Salute

La comunità giusta si vede dal marchio

Si chiama “Comunità solidali” e garantisce la qualità di cura e assistenza. Promuovono Cgm e Caritas

di Antonietta Nembri

C?è un nuovo marchio dedicato alle comunità e ai centri per malati psichici che si caratterizzeranno non solo per la qualità, ma anche per essere luoghi che, per paradosso, raggiungono il proprio obiettivo quando ?perdono? clienti. L?ha lanciato Cgm e si chiama Comunità solidali: «È vero, noi gli utenti li vogliamo ?perdere?», conferma Grazia Fioretti, tra i responsabili del progetto. «Il nostro interesse non è mantenere all?interno il malato, ma aiutarlo a guarire». Comunità solidali, frutto del lavoro e della ricerca condotti in questi anni sul fronte della salute mentale, sicaratterizza proprio per questo: non solo garantire gli standard, ma anche uno stile di cura e riabilitazione. Il cammino di Cgm è iniziato nella metà degli anni 90 e vede oggi la presenza in Italia di 26 consorzi, oltre 100 cooperative sociali e circa 1.800 pazienti inseriti in centri e comunità psichiatriche. Sono 44 le comunità legate a Cgm, molte già certificate Vision, mentre per le altre la certificazione è in corso. I criteri La nascita di Comunità solidali vuole essere un passo in più, una risorsa ulteriore: il marchio sarà gestito da un nascente consorzio nazionale omonimo, che si occuperà di recepire le linee guida, depositarlo e procedere all?assegnazione e che inoltre lavorerà alla sua promozione e diffusione. Fondamentale, ricorda ancora la Fioretti, il fatto che si occuperà anche della sorveglianza e del monitoraggio degli esiti dei processi riabilitativi, e tra i criteri adottati rientra anche la soddisfazione degli utenti e delle famiglie. «Se dimettiamo persone dalle comunità vuol dire che il marchio garantisce un percorso di miglioramento. Il marchio», insiste Grazia Fioretti, «non è statico, ma è una tensione a migliorare costantemente». Comunità solidali vede accanto a Cgm alcuni partner. Si prevede, infatti, la presenza di due comitati che hanno il compito di validare l?azione della società di marchio: un Comitato etico, composto da Caritas italiana e, in prospettiva, dai rappresentati dell?associazionismo dei familiari, e un Comitato tecnico-scientifico composto da docenti universitari, provenienti in primis dall?università Cattolica di Milano e dall?università di Verona, con le quali sono già in corso rapporti di collaborazione per il progetto di salute mentale del consorzio. Quello promosso da Cgm, è bene specificarlo, è un marchio collettivo, non un?etichetta in franchising. «La questione dell?oggi», sostiene Johnny Dotti, presidente di Cgm, «è dire che va rimessa al centro la funzione pubblica nel servizio sociale e sanitario. Ricordando che si tratta di un?attività che può essere svolta da agenti diversi dal pubblico inteso solo come Stato». Irrinunciabili, in quest?ottica, alcuni principi quali la sussidiarietà, l?utilizzo di modelli partecipativi della dimensione d?impresa, la ricerca di partners e la scelta privilegiata per il non profit. Don Virginio Colmegna, direttore della Caritas Ambrosiana, approfondendo i criteri sottolinea come ci si voglia muovere lontano dalla logica del ?parcheggio? del sofferente psichico: «La comunità non è un cronicario, la nostra idea è quella di diventare produttori di cittadinanza, non contenitori del disagio». In Europa Entro fine anno sarà depositato il marchio collettivo europeo Comunità solidali di proprietà del nuovo consorzio di cooperative sociali, basato su uno statuto contenente i principi, le modalità di accesso e le regole per la valutazione, la gestione e la promozione del marchio stesso. Entro il primo semestre del 2004 sarà predisposto il nuovo manuale di valutazione qualità: solo le realtà che vi corrisponderanno potranno diventare Comunità solidali.


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