Impresa sociale

L’ecomuseo dove la memoria vive attraverso la suggestione dei ricordi

di Gilda Sciortino

A Sant'Erasmo, borgata marinara del golfo di Palermo, a pochi passi dal centro storico cittadino, l'Ecomuseo del Mare "Memoria Viva" da dieci anni promuove pratiche di cura della costa urbana. E lo fa senza tante chiacchiere, favorendo la connessione delle storie con gli esseri umani, i vegetali, gli animali. le architetture, i luoghi e l'ambiente. Un'operazione di restyling lo ha anche reso accessibile, implementato da preziosi archivi fotografici anche privati che lo hanno consacrato patrimonio della comunità

Benvenuti in un luogo magico, dove il tempo si ferma mentre scorrono frame di memoria generosamente condivisi. Racconti sino a poco tempo fa custoditi nei bauli della propria storia che, invece, di essere tirati fuori in speciali occasioni come quelle che fanno incontrare più generazioni della stessa famiglia, diventano patrimonio della comunità. Benvenuti in uno spazio nel quale l’arte, la cultura e l’ambiente si incontrano e si fondono, trasformandosi in eredità preziosa per una volta non per i posteri.

Eccoci all’Ecomuseo Mare Memoria Viva, che ha da poco festeggiato i suoi primi dieci anni di vita, non con una semplice inaugurazione o l’apertura di qualche nuovo spazio, ma presentandosi alla città completamente rinnovato negli allestimenti e negli exhibit, ma soprattutto diventando del tutto accessibile grazie all’abbattimento delle barriere architettoniche e all’inserimento di percorsi e dispositivi per persone cieche e persone sorde. Un restyling e un ripensamento totale reso possibile da un investimento di 335mila euro finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU (Pnrr).

F are memoria viva vuol dire dischiudere quel cassetto che tutti vorremo aprire per tornare anche per poco bambini

Cristina Alga, presidente associazione “Mare Memoria Viva”

Uno dei percorsi fotografici (foto Gilda Sciortino)

L’Ecomuseo dall’anno scorso è gestito da un partenariato speciale pubblico privato ventennale tra l’area della cultura del Comune di Palermo e l’associazione “Mare Memoria Viva”, che ha in carico la valorizzazione dell’Ex Deposito delle Locomotive di Sant’Erasmo – una è in bella vista nello spazio all’aperto esterno – e della collezione eco-museale. Quaranta in tutto le persone che vi lavorano: cinque a tempo indeterminato, dieci con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, otto a partita iva, circa quindici quelle impiegate in vari progetti attualmente attivi.

Un vero e proprio viaggio nella storia di un pezzo di Palermo da tanti anni considerato marginale rispetto alla città, dove si viene solo se si deve, da dove si passa per raggiungere i comuni di Ficarazzi e Bagheria o per imboccare l’autostrada per Catania.

Un percorso che ha inizio con un entusiastico, anche se timido perché non avvezzi alla telecamera, benvenuto da parte di testimoni d’eccezione, giovani e meno giovani generazioni la cui energia si respira ovunque all’interno di questo suggestivo spazio. I loro volti, le loro voci, la voglia di comunicare attraverso la gestualità esce fuori da una serie di schermi luminosi che non consentono di andare avanti e cominciare questa singolare passeggiata nel tempo prima di avere ascoltato tutto quello che hanno da dire.

«Benvenuti all’Ecomuseo del Mare», dice Ibra, giovane di origini ivoriane, «un posto che racconta la trasformazione della città di Palermo attraverso quella della costa del mare nonché tramite il supporto del materiale d’archivio audiovisivo che include i video familiari. È il posto in cui io stesso sono stato accolto nel 2019 e, da quel momento, sono diventato uno di loro. Se, però, hai già visitato il museo, puoi anche prendere una sdraio e rilassarti perché questo è un bene di tutti».

Hanno 12 anni, David e Gabriele. Per loro, chi entra all’ecomuseo, partecipa a un’esperienza utile soprattutto per la crescita personale.

«Vengo dallo Sperone», racconta David, «e frequento la seconda media. Ho conosciuto l’ecomuseo con la mia scuola. Qui ti fanno studiare, ma anche giocare. Ci fanno conoscere cose nuove, facciamo gite con il treno e le barche a vela».

«Io sono di Brancaccio e qui, quando è Natale facciano le tombolate, in estate partecipiamo ai campus estivi e andiamo in barca a vela», aggiunge Gabriele, «così vediamo la costa. L’ecomuseo mi aiuta anche a non restare solo perché parlo con altri ragazzi; e poi è bello».

Immagini dall’archivio dell’Autorità Portuale di Palermo

È da marzo che l’ecomuseo della costa sud-est si presenta completamente rinnovato grazie a un nuovo concept e alla sua realizzazione, resa possibile grazie a tante maestranze locali: artigiani, artisti, allestitori, che hanno lavorato per diversi mesi alla creazione di tutto il nuovo percorso. “Non finisce mai qui la meraviglia”, lo slogan che dato sprint alla partenza, celebrando dieci anni di presidio culturale e di attivismo, dieci anni di lavoro costante per attribuire valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale e naturale e che, nel quadro di un’azione pubblica, sono stati valorizzati e trasmessi alle generazioni future.

L’interattività è alla base di questo mondo magico che non si può configurare come mero museo, perché va visto anche come presidio di legalità nel senso più esteso di questo concetto, guardando soprattutto a tutti quei giovani che passano da qui con le scuole o insieme alle loro famiglie per tirare il filo rosso che ha inizio dalla storia di quello che era un deposito di locomotive, poi acquisito dal Comune di Palermo nel 1985 e nel tempo restituito del tutto alla comunità.

Un vero e proprio viaggio nel tempo, che si sviluppa attraverso la storia del capoluogo siciliano grazie a mappe interattive, percorsi audio che supportano quelli fotografici e video – provenienti da archivi privati usciti dalle soffitte, oppure ancora da gruppi social come “Palermo di una volta” costituiti per non lasciare che queste immagini sbiadiscano con l’andare avanti del tempo – che raccontano come questo territorio si è evoluto nel tempo.

Inevitabile non considerare il colpo ricevuto dal “sacco di Palermo”, boom edilizio che, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, stravolse l’architettura cittadina con la distruzione delle ville liberty che caratterizzavano la città per dare spazio a una colossale operazione di speculazione edilizia che porta la firma dell’allora sindaco Salvo Ciancimino al soldo di Cosa nostra. Una vera e propria devastazione di cui Palermo si lecca ancora le ferite, ricordando per esempio, una su tutte, Villa Deliella, splendido edificio liberty, che sorgeva a piazza Croci, in pieno centro. I detriti e gli sfabbricidi derivanti dalla sua demolizione, avvenuta come per tutte le altre in una sola notte, insieme a molti altri rifiuti anche tossici, sono stati sversati proprio in questa zona della costa di Palermo, con conseguenze immaginabili per il territorio e per la sua popolazione. Storia di grande potenza simbolica, la cui temperie socio- politica e culturale della Palermo di quegli anni è raccontata all’Ecomuseo Mare Memoria Viva attraverso figure che hanno lottato per i diritti delle donne e dell’ambiente come la giornalista e politica Giuliana Saladino, l’architetto e ambientalista Rosanna Piraino, cronisti che ancora scrivono di criminalità mafiosa al pari di Attilio Bolzoni, l’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando, ma anche attraverso le battaglie di Danilo Dolci e Pio La Torre.  A supportare questa narrazione non solo una selezione di articoli che riguardano la questione urbanistica e i fatti di mafia, ma anche di oggetti  trovati lungo le passeggiate sul mare.

I bagni di Palermo ieri e oggi (foto Gilda Sciortino)

Testimonianze che tracciano la storia facendo pensare alla necessità di recuperare le memoria e ripensare a nuovi percorsi capaci di dare anche una visuale sul mare di Palermo, paradossalmente negato, nonostante il suo stesso nome “Panormus” ossia “Tutto Porto” racconti di una città che si affaccia sul mare, mentre invece le sue acque si vedono e si godono con poca facilità. Dà, infatti, il senso di questa negazione lo slogan “A Palermo il mare non c’è” per dire che, prima di arrivare a godere dei benefici di un respiro a base di iodio, la strada da fare è lunga e non sempre perseguibile.

«La storia che raccontiamo non è quella, che ci hanno sempre negato, delle discariche abusive sulla costa sud, che va dalla foce del fiume Oreto fino al quartiere dello Sperone, alla periferia est del capoluogo siciliano, dove avvennero gli sversamenti illegali del “sacco”», spiega Cristina Alga, presidente dell’associazione “Mare Memoria Viva”, «ma è quella che connettiamo con il lavoro sui diritti con l’idea di capovolgere e di riparare dove è possibile quello che è successo. Questa era una zona che aveva un’economia fiorente e lo dimostra la presenza di tanti resti di archeologia industriale. Qui c’erano l’Agrumaria Corleone, l’ex Cotonificio, la fabbrica dei Cottone, c’era la Coalma con la lavorazione del tonno. Realtà che facevano intanto fiorire un’economia legata alla produzione del pesce. C’è anche la storia bellissima delle fornaci di cotto, un tempo una decina circa, le cui ciminiere svettavano lungo tutta via Messina Marine, per poi veder uscire dai maestosi portoni di legno e ferro le mattonelle. Lavoravano a pieno regime ed erano sul mare perché poi caricavano il materiale prodotto sulle imbarcazioni per raggiungere i mercati oltre lo Stretto. Solo una è quella che oggi sopravvive, non più come elemento di un insieme, in cui ognuno è componente fondamentale di un tessuto socio – economico e culturale. Questa, però, era anche una zona la cui storia è legata all’agricoltura. Siamo, infatti, nella Conca d’Oro con gli agrumeti e le innumerevoli coltivazioni di sommacco. Un immenso giardino rigoglioso che ci hanno sottratto».

L’ultimo vagone dell’ex Deposito di locomotiva di Sant’Erasmo (foto Gilda Sciortino)

L’Ecomuseo racconta anche e soprattutto di un’intensa attività di balneazione tanto amata da una parte di città che aveva tutte le risorse per potere vivere bene. Qui, infatti, tra gli anni ‘70 e ‘80, arriva tutto quel ceto medio che si trasferisce in cerca di un’abitazione dignitosa moderna, anche perché è il tempo in cui sorge la Regione Siciliana e si arriva dall’entroterra per prendere l’ambito posto fisso.

È grazie a un percorso guidato che i documenti, le testimonianze, scorci di vita le cui abitudini sono ormi lontane da quelle attuali, arrivano con tutta la loro forza. Filmini in Super 8, interviste video, centinaia e centinaia di fotografie ci raccontano di una famiglia come quella dell’imprenditore Libero Grassi che frequentava questo litorale, accanto a storie scritte e e raccontate dai suoi stessi autori, come lo scrittore Roberto Alajmo che affascina con la storia di Ciccio, il leone di Villa Giulia che tutti i bambini palermitani, anche quelli con qualche anno in più, hanno amato sino al giorno della sua dipartita. Un lutto per tutta la città.

Ecco, poi, le foto che arrivano direttamente dagli archivi della Fototeca regionale siciliana o quelli della Real Casa della Fotografia Incorpora, poco più avanti le immagini dell’archivio di altri maestri dell’obiettivo come i Bronzetti rapiscono e incantano, per poi fare perdere anche davanti a immagini piè amatoriali dove le famiglie, di qualunque ceto esse fossero, si immergevano in acqua trascinandosi in costumi di lana che fanno pensare a una punizione più che a un momento di gioia attesa e condivisa. C’era anche chi arrivava in spiaggia a bordo di un battello, versione d’epoca degli odierni autobus, che collegava con il porticciolo cittadino della Cala e la ridente Mondello, da sempre ridente località balneare di tutti i palermitani.

Un punto strategico in città (foto ufficio stampa Ecomuseo del Mare)

Il mare sempre e comunque come leitmotiv di questo viaggio, nel quale le storie d’amore hanno il sapore del sale

Incanta la storia della famiglia Petrucci, che all’Ecomuseo entra con un proprio archivio fotografico, ma anche con l’intervista di quella che era la piccola di casa che porta con sè l’eredità dell’ultimo lido resistente fino alla fine degli anni Settanta.

«Credo che il nonno avesse cominciato a nuotare prima di camminare», racconta nell’intervista con lo stesso volto solare di quando era una bimba. «Io, poi, ho sentito il sapore e l’odore del mare prima ancora di quello del latte materno. Trascorrevo tutto l’inverno in attesa dell’estate. Allora le cabine erano organizzate come casette, ci tenevamo i fornelletti per cucinare e c’era anche il frigorifero, ma mia madre preferiva preparare il cibo a casa e portarlo in spiaggia. Si pranzava lì il sabato e la domenica, allietati dall’orchestrina sulla terrazza e dai giochi di società. Ricordo che con il primo ragazzo per il quale ho avuto un grande interesse ci siamo toccati le mani per la prima volta sott’acqua, per non farci vedere dai reciproci genitori. Io ho imparato ad andare giù per poter stringergli le mani. Tutta l’élite palermitana frequentava lo stabilimento e, soprattutto dopo la guerra, dopo che la gente aveva visto la morte in faccia, veniva perchè aveva voglia di tanta leggerezza e per stare insieme agli altri».

Pochi passi ed ecco l’angolo delle favole interattive, i cosiddetti “oggetti di comunità” proposti anche in braille, che mixano storie note come Colapesce o “La Sirena del Mare” del Pitrè con altre che appartengono alla vita sconosciuta di borgate come questa. “Radio Felicità”, per esempio, nasce una quarantina di anni fa, intorno al 1976, grazie a un gruppo di ragazzi della borgata, proprio come quelli che animarono insieme a Peppino Inpastato “Radio Aut”, a Cinisi. Dieci ragazzi dai 15 ai 20 anni che, con un unico trasmettitore costruito da un ragazzo della borgata, Salvatore Romano il suo nome, cominciarono a dare voce alle loro voci dalla terrazza di un palazzo.

Persone, dati e fatti., Exhibit con excursus storico dal 1940 al 1980 (foto Gilda Sciortino)

Dopo la chiusura dei lidi, la borgata comincia un lento degrado che la isola sempre di più dal resto della città

La totale devastazione della costa sud di Palermo avviene con una cementificazione assolutamente non pianificata, senza pensare a servizi pubblici, trasporti e interventi che impedissero l’inquinamento delle acque e la conseguente chiusura di tutti i lidi dei quali oggi non resta più traccia. La zona, quindi, diventa simbolo di marginalità sociale: da ogni punto di vista.

«Una marginalità che ha creato isolamento e uno stigma», aggiunge Alga, «che, però, non corrispondono alla nostra esperienza quotidiana relativa alla reale componente sociale del quartiere che fa di tutto per smarcarsi da questa macchia. Purtroppo non c’è un palazzo che non sia confiscato alla mafia o con il costruttore  in galera – il vicino hotel San Paolo, la cui piscina ha come tetto il cielo, è confiscato alla mafia – inesistenti le case popolari.  Una grande città dormitorio con 70mila abitanti, senza luoghi di aggregazione per gli adolescenti che, agli operatori dell’ecomuseo, confessano di passare i loro pomeriggi al parcheggio del Forum, il più grande centro commerciale cittadino».

Una piacevole sorpresa, quindi, quando “Mare memoria viva” ha fatto comprendere che tipo di realtà fosse

«Il senso di accoglienza che si respira in questo spazio guarda all’accessibilità come agio per evitare di sentirsi non accolti, non adeguati a livello culturale in un ecomuseo. Che poi è il tema delle disuguaglianze, delle barriere dal punto di vista dell’accesso di tipo economico. È un posto in cui solitamente non andresti perché non pensi che sia alla tua portata.  Poi, però, scopri che è gratuito e cominci a pensarlo in altra maniera. Chi ti accoglie, infatti, sono persone nelle quali chiunque si può rispecchiare».

Come Valentina, la cui disabilità è diventata forza trainante e campeggia nel video che chiunque, fatto ingresso all’ecomuseo, non rinuncia ad ascoltare

«Ciao, mi chiamo Valentina e la mia missione è la tutela dei sordi.  Sono diventata mamma, ho un figlio che si chiama Matteo e voglio raccontarvi una breve storia. Io sono cresciuta proprio nell’area vicino all’ecomuseo e ho visto che ha subito un importante trasformazione. Prima era degradata, sporca, brutta e sono stupita da come sia cambiata così tanto negli anni. Vi consiglio di visitare il museo perché, in base alla mia esperienza, quando in passato ho visitato altri musei con un gruppo di sordi, ha comportato una fatica maggiore, invece qui, grazie al video in Lis con i sottotitoli, è più piacevole. Servono più attività accessibili come questa per un maggiore gradimento da parte di tutti».

Inclusività anche di genere. Come nel caso di Carmen, 45 anni, mamma di tre splendidi bambini

«È stata una mia amica, anche lei si chiama Carmen, a dirmi che c’era questo posto e sono venuta a vedere. Qui ho conosciuto tante donne, arrivate tutte per lo stesso motivo e cioè dedicare tempo a noi stesse perché siamo quelle che si mettono sempre da parte; stiamo sempre a dare, dare, dare, dare ai figli, alla famiglia, ai mariti, al lavoro. Qui abbiamo preso consapevolezza dell’esistere, manifestando ognuna di noi le nostre emozioni, prendendo coscienza di noi stesse, mettendo i piedi per terra e sentendo veramente il suolo. Perché non lo sentiamo mai, corriamo corriamo corriamo, corriamo sempre all’infinito. È un luogo accessibile, soprattutto inclusivo perché non lascia fuori nessuno. La sensazione che ti lascia il museo quando vai via è di gioia, di rinascita».

Quello che mi è piaciuto imparare è stato il rapporto tra uomo e natura.  Mi dà, infatti, fastidio quando buttano carte a mare perché il bagno lo voglio fare in acqua pulita”

Melissa, 12 anni

Un lavoro importante, quello che da dieci anni coinvolge all’unisono tutti, anche e soprattutto sul fronte dell’impegno ambientale.

«Si fa lavorando sulle emozioni e sul legame col mare come metafora della coscienza ambientale. Questo, lo si è capito, non è un museo classico», conclude Cristina Alga, «qui entri in connessione prima di tutto con te stesso attraverso l’azione.  Come con le passeggiate lungo la costa alla scoperta della natura. Quando i ragazzi tornano con pezzi di splendide mattonelle che ci riportano con la memoria ai pregiati pavimenti delle ville liberty che non ci sono più, ecco il collegamento con  la nostra storia. E poi c’è il fiume Oreto, che ci scorre accanto. Grazie al progetto di due artisti, Salvatore Romani e Oriana Perso, monitoriamo lo stato di inquinamento delle acque leggendo i dati attraverso un’opera – scultura realizzata dal Fablab di Palermo che si illumina all’occorrenza. Una  storia che rivela tutta la potenza dell’arte, facendo si che da due anni a questa parte abbiamo adottato il fiume».

vita a sud

Una storia potente anche da tanti punti di vista, ma che proprio con l’ambiente ha creato una connessione nella convinzione che, solo rispettando la bellezza che ci è stata donata e che chiede semplicemente attenzione e cura, potremo pensare a un futuro nel quale la razza umana non si sarà estinta. Diversamente, l’Oleandro che oggi accoglie i visitatori dell’ecomuseo, domani potrebbe rimanere da solo a testimoniare ciò che è stato e che sarebbe potuto essere una meraviglia.

«Ciao io sono Nerium Oleander, ma mi puoi chiamare anche solo Oleandro sono quell’arbusto sempreverde stracolmo di fiori fucsia o bianchi che incontri lungo le strade nei giardini della città. In natura cresco presso dei corsi d’acqua. Sono mediterraneo doc, amo il sole e non temo il caldo, come tante altre piante mediterranee che mi fanno compagnia qui nel giardino dell’ecomuseo. Sono la prima creatura che incontri, infatti mi sento custode di questo posto. Prima di tornare al tran tran urbano, fermati a guardare, prenditi un attimo per guardare cosa germoglia e cresce attorno a te. Questo è un posto per tutti stare bene. Benvenuti, buon stare e buona visita».

In apertura Cristina Alga illustra il nuovo allestimento fotografico che mette a confronto la Palermo sul mare di ieri e quella di oggi (foto Gilda Sciortino)

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