Mondo

Onu e ong: allarme sul Paese africano. Uganda, catastrofe a riflettori spenti

Il numero due dell’Onu ha detto che è una delle più gravi crisi sul pianeta. Nei campi profughi la situazione è drammatica. Come raccontano i volontari dell’Avsi, i soli rimasti.

di Paolo Manzo

“One of the worse neglected crisis in the world”. Parola di Jan Egeland, numero due alle Nazioni Unite dopo Kofi Annan. Il riferimento è all?Uganda, Paese che per superficie è di poco più piccolo dell?Italia e che per ubicazione potrebbe essere un paradiso: risorse naturali, acqua a volontà (a sud il confine è delimitato dal Lago Victoria), colline verdi che sembra di stare in Svizzera, pur essendo nel cuore dell?Africa, e meno di 20 milioni di abitanti. Potrebbe, perché la traduzione letterale della frase-denuncia del sottosegretario Onu è “una delle crisi peggiori e volutamente trascurata al mondo”. L?Uganda da 18 anni vive nel terrore per le nefandezze compiute dai ribelli del Lord?s Resistance Army, un gruppo di fanatici che dice di ispirarsi ai 10 comandamenti e che, da anni, porta morte e terrore nel Nord del Paese. E 100mila morti, 20mila bambini rapiti e trasformati in soldati e oltre due milioni di sfollati, sono cifre più da inferno che da paradiso. L?Uganda, però, non è molto ?di moda?, e quasi nessuno raccoglie denaro per le vittime, se si escludono i missionari comboniani e l?Avsi, una ong che è ufficialmente a Kitgum dal 1984. Una presenza ventennale, tanti progetti, molti d?emergenza da quando, nel 1986, è scoppiata l?assurda guerra dell?Lra. “Ci sono aree, nel nord dell?Uganda, in cui siamo l?unica ong presente. Ci stiamo per il rapporto anche affettivo con la popolazione locale, ma il numero degli sfollati per la guerriglia ha assunto le proporzioni di un esodo biblico?”, testimonia Albero Piatti, che dell?Avsi è il direttore generale. E che lancia un appello all?Unione europea: occupiamoci seriamente di Africa, perché l?emergenza è anche qui e non solo in Medio Oriente. “Vivo a Kitgum da cinque anni e negli ultimi 18 mesi la situazione è drammaticamente peggiorata. Dopo gli attacchi dell?esercito ugandese alle sue basi nel Sud Sudan, Lra è forzato a trovare nuove zone per nascondersi. E lo fa nel Nord Uganda, dove la guerra civile è oramai continua”, spiega Pietro Galli, responsabile di due progetti di aiuto umanitario d?emergenza Avsi nell?area. Uno alimentare in Sud Sudan, l?altro di emergenza sanitaria e di sostegno alla popolazione nel Nord Uganda. “L?Avsi”, spiega da Kitgum, “lavora anche nel Sud Sudan perché le due emergenze sono assolutamente legate: Lra è stato usato dal governo di Khartoum per rispondere all?Uganda, che aiutava l?Spla, le truppe ribelli del Sud Sudan”. In pratica una guerra combattuta a cavallo di un confine, coinvolgendo altre persone, una ?proxy war? e, anche se non ci sono più basi dell?Lra in Sudan a livello ufficiale, il confine resta molto ?caldo? e le stragi sono cronaca quotidiana. Al punto che il Pam (il programma alimentare mondiale dell?Onu) per portare cibo alla popolazione Acholi, la cui sopravvivenza è garantita ormai al 100% dagli aiuti internazionali, fa scortare i propri convogli dai mezzi corazzati dell?esercito ugandese. Una ?garanzia? che i volontari non hanno. Ma Galli non si scoraggia e spiega come, anche in questi ultimi 18 mesi di guerra civile intensa, sia riuscito a organizzarsi. D?altronde lui è stato uno degli elicotteristi che presero parte alla missione umanitaria Alba, dopodiché ha lasciato la divisa ed è passato all?umanitario civile. “è vero, l?Avsi non ha la protezione del Pam e, quindi, usiamo scorte ad hoc dell?esercito ugandese. Naturalmente indossiamo il giubbotto antiproiettile da mattina a sera, però in una situazione di rischio come quella ugandese, la scorta è un deterrente, non una garanzia”. Poi c?è il dramma dei bambini, perché l?Lra rapisce i minori tra gli 8 e i 15 anni, per poi farli diventare soldati, mentre le bimbe diventano le mogli dei comandanti. “20mila bambini rapiti negli ultimi 18 anni, che non sono mai tornati. È una cosa indescrivibile”, spiega Lucia Castelli, capo progetto di un?altra iniziativa Avsi nell?area, che sostiene la reintegrazione dei bambini soldato. Anche per questo è tempo che, quello ugandese, non sia più un problema ?neglected?. Info: Un litro pro capite Gli indicatori umanitari dell?Uganda sono tra i più bassi al mondo, i campi profughi sono estremamente sovraffollati, la disponibilità di acqua potabile è sotto i livelli minimi standard in quanto gli sfollati dei campi hanno a disposizione uno/due litri pro capite al giorno, migliaia di persone muoiono di malattie curabili, come la malaria e la diarrea. Chi volesse aiutare la popolazione ugandese, stremata da 18 anni di guerra, adottando a distanza uno dei bambini di Kitgum, può chiamare l?Avsi allo 0547. 360811, o inviare un?email all?indirizzo:

adozioni.distanza@avsi.org


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