Non profit
La Finanza etica in 5 domande
ANTEPRIMA - Marco Vitale traccia un bilancio della finanza etica italiana, all'uscita della Guida alla Finanza etica 2004, in edicola da oggi con VITA e uno speciale E&F. Da non perdere!
di Marco Vitale
Perché la raccolta dei fondi socialmente responsabili è tanto diminuita in questo 2003? E che destino avranno le istituzioni che si sono date un profilo rigoroso come le ?banche etiche?? Potrà questa finanza virtuosa esercitare davvero una salutare pressione sul sistema produttivo? E che ruolo può avere lo Stato al di là delle idee di stampo assistenziale auspicate da Maroni?
Negli ultimi dieci anni si è sviluppato nel mondo finanziario un filone operativo di notevole interesse. Mi riferisco al filone (chiamato impropriamente finanza etica) del risparmio gestito da fondi di investimento che investono solo in emittenti titoli che rispondono a determinati standard di responsabilità sociale. Questi standard si sono sviluppati gradualmente nel tempo e hanno raggiunto oggi un buon livello di elaborazione e sofisticazione attraverso società di rating specializzate. Nel primo stadio ci si limitava a escludere gli investimenti in imprese che fabbricavano armi o prodotti alcolici. Oggi le griglie di selezione sono elaborate e sofisticate e si riferiscono a: tipo di prodotto, qualità dei rapporti con il personale, rispetto dell?ambiente, natura e qualità dei rapporti con i fornitori e via dicendo.
La selezione degli emittenti qualificabili è molto complessa e richiede prolungate analisi e studi degli stessi da parte di società specializzate e, sulla scorta delle raccomandazioni da queste fornite, da appositi comitati. Il gestore potrà fare le sue scelte solo nell?ambito di liste di emittenti così selezionate (altro che qualche commissione ministeriale e professorini per dare il timbro di conformità alle direttive ministeriali per avere le detrazioni fiscali!). Non credo che il ministro Maroni sappia, per esempio, che un fondo etico serio, che segua i suggerimenti di una delle più qualificate società di rating del settore, non può investire in titoli dello Stato italiano, perché questo non è considerato un emittente sufficientemente socialmente responsabile in quanto non assicura, in modo accettabile, i diritti personali (eccessiva lunghezza dei processi) e la libertà di informazione (eccessiva concentrazione dei media) e per altri motivi.
Questi fondi non hanno, come obiettivo, quello di cofinanziare il Welfare o di aiutare i disabili (come sembra presupporre la retorica ministeriale) ma, come per tutti i fondi, quello di dare un buon rendimento ai risparmiatori, pur investendo solo in emittenti che devono rispondere a predeterminati e verificati requisiti di rispetto di certi valori.
Anche se nati da spinte diverse, questi fondi tendono, dunque, a investire in imprese il cui comportamento è, in sostanza, in linea con quello indicato dalla buona teoria d?impresa e di management. Quindi è in atto una forte convergenza tra tale teoria e questi concreti comportamenti di investimento. Perciò io credo che questi fondi, che certamente non prenderanno gli spunti speculativi del mercato, alla lunga realizzeranno anche ottimi risultati economici per i propri investitori, perché non investiranno in emittenti come Enron, o il governo argentino o la Cirio. Perciò penso anche che avranno un forte sviluppo.
Dovrebbe essere chiaro che questo filone, che cerca di guidare le imprese verso comportamenti virtuosi e di investire i risparmi gestiti in emittenti che abbiano tali comportamenti, non ha niente a che fare con le contribuzioni che le imprese possono decidere di dare per l?assistenza sociale.
I due temi vanno, dunque, tenuti ben distinti. Ho dovuto cercare di inquadrare in termini generali la problematica perché spesso assistiamo a un uso disinvolto di concetti e categorie indefinite e indefinibili.
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