Giornata mondiale autismo

Sei cose da sapere sull’autismo

Che cos'è l'autismo? Perché è corretto parlare di "persone nello spettro autistico"? Che legame c'è tra autismo e disabilità? Maria Antonella Costantino, neuropsichiatra del Policlinico di Milano, risponde alle domande più comuni sull'autismo e spiega perché non si possono appiattire tutte le persone autistiche su un solo stereotipo

di Veronica Rossi

Oggi è la giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo. Molto spesso, infatti, manca ancora una buona conoscenza di questa condizione, delle sue caratteristiche e dei possibili interventi per aumentare la qualità della vita delle persone nello spettro. Facciamo un po’ di chiarezza insieme alla dottoressa Maria Antonella Costantino, direttrice della Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Policlinico di Milano.

1. Innanzitutto, cos’è l’autismo?

La scienza definisce l’autismo come un disturbo. C’è – è vero – un filone che considera l’autismo semplicemente come una condizione: secondo me, però, ci sono delle forme “ad alto funzionamento” che possiamo considerare delle varianti della norma con caratteristiche differenti, mentre ci sono tutta una serie di altre forme a cui invece si applica bene il concetto di disturbo, con una serie di difficoltà nel funzionamento, nello sviluppo e nel far fronte a quelle che sono le necessità della vita quotidiana. Ciò che è interessante della concezione che vuole l’autismo come una condizione è che mentre quando pensiamo a una malattia ci immaginiamo un fenomeno che si cura e passa, in questo caso ci si concentra sulla necessità di attenzione, intervento e adattamenti reciproci tra la persona e il suo ambiente per tutta la vita. Poi, questo si articola in modi veramente molto diversi a seconda della grandissima varietà dei profili di funzionamento delle persone con disturbo dello spettro autistico.

2. Non c’è quindi un solo profilo della persona autistica?

Per niente. Questo è l’aspetto fondamentale. Una volta, in generale, era molto più diffusa l’idea che ci fosse un unico quadro delle persone autistiche. Oggi sappiamo invece che i profili di funzionamento sono diversissimi.

3. È per questo, quindi, che si parla di spettro?


Le variabilità di funzionamento delle persone con disturbo autistico sono molto marcate: passiamo da situazioni nelle quali è presente una compromissione rilevante del funzionamento cognitivo, del linguaggio, della comunicazione e delle interazioni sociali ad altre in cui c’è una buona intelligenza con alcune caratteristiche peculiari di funzionamento rispetto alle interazioni con gli altri, al sovraccarico sensoriale e ad altri aspetti. A volte sono molto diverse anche le cause: nel momento in cui parliamo di autismo, indichiamo un comportamento osservabile al di sotto del quale sappiamo poterci essere decine e decine di motivazioni diverse. Ci sono dei casi, per esempio, in cui persone con alcune sindromi genetiche hanno maggiori possibilità di sviluppare anche un disturbo dello spettro autistico: questo però non significa che ci sia una correlazione costante di causa ed effetto. Per questo motivo alcuni tendono a parlare, invece che di autismo, di autismi, che poi alla fine è più o meno lo stesso concetto di spettro: ci sono tante sfumature e caratteristiche e ogni persona è una persona a sé, con degli intrecci tra le sue caratteristiche, il suo funzionamento e il suo contesto che richiedono da un lato attenzione alla specificità degli interventi necessari per il disturbo dello spettro autistico in generale, ma anche estrema attenzione alla personalizzazione degli interventi affinché siano su misura per ogni persona in quella fase della sua vita.

4. Qual è il rapporto tra autismo e disabilità?

Ci sono persone con autismo con maggiore bisogno di assistenza che hanno anche una disabilità, mentre ci sono altre persone che hanno delle buone strategie adattive sviluppate nel tempo da loro e dai loro contesti di vita, perché c’è sempre una reciprocità. Sappiamo infatti che la disabilità è il frutto di un’interazione molto complessa tra il soggetto, il suo stato di salute e l’ambiente che lo circonda.

5. Ultimamente le diagnosi sono molto aumentate, arrivando a una su 77 in Italia. Qual è il motivo?

La risposta non ce l’ha nessuno, anche se ci sono una serie di ipotesi. La prima, quella più semplice e banale, a partire dalla concezione di spettro, è che ovviamente i criteri sono cambiati e si sono allargati. Man mano che aumenta l’attenzione riusciamo a diagnosticare molte più situazioni “lievi” rispetto ad altre epoche storiche in cui la diagnosi era solo per coloro che avevano un quadro molto chiaro e marcato. Oggi si intercettano sempre di più anche le forme di autismo senza una disabilità correlata. Un altro aspetto è che oggi si tende molto di più di una volta a co-diagnosticare. In presenza di una disabilità intellettiva, se ci sono comunque dei sintomi di un disturbo dello spettro autistico si fa una doppia diagnosi, cosa che anni fa non si faceva. In più, l’autismo è molto più conosciuto: le famiglie oggi si attivano prima e chiedono aiuto appena hanno un dubbio; i servizi, per quanto siano sottodimensionati, sono sempre più attivi con percorsi di screening e di intercettazione precoce tra i 20 e i 24 mesi in tante regioni, grazie al Fondo Nazionale Autismo. Poi ci sono tutta una serie di ipotesi – non dimostrate – che legherebbero l’aumento a tutta un serie di elementi, come l’inquinamento, che andrebbero a impattare sulla gravidanza e sul neurosviluppo. Di questo, però, non c’è nessuna evidenza certa.

6. A che età consiglierebbe ai genitori di rivolgersi a uno specialista perché si può iniziare a fare una diagnosi?

Per le forme evidenti già a 20-24 mesi, che infatti, come dicevo, nella maggior parte delle Regioni è l’epoca in cui avviene il percorso di screening. Ovviamente, nei casi in cui non ci sono compromissioni è verosimile che la diagnosi possa essere tardiva, perché il bambino non dà dei segnali eclatanti: non vediamo un ritardo del linguaggio, non vediamo le stereotipie e le anomalie del comportamento sono meno marcate. Quello che è importante per un genitore di un bambino piccolo non è tanto sospettare che ci sia un disturbo, ma parlare subito col pediatra di libera scelta se c’è qualcosa nello sviluppo del bambino che non torna, che sembra diverso rispetto agli altri. Lì si deve approfondire, perché al di là dell’autismo, intercettare molto precocemente qualunque disturbo del neurosviluppo è un tema molto importante per impostare un corretto intervento e ottenere una buona qualità di vita.

Foto in apertura da Unsplash

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