Sostenibilità
Fare la pace tra gli elefanti
DallAfrica i parchi che aiutano la riconciliazione(a cura di Benedetta Vitetta)
di Redazione
Terra d?Africa: triangolo straordinario, di ineguagliabile bellezza, i cui tre lati non possono essere sostituiti con nient?altro, devono solo trovare coincidenze perfette, intenti comuni, obiettivi che non penalizzino nessuno dei lati. Un triangolo perfetto è tale se tutti sono messi sullo stesso piano. In Africa i confini sono stati segnati tracciando una linea sulle carte geografiche, che ha separato etnie, uomini, famiglie, parchi, animali. Una linea che ora si sta tentando di eliminare attraverso la creazione di aeree transnazionali di conservazione: i ?parchi delle pace?.
L?idea è ridisegnare la mappa ecologica dell?intero continente africano: si tratta quindi di una delle iniziative ecologiche più ambiziose da quando, un secolo fa, fu istituita la prima riserva faunistica africana: il parco Kruger. Il primo parco della pace è nato nel 2000, dopo un lungo lavoro fatto di compromessi, trattative, accordi: è l?area transnazionale di Kgalagadi, nata dalla fusione del Gemsbok National Park, in Botswana, con il Kalahari Gemsbok National Park, in Sudafrica. L?operazione non è stata problematica dal punto di vista fisico perché le due aree erano separate dal letto asciutto di un fiume, privo di ogni recinzione. Attualmente l?area, considerata un unico complesso ecologico, è amministrata congiuntamente: i turisti che entrano in un parco possono passare liberamente nell?altro e tornare indietro. Il successo è stato evidente fin da subito: aumento dei turisti e degli introiti.
Ma non sempre è così semplice. Le problematiche da affrontare non riguardano solo, e magari giustamente, i campanilismi nazionali, ma anche situazioni di guerra, di instabilità politica dei vari Stati coinvolti nelle aree transnazionli, che impediscono la creazione di vaste zone protette. E il nome di parchi della pace non poteva essere più opportuno per delle realtà che scavalcano i confini degli stati stessi, creando ?contaminazioni? anche tra le popolazioni.
Così i parchi della pace si moltiplicano: attualmente sono tre i progetti più importanti in dirittura d?arrivo o già realizzati. Il primo riguarda l?area transnazionale di Gaza-Kruger-Gonarezhou, che unirà il Kruger al Parco nazionale di Gonarezhou, nello Zimbabwe, e a Coutada 16, terreni pubblici che si trovano nella provincia di Gaza, in Mozambico. Il secondo progetto pilota è quello di Chimanimani, un?area montuosa dello Zimbabwe orientale che verrà unita al resto della catena, in Mozambico. Il terzo progetto, quello di Lubombo, coinvolge tre stati attraverso la fusione di due parchi sudafricani, quelli di Tembe e di Ndumo, con la riserva degli elefanti di Maputo, nel Mozambico meridionale, e con il parco nazionale di Hlane e due riserve naturali adiacenti allo Swaziland.
È evidente che tutto ciò porterà a ridisegnare la mappa ecologica del continente. Ma ciò è possibile solo coinvolgendo l?uomo. Non è pensabile costruire aree transnazionali di conservazione così importanti senza che la popolazione locale sia coinvolta. Educazione e sviluppo sono i due fattori che debbono accompagnare la conservazione, che avrà successo solo se gli abitanti delle aeree protette avranno la percezione concreta che vale di più, per loro, un animale vivo che uno morto, perché costituisce una risorsa economica infinitamente maggiore.
Un altro fattore determinante per il successo dei parchi della pace è rappresentato dalle donne. L?urbanizzazione in Africa ha fatto sì che gli uomini siano emigrati in città per motivi economici, lasciando mogli e famiglie nelle aree rurali. Per queste ragioni diventa essenziale portare più donne nella conservazione ambientale perché, come sostiene Lesley Greyling, collaboratrice del Southern African Wildlife College, «c?è un reale bisogno di dare più peso alle opinioni delle donne dell?Africa meridionale, per fornire loro i mezzi per guadagnare propri soldi e sfamare le loro famiglie. Sono soprattutto le donne che tagliano gli alberi per la legna o che raccolgono l?acqua, quindi sono loro le prime a cui fornire conoscenze sui principi dell?uso sostenibile delle risorse naturali. Le donne, inoltre, se convinte delle loro nozioni, automaticamente trasmettono queste conoscenze ai loro figli, tramandandole alle generazioni future». Non solo. Le donne in Africa hanno un livello di alfabetizzazione molto basso. Perciò occorre promuovere programmi di educazione ed emancipazione di coloro che sono il motore della società africana.
Sviluppo sostenibile legato alla conservazione dei parchi africani, dunque. È ciò che il Wwf sta già facendo nella Repubblica democratica del Congo, nel parco dei monti Virunga. Quest?area non è da unire, poiché è la natura stessa che l?ha creata come un tutt?uno. Eppure si sviluppa tra Congo, Rwanda e Uganda, tre Paesi della regione dei Grandi Laghi in conflitto tra loro. Creare un ?parco della pace Monti Virunga? significherebbe restituire alla natura ciò che le appartiene. Queste iniziative, però, hanno anche un?altra ambizione, forse meno tangibile, ma altrettanto importante: promuovere una cultura della pace tra Paesi devastati da decenni di conflitti politici e guerre. Ecco perché lavorare per i parchi della pace significa promuovere la stabilità dell?Africa.
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