quindi le IA sanno confezionare una storia che sembra vera, ma poi non funziona».
Ci sono poi almeno altri due aspetti non trascurabili per chi fa questo mestiere, ovvero quello del diritto d’autore e del diritto al lavoro. Troverete interessanti riflessioni nelle ultime pagine del libro.
In apertura, foto di igor-omilaev- by-unsplash
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