Bandi
Adolescenti e disagio psichico, 2 milioni per il terzo bando Attenta-Mente
Fondazione Cariplo lancia la terza edizione del bando dedicato al disagio psichico di bambini e adolescenti, con un'analisi dei dati inediti rilevati attraverso il lavoro sul campo dei primi 34 progetti avviati. Emerge il rischio di eccessiva medicalizzazione e “privatizzazione” degli interventi e la necessità di avviare azioni di natura più trasformativa che riparativa
Cinque milioni e 200mila euro e 34 progetti con il primo bando, nel 2022. Quattro milioni e 23 progetti nel 2023. Complessivamente quindi sono 57 i progetti in atto in questo momento nel territorio lombardo e del Verbanio-Cusio-Ossola per la salute mentale e il benessere emotivo, psicologico, relazionale di bambini e adolescenti, ma il bisogno resta alto e così Fondazione Cariplo lancia un terzo (e ultimo) bando Attenta-mente, da 2 milioni di euro, con scadenza il 2 luglio 2024. Verrà presentato martedì 7 maggio alle ore 11 presso MEET – Digital Culture Center a Milanoe in streaming (registrarsi a questo link).
Nell’incontro verrà presentato anche un nuovo Quaderno dell’Osservatorio Cariplo dedicato a neurosviluppo, salute mentale e benessere psicologico di bambini e adolescenti che ha raccolto e analizzato gli accessi ai servizi sanitari in Lombardia avvenuti prima, durante e dopo la pandemia.
«Rispetto ai 34 progetti avviati con il primo bando abbiamo raccolto in modo sistematico una serie di dati che abbiamo discusso all’interno di una comunità di pratica. Il punto è che di questo tema spesso si parla in base ad esperienze sul campo che sono ovviamente importantissime ma che ci restituiscono un’immagine un po’ frammentata, in parte soggettiva e comunque molto localizzata. I dati emersi dai progetti non hanno un valore scientifico perché il campione non nasce con quella finalità, ma permettono comunque di fare alcune riflessioni interessanti», ci raccontava poche settimane fa Katarina Wahlberg, programme officer nell’Area Servizi alla Persona di Fondazione Cariplo. «Le reti nel loro insieme hanno raccolto moltissimi dati non sui ragazzi coinvolti a livello di prevenzione – quello sarebbe impossibile – ma sui ragazzi con i profili diciamo più gravi, sulle prese in carico più strutturate. I 34 progetti seguono complessivamente 640 ragazzi che hanno una presa in carico strutturata e il 70% di essi non era noto ai servizi prima del progetto: questo è un segno della capacità di intercettazione precoce delle reti e in parte anche di quante situazioni molto complesse erano fuori dal radar dei servizi, per tante ragioni».
Il tema è sempre caldissimo. Negli States in queste settimane sta facendo discutere il nuovo libro dello psicologo sociale Jonathan Haid, The Anxious Generation. How the Great Rewiring of Childhood Is Causing an Epidemic of Mental Illness. Ne ho parlato nell’ultimo numero di Dire, fare, baciare, la newsletter riservata agli abbonati di VITA che tratta di educazione, famiglia, scuola. La tesi di Haid è che la GenZ – che, dati alla mano soffre di ansia, depressione, autolesionismo più di qualsiasi altra generazione per cui esistano dati confrontabili – si trovi in questa condizione perché è la prima generazione della storia ad essere cresciuta con uno smartphone in mano. Hanno cioè vissuto un’infanzia e un’adolescenza radicalmente diversa, che non ha conosciuto la libertà del gioco all’aperto tra pari e che ha portato a una sorta di diverso “cablaggio” delle loro connessioni sinaptiche di cui oggi emergono le conseguenze. Non per nulla fra Inside Out 2 avrà un nuovo personaggio: Ansia.
In questi anni di lavoro sul campo, molti suggeriscono di rintracciare le concause di questo malessere diffuso anche nella fragilità del mondo adulto e nelle carenze e disfunzionalità dei contesti e dei modelli educativi. «Il dibattito in corso mette pertanto in guardia dal rischio di eccessiva medicalizzazione e “privatizzazione” dei disagi emergenti (solo cure individuali e ricorso ai servizi specialistici)», spiega Fondazione Cariplo. La realtà insomma «sollecita un lavoro di ascolto, prevenzione e intercettazione precoce, in particolare negli ambienti di vita dei bambini e ragazzi (la famiglia, la scuola e i contesti di educazione non formale) attraverso un sostegno agli adulti di riferimento, una sensibilizzazione e una formazione che contribuiscano a una maggiore consapevolezza e capacità di leggere tempestivamente i segnali di disagio e di rischio; inoltre, suggerisce fortemente di creare “ponti” e spazi di collaborazione tra le famiglie, i servizi educativi, sociali e sanitari».
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Nelle tre edizioni del bando, così, l’approccio è un po’ cambiato: «Il fuoco rimane sui ragazzi, però mentre nel primo bando con 34 progetti si prevedeva il coinvolgimento – come beneficiari di tutte le azioni, dalla sensibilizzazione fino alle prese in carico più specialistiche – di 37mila minori e 7mila adulti, ecco che nella seconda edizione abbiamo 23 progetti che prevedono il coinvolgimento di 28mila minori e 23mila adulti. Questo è interessante perché ha a che fare con lo smettere di guardare questi ragazzi come se fossero loro i problematici e col cominciare a chiederci di più noi come adulti cosa stiamo mettendo in campo da un punto di vista educativo e di capacità di ascolto», diceva già commentando il secondo bando Katarina Wahlberg. E anticipava che nel terzo bando «la preoccupazione principale sarà di sollecitare i territori ad essere ben consapevoli di quello che già esiste, scandagliando quelle aree che sono meno coperte per fascia d’età o per territorio o per problematica».
«Le leve educative e sociali possono essere determinanti per affrontare situazioni che quando arrivano al sanitario sono oramai difficili da risolvere, tanto più se “in solitaria”», si legge nel nuovo bando. «Diverse voci invocano e avanzano proposte operative per un ripensamento dei setting educativi e un rinnovamento dello sguardo degli adulti, la necessità quindi di avviare azioni di natura più trasformativa che riparativa. Risposte che, più che sul bambino/ragazzo (visto spesso come “problematico o disfunzionale”), agiscano in primis sul contesto perché esso non generi involontariamente disagio, sappia invece attivamente promuovere benessere e poi, laddove necessario, accogliere e sostenere le fragilità». In questo momento tuttavia risulta ancora prioritario intervenire sulle situazioni di disagio, alla luce dei molti bisogni ancora senza risposta, sostenendo l’attivazione di tutte le risorse disponibili per contribuire a dare un sostegno immediato ai tanti ragazzi che le vivono, nella consapevolezza che nel medio-lungo periodo sarà necessario investire maggiormente su sistemi di prevenzione diffusa e sulla promozione attiva del benessere.
Foto di Emmanuel Olguín su Unsplash
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