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Africa d’oro

Ha passato gran parte della sua vita a studiare, collezionare e recuperare i capolavori dell’arte del continente nero. Intervista a Ezio Bassani (di Jonathan Massarenti).

di Redazione

Per curare un progetto ambizioso quale Africa. Capolavori di un continente, gli organizzatori hanno fatto appello a uno dei massimi esperti internazionali. Così se i visitatori potranno apprezzare gli oltre 400 ?capolavori? esposti alla Galleria d?arte moderna di Torino fino al prossimo 15 febbraio, lo dovranno in gran parte a lui, Ezio Bassani, e un po? al caso. Già, perché è il caso che ha condotto negli anni 50 questo imprenditore varesotto appassionato di arte moderna, a imbattersi per la prima volta in una mostra organizzata a Roma dal museo belga ?africanista? di Tervuren. Da lì, grazie anche all?assenza totale di preconcetti, una buona memoria visiva e ?tanta voglia di imparare?, ha avviato una grandissima carriera di collezionista d?arte africana che lo ha visto collaborare con i più grandi direttori di musei e storici dell?arte del secondo ?900 ?africanistico?. Bastano pochi dati per intuire quanto la sfida lanciata dalla mostra di Torino ai critici d?arte ?occidentali? e al grande pubblico, rappresenti, agli occhi modesti di questo ultrasettantenne, il culmine di una vita passata a studiare, viaggiare, osservare, raccogliere e divulgare le opere d?arte del continente sub-sahariano. Nel 1984 riesce ad esporre al Palazzo Strozzi di Firenze la mostra Tesori dell?Antica Nigeria; quattro anni dopo, il Center for African Art di New York lo chiama per una mostra dedicata all?Africa and The Renaissance; nel 91, organizza, per conto della National Gallery of Art di Londra, la sezione dedicata all?Africa della mostra Circa 1492 sull?età delle scoperte; nel 1998 entra a far parte del comitato scientifico della commissione incaricata di ?prefigurare? il futuro Musée de Branly interamente dedicato all?arte cosiddetta ?primitiva?. E poi ci sono i tanti, tantissimi libri. Ma com?è nata questa passione? Vita lo ha chiesto direttamente a lui.

Tutti hanno detto: “è una mostra unica”. Perché lo è?
Direttori di musei e critici d?arte internazionali sono concordi nel dire che mai un numero così rilevante di capolavori sia stato messo insieme. Questa è la più grande mostra di arte africana mai realizzata nel mondo. L?ultimo confronto che si può fare è con la mostra realizzata alla Royal Accademy di Londra. Vi erano più opere, ma di qualità minore. Certo, non è una mostra esauriente. Bisogna vederla come un?occasione per affrontare una serie di problematiche.

A che tipo di problematiche si riferisce?
Ancora oggi, per interpretare le opere d?arte africane si privilegia una lettura di tipo etnografica. Con tutto il rispetto, questa lettura ha il difetto di analizzare l?oggetto artistico africano attraverso la sua funzione sociale, politica o religiosa, escludendo l?analisi dell?oggetto sotto l?aspetto meramente artistico, ad esempio la bellezza estetica, la complessità delle forme raggiunte in un?opera e via dicendo. Inoltre, vorrei che si capisse che l?Africa ha generato grandi civiltà espresse dalla qualità straordinaria degli oggetti d?arte prodotti da grandissimi artisti. Il titolo della mostra Africa. Capolavori da un continente riassume questo desiderio. Tuttavia quest?arte ha una storia. Ciò costituisce la grande novità di questa mostra in confronto a quelle che l?hanno preceduta. La storia apre altre problematiche fondamentali quali la datazione di un oggetto, la sua attribuzione e il contesto storico-artistico nel quale è stato prodotto. A riguardo della datazione, è bene sottolineare come molte delle opere che abbiamo esposto datino del 500 o 600 avanti Cristo, cosa che sembrava impensabile qualche decennio fa. Quando si sono utilizzati nuovi strumenti scientifici per la datazione come la termoluminescenza o l?esame del radiocarbonio, ci siamo accorti che alcune opere africane ritenute recenti presentavano una datazione molto antica. Quindi esiste un?arte al di fuori della produzione che conosciamo degli ultimi 100 o 150 anni, cioè quella relativa alla presenza massiccia degli europei durante la colonizzazione. è venuta allo scoperto un?Africa con una sua storia indipendente che è testimoniata da queste splendide opere d?arte. Per riassumere il concetto di fondo della mostra, era necessario far capire che l?Africa presenta una lunghissima tradizione artistica al pari di qualsiasi altro Paese detto civilizzato, e che la si può studiare con gli stessi strumenti che adoperiamo per qualsiasi altra arte cosiddetta occidentale.

Tra rottura e continuità, in che modo lo sguardo occidentale è cambiato rispetto all?arte africana tra il 1500 e oggi?
Inizialmente, gli europei avevano visto con ogni probabilità feticci e solite cose di questo genere. Però devono aver capito che gli scultori africani erano dei grandi scultori. Ad esempio, in certe zone del Benin, hanno visto delle realizzazioni che non potevano lasciarli indifferenti. Tra la fine del ?400 e l?inizio del ?500, i portoghesi hanno commissionato opere d?arte in avorio che noi chiamiamo opere afro-portoghesi. Anche in quel caso, erano coscienti che gli africani erano bravissimi. Ne sono un esempio le saliere o i cucchiai decorativi creati per le corti europee. Quindi può ben immaginare che i re europei non commissionavano queste opere al primo comune mortale. Poi, nel tempo, la visione è cambiata. Il pensiero schiavista non poteva considerare lo schiavo una persona dotata di capacità intellettuali. Di conseguenza, il concetto di arte africana è stato molto svalorizzato. A partire dalla seconda metà dell?800, con il fenomeno coloniale, la parola d?ordine è stata quella di raccogliere tutti gli oggetti d?arte senza sapere esattamente cosa farne. Non si badava alla qualità. Successivamente, all?inizio del ?900, con gli artisti europei delle scuole di Parigi o di Dresda, ci siamo accorti che si trattava invece di vere e proprie opere d?arte. Di lì è nato un collezionismo d?altra natura, più attento. Nonostante gli effetti di una globalizzazione selvaggia, le arti africane attuali sono più l?espressione di una cosmopoliticità che di un?influenza occidentale unidirezionale. Gli artisti mescolano tradizione e novità.

Dal punto di vista del mercato, com?è cambiata la committenza?
è cambiata profondamente. Infatti non è più la società africana ad essere committente di queste opere, ma probabilmente è il mercato internazionale dell?arte. Un fenomeno che tuttavia ha influenzato e stravolto come mai era successo prima il modo di esprimersi degli africani. Oggi in Africa, non si produce più un?arte al servizio della società o della religione, così com?è stato per millenni, ma per il mercato che vuole allineare l?arte africana sul modello occidentale. Tra le molteplici conseguenze, gli artisti africani fanno più pittura e incisioni che scultura, allorquando quest?ultimo mezzo espressivo era preponderante nella produzione artistica africana del passato.

Siamo ben lontani dalle passioni e influenze suscitate meno di un secolo fa dall?arte africana presso artisti come Matisse o Picasso?
A quell?epoca, gli artisti europei erano alla ricerca di una giustificazione del loro bisogno di cambiare la loro maniera di esprimersi. Credo che l?arte europea fosse arrivata a un capolinea espressivo. Gli scultori africani non hanno tanto influenzato questi artisti europei nel loro modo di dipingere o di scolpire, ma la riscoperta dell?arte africana è stata una giustificazione per fare altro. Questo è quanto esprimono gli oggetti esposti nelle ultime due sale in cui le opere d?arte moderna non sono state direttamente accostate a quelle africane cui si ispirarono. Questa disposizione è stata tipica della grande mostra sul primitivismo organizzata a New York alla fine degli anni 80. Noi abbiamo proceduto in un altro modo perché artisti come Picasso hanno certamente visto queste opere africane, ma se ne sono innamorati traendone la convinzione che si potesse fare altro in Occidente.

Per quanto riguarda gli africani, che tipo di sguardo assumono oggi nei confronti della storia della loro arte?
Hanno prodotto poca storia dell?arte africana. Anche perché facevano soprattutto la storia della loro cultura. I loro criteri interpretativi erano abbastanza etnografici. Puntavano soprattutto sul significato e sull?utilizzo delle opere piuttosto che sulla loro qualità formale. Questo non è fare storia dell?arte, ma storia della cultura, il che è diverso. Tornando agli etnologi, essi hanno tentato e tuttora stanno cercando di interpretare questo tipo di cultura visiva, ma non sempre ci riescono per causa di informazioni spesso contraddittorie. Per la mia esperienza, anche la spiegazione degli africani stessi comporta certi limiti. Gli africani contemporanei hanno un ricordo che potrei definire mediato di quel che è in fondo il significato di opere create100 anni fa. Vivono in contesti storico-culturali completamente diversi, con esigenze spirituali e materiali diverse, quindi il significato di un?opera d?arte è molto più difficile da interpretare. A riguardo, vorrei sottolineare come il discorso dell?etnologia che è stato sinora compiuto sia un discorso importantissimo, ma che non ci spiega perché queste opere sono belle. Infine, esiste un inevitabile nazionalismo. Quindi in molti Paesi era diffusa la pratica di ritenere alcune opere dei veri capolavori quando in realtà non lo erano.

La presenza di oggetti d?arte africana in Europa solleva il problema delle depredazioni che ha subito il patrimonio artistico africano da parte degli europei. Che giudizio ha di questo fenomeno?
Senza andare troppo indietro nel tempo, prendiamo l?esempio del colonialismo. Di certo, la presenza degli europei in Africa ha avuto più difetti che pregi. La maggior parte erano lì per lavoro, quindi per sfruttarne le risorse umane e materiali. Questo fenomeno ha fatto sì che molte opere d?arte africana sono state importate in Europa da esploratori, direttori di musei. Inizialmente, questi oggetti erano considerati manufatti senza nessun valore artistico. Ma successivamente sono state riconosciute come vere e proprie opere d?arte.

Questo fenomeno è perdurato dopo il colonialismo. A titolo di esempio, il museo di arte africana di Dakar, creato nel 1934, conservava tra i 15mila e i 20mila oggetti artistici. Dalla catalogazione compiuta nel 1993, ne risultano poco meno di 5mila. Chi sono i responsabili della dilapidazione del patrimonio artistico del continente? Inoltre, qual è la condizione attuale dei musei in Africa?
Credo intimamente che questo fenomeno sia dovuto al fatto che gli oggetti sono stati venduti dagli africani stessi. Per quanto riguarda la situazione attuale dei musei africani, attinente al problema da lei sollevato, è un po? complicato. Gli africani hanno dei bisogni primari molto urgenti da risolvere. Devono mangiare e curarsi ogni giorno, quindi occuparsi dei musei è un lusso che noi occidentali ci possiamo concedere. Naturalmente, gli africani hanno il diritto, certo non il dovere, di proteggere il loro patrimonio. C?è una legge internazionale, una convenzione dell?Unesco, che vieta l?esportazione degli oggetti d?arte senza il consenso dei governi. Oltretutto, si è tentato di creare dei musei, ma le guerre, anche in fase recente, hanno condotto alla distruzione o alla dispersione di molte opere d?arte. Sulla struttura stessa dei musei, nel passato, gli europei avevano creato dei musei in Africa con l?obiettivo di mettere in risalto la vita degli africani, ma non la qualità delle loro opere artistiche. Infine, mi lasci dire una cosa: queste opere vanno in qualche modo salvaguardate. Da molti anni da queste parti, in Africa, non ci sono le risorse umane e finanziarie necessarie per custodire il patrimonio artistico del continente.

Il grande pubblico italiano trova grossi ostacoli di natura interpretativa per capire appieno l?arte africana. A che tipo di strumenti intellettuali può ricorrere il visitatore comune per leggere e interpretare queste opere?
Io credo che il comune visitatore debba ricorrere agli strumenti che possiede quando va a vedersi una qualsiasi mostra di arte occidentale. Quando lei va a vedere un Donatello, ne sa forse di più? No. Nel nostro caso, deve guardare le opere, capire chi le ha fatte e poi si chiederà perché le ha fatte, perché certe soluzioni tecnico-artistiche sono state adottate piuttosto che altre. E se queste soluzioni sono perfette, capirà che dietro queste opere c?è la mano di un grande artista. Da parte mia, non riesco a dare un?altra istruzione.

Jonathan Massarenti

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