Sustainability portrait

Con il sociale si viaggia insieme

Puntata della rubrica sui manager Esg con Roberto Olivi di Bmw Italia. I progetti di inclusione, il compito di accompagnare le associazioni a muoversi come imprese. Ma anche il futuro dell'auto e la «sfida della circolarità». Con la spinta di un maestro: Alex Zanardi

di Nicola Varcasia

Roberto Olivi è il direttore relazioni istituzionali e comunicazione di Bmw Italia. La sua responsabilità abbraccia anche i progetti di Corporate social responsibility del Gruppo nel nostro Paese, in accordo con le linee guida della casa madre di Monaco, in Germania. La nuova puntata dei Sustainability portrait si affaccia dunque per la prima volta all’automotive, un settore al centro della transizione ecologica e tecnologica.

Com’è iniziato il suo percorso professionale?

Ho una formazione umanistica, sono laureato in lettere moderne alla statale di Milano con indirizzo storico-filosofico. Ho iniziato a lavorare in una piccola agenzia di comunicazione occupandomi proprio del settore automotive.

Era già appassionato di auto?

Mi attiravano le automobili, ma anche le complessità e sfaccettature del settore che vanno oltre al prodotto, ad esempio i temi industriali, ambientali e finanziari.

Poi?

Ho fatto un’esperienza di due anni a Maranello, in Ferrari quando, nel 2001, si è presentata l’opportunità di lavorare in Bmw, per il lancio della nuova Mini, che rinasceva sotto l’insegna del Gruppo. Dopo alcuni step intermedi, nel  2014 mi è stata affidata la direzione della comunicazione.

Quando l’incontro con i temi specifici della sostenibilità?

Proprio perché la passione per l’automotive è sempre stata a 360°, mi è venuto quasi naturale occuparmi fin da subito di tutti gli aspetti, cercando di maturare una visione più larga possibile.

Un compito facilitato da un Gruppo che fa di questi temi un elemento valoriale, anche nell’ottica di differenziarsi dagli altri player. A me toccava cercare di declinare in Italia la strategia dell’azienda, focalizzata su quattro temi: inclusione sociale, intercultura, sostenibilità e promozione di giovani talenti.

Come vi siete mossi?

Creando il progetto Bmw SpecialMente, che ha inserito in una cornice unitaria le attività di corporate social responsibility del Gruppo in Italia, focalizzandole sui quattro temi strategici.

Qual è il vostro metodo per sviluppare la responsabilità sociale?

Fare qualcosa per gli altri è già un aspetto di per sé positivo. Ma, per diventare rivelante e far sì che abbia una consistenza nel tempo, è necessario cercare da un lato di consolidare e dall’altro di restringere un po’ il campo.  

A cosa serve questo approccio?

Facilita nello scegliere le attività di nostra pertinenza rispetto ad altre che, pur essendo importantissime, non possono diventare parte della nostra strategia. Questo ci aiuta ad essere chiari con tutti gli interlocutori, soprattutto con quelli a cui, per questi motivi, siamo costretti a dire di no.

Qual è invece la parte più appassionante del suo lavoro?

È la condivisione delle esperienze. Quando trascorro del tempo con i protagonisti dei nostri progetti, ad esempio la scuola di sci per disabili SciAbile, i ragazzi di Diversamente Disabili di Emiliano Malagoli o gli atleti della boccia paralimpica, incontro dei mondi straordinari, dove si pensa, in buona fede, di dare qualcosa ma, in realtà, è molto di più quello che si riceve. Si respira un’energia e una capacità di andare oltre straordinaria che diventa un momento di continuo apprendimento.

A chi vi siete ispirati?

Ho avuto la fortuna di passare tanti momenti e attimi della mia vita insieme ad Alessandro Zanardi, che è stato un maestro per tutta l’azienda. Con il tema del talento residuo, ci ha aiutato a comprendere che cosa sta alla base di questo modo di vivere la vita.

In che cosa consiste?

La prima volta che Alex mi ha parlato del talento residuo gli ho chiesto che cosa stesse dietro questa bellissima frase. Lui ha detto che riguarda l’attitudine nei confronti della vita, nel momento in cui viene a mancare o viene tolto qualcosa: puoi vivere il resto della tua vita rimpiangendo per sempre di essere stato sfortunato, di aver perso una cosa importante, o di essere nato semplicemente in condizioni diverse, oppure chiederti cosa puoi fare con il talento che è rimasto. Credo che questo insegnamento valga trasversalmente per tutti e prescinda il tema della disabilità o degli incidenti. È la capacità di guardarsi dentro e dire: con quello che ho che cosa posso fare?


Che cosa insegna questo atteggiamento a chi organizza attività di responsabilità sociale?

Che queste attività vanno affrontate, misurate e analizzate con lo stesso spirito di un’impresa. La passione e generosità connaturate a queste associazioni spesso porta a trascurare un’idea di sviluppo. Ma, come accennavamo prima, il vero aspetto differenziante, il passo in più che soprattutto le aziende come la nostra devono fare è far lavorare le associazioni come se fossero delle imprese.

Anche con loro bisogna puntare alla sostenibilità nel lungo termine?

È importante iniziare questo tipo di attività, ma lo è ancor di più che durino nel tempo. Come azienda che si occupa di business tutti i giorni, possiamo cercare di trasmettere quei modi di lavorare che consentano a queste iniziative di durare nel tempo. Dietro la passione ci vogliono la struttura, la comunicazione, il piano di marketing e la solidità finanziaria. Ed è quello che facciamo dal 2011, anche a livello internazionale con il premio Intercultural Innovation Award in partnership con Unaoc (United alliance of civilization) delle Nazioni Unite.

Come funziona?

Al di là del sostegno economico assegnato ad alcuni premiati, la parte più importante è quella in cui viene fatta formazione per queste onlus, supportandole sul business plan, in modo da aiutarle a durare nel tempo.

Parliamo di sostenibilità in generale, come ha vissuto il vostro Gruppo la crescita di attenzione verso questi temi?

Mi piace ricordare che, nel lontano 1973, Bmw costituiva un ufficio di protezione ambientale all’interno dell’head quarter. L’impegno su questo fronte non è dunque legato alle mode, è un metodo di lavoro.

Qual è la sfida più importante in questo campo per voi?

Visto l’utilizzo intensivo che viene fatto da più parti del termine sostenibilità, per noi è importante sottolineare che la vera sfida è quella circolarità, ossia ragionare su tutti i processi produttivi in modo tale da rendere sostenibile l’impatto complessivo.

Non solo auto elettrica quindi?

Oggi si parla tanto di mobilità elettrica, come se la soluzione del problema ambientale dal punto di vista delle quattro ruote fossero le auto elettriche circolanti per strada. Il tema non è semplicemente quanta Co2 produce un’automobile in movimento, ma capire qual è l’impatto di quell’automobile dal momento in cui sono state scelte le materie prime fino a quando viene smaltita. Controllare questo processo è molto più serio e difficile: noi stiamo lavorando in questa direzione con obiettivi già al 2030 molto chiari di ridurre del 40% le emissioni complessive di Co2 dell’intero ciclo di vita dell’automobile.

Come ci riuscirete?

Servendoci di fornitori certificati green, che usano solo energia verde. Lavorando sulla certificazione delle materie prime e su tutti gli stabilimenti affinché funzionino anch’essi con energia verde. E assicurandoci che nelle automobili vengano utilizzati sempre più materiali secondari.

Che cosa sono?

Non solo la macchina deve essere il più possibile riciclabile e smantellabile (siamo già a oltre il 90%) ma dobbiamo assicurarci che questi materiali siano utilizzati per produrre quelle nuove. Quindi bisogna cambiare il sistema produttivo e il modo di disegnare e ingegnerizzare le macchine. Si tratta di una sfida molto più importante e seria.

Oggi tutti mettono una bandierina sul tema della sostenibilità, perciò noi abbiamo spostato l’asticella un po’ più in alto affermando che il tema non è essere sostenibili a parole, ma avere un approccio serio e misurabile anche in questo senso.

Come vi preparate al futuro della mobilità su quattro ruote?

Lavoriamo in modo dinamico e flessibile: in mercati come quelli di Norvegia, Svezia e Danimarca, dove il tema della sostenibilità ambientale è fortissimo, arriviamo a vendere quasi il 90% di auto elettriche nella gamma. Nel sud Europa emerge una maggiore attenzione sulla sostenibilità sociale. Anche per questo, ricollegandoci ai temi Csr, in Italia siamo focalizzati sui temi della diversity, dell’inclusione e del supporto a programmi per ragazzi disabili.

Non c’è dunque una risposta univoca.

Ci sono risposte in linea con le attese e le esigenze del singolo Paese. In Italia, l’anno scorso, le vendite di elettrico erano il 4%. Bisogna trovare l’equilibrio tra esigenze e sensibilità diverse.

Rispetto all’auto elettrica?

Siamo per la neutralità tecnologica e rimaniamo aperti a tutte le soluzioni. Qualche anno fa, la posizione degli analisti era più critica nei nostri confronti, sembrava che non credessimo abbastanza nell’elettrico. Ma l’analisi si è rivelata non vera: l’anno scorso siamo arrivati al 15% delle vendite globali di auto elettriche, abbiamo dichiarato che al 2030 saremo al 50% e, dal 2030, due brand iconici come Mini e Rolls Royce produrranno solo vetture elettriche. Inoltre, dal 2026 lo storico stabilimento di Monaco produrrà solo auto elettriche.

Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro dell’auto?

La visione a lungo termine dell’elettrificazione è chiara, gli scenari però sono differenzianti e differenziati, perché i mercati vanno a velocità differenti in Europa, Asia e America. Non dimentichiamo che nel 2023 oltre l’80% delle vendite mondiali è stato ancora di vetture non elettriche. Bisogna guardare la realtà. Noi continuiamo a investire su tutte le forme di tecnologia e a migliorare l’efficienza delle vetture a propulsione tradizionale. Ma abbiamo introdotto anche una tecnologia innovativa, quella dell’idrogeno fuel cell, molto promettente per emissioni e tempi di ricarica.

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