Israele
Ben Arad, obiettore di coscienza: «Non prenderò parte a una guerra di vendetta»
Ben Arad, 18enne di Ramat Hasharon, il 1 aprile è arrivato al campo di arruolamento di Tel Hashomer e ha rifiutato di arruolarsi nell’esercito israeliano per protesta contro la guerra a Gaza. Ecco la sua dichiarazione alle autorità
di Redazione
Ben Arad, 18enne di Ramat Hasharon, il 1 aprile è arrivato al campo di arruolamento di Tel Hashomer e ha rifiutato di arruolarsi nell’esercito israeliano per protesta contro la guerra a Gaza. È stato condannato a 20 giorni di prigione militare, che dovrebbero essere prolungati quando rifiuterà nuovamente l’arruolamento. Arad si unirà a Tal Mitnick e Sofia Orr, che stanno scontando pene rispettivamente di 105 e 40 giorni per il loro rifiuto. Ben Arad ha deciso di rifiutare l’arruolamento a causa della guerra a Gaza. Riprendiamo la notizia dal sito Pressenza
Questa è la sua dichiarazione.
Mi chiamo Ben Arad, ho 18 anni e mi rifiuto di arruolarmi nell’IDF. Mi oppongo alle uccisioni insensate, alla scelta di far morire di fame e malattie e al sacrificio di soldati, civili e ostaggi per una guerra che non può e non vuole raggiungere gli obiettivi dichiarati e che potrebbe degenerare in una guerra regionale. Per queste e altre ragioni, mi rifiuto di arruolarmi.
Non prenderò parte a una guerra di vendetta, che causa solo distruzione e non darà sicurezza ai cittadini di Israele.
“Se tutto ciò che hai è un martello, tutto sembra un chiodo”. – Penso sempre a questa frase quando considero il comportamento di Israele dall’inizio della guerra. L’unico strumento che conosciamo è quello militare. Pertanto, la soluzione a ogni problema deve essere militare.
Ma la nostra strategia di deterrenza non si è dimostrata efficace. Il terrorismo non si può fermare con le minacce, perché i terroristi non hanno molto da perdere. Inoltre, l’uccisione senza precedenti di civili innocenti a Gaza, la fame, la malattia e la distruzione di proprietà non fanno che alimentare la fiamma dell’odio e del terrore di Hamas; prima o poi, pagheremo per il dolore dei palestinesi.
Il 7 ottobre, Israele si è svegliato con un attacco brutale mai visto prima. Bambini, donne e anziani sono stati vittime di atrocità che nessuno dovrebbe subire. La barbarie e la crudeltà dell’attacco avrebbero dovuto sradicare ogni speranza di pace e di un futuro condiviso. L’impatto del 7 ottobre sul popolo di Israele è ancora immenso, soprattutto perché più di 130 ostaggi sono ancora tenuti prigionieri nella Striscia di Gaza.
Da quel sabato, Israele ha condotto una campagna omicida senza precedenti, non solo contro Hamas, ma anche contro l’intero popolo palestinese. A Gaza si contano più di 30.000 morti, di cui si stima che il 70% siano donne e bambini. Ogni giorno, i funzionari israeliani minacciano un’offensiva di terra a Rafah, dove si sono rifugiati più di 1,5 milioni di palestinesi. L’ingresso di Israele a Rafah causerà la morte di decine o centinaia di soldati israeliani e di migliaia o decine di migliaia di palestinesi. Metterà in pericolo la vita degli ostaggi e farà aumentare in modo significativo i combattimenti con Hezbollah in Libano.
E per cosa? Cosa si ottiene con questi combattimenti? La guerra non riporterà indietro gli ostaggi. Non resusciterà i morti. Non libererà gli abitanti di Gaza da Hamas e non porterà alla pace. È vero il contrario: i combattimenti continueranno a uccidere ostaggi, metteranno in pericolo altri ebrei e palestinesi, perpetueranno il dominio delle organizzazioni terroristiche a Gaza e garantiranno che non ci sarà un orizzonte di pace.
L’opinione pubblica israeliana si trova di fronte a una scelta: mantenere l’attuale ciclo di violenza e sostenere una realtà di distruzione che approfondirà l’odio e creerà un’escalation su tutti i fronti, oppure scegliere un’altra strada, basata sulla sacralità della vita, in cui smettere di mandare persone bellissime ad essere uccise o ferite in orribili battaglie. Potremmo garantire il ritorno di tutti gli ostaggi ancora in vita, fermare le uccisioni insensate a Gaza, condannare la violenza dei coloni in Cisgiordania e impedire lo scoppio di un’altra guerra contro Hezbollah e l’Asse della Resistenza?
L’opinione pubblica siamo noi. Abbiamo un grande potere che i governi e le organizzazioni corrotte che ci rappresentano non hanno. Pertanto, la spinta al cambiamento deve venire da noi. Possiamo muoverci verso la pace solo attraverso un movimento sociale intransigente che si impegni per la comunicazione e la de-escalation. Dobbiamo sempre usare il pensiero critico, guardare al quadro generale e lottare per la pace, l’uguaglianza e la verità.
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