Cultura

Iraq: i vescovi e la guerra. Ad Assisi si discute

C'e' chi condivide la linea del ''cammino stretto'' tracciata da Ruini e chi pensa invece che ''bisogna evitare a ogni costo un'equazione immigrati uguale Islam

di Redazione

C’e’ chi condivide la linea del ”cammino stretto” tracciata da Ruini spiegando che ”i cocci di un vaso rotto vanno comunque rimessi assieme”; e chi pensa invece che ”bisogna evitare a ogni costo un’equazione immigrati uguale Islam uguale fondamentalismo terrorista”. Tra i vescovi della Conferenza episcopale italiana la consegna del silenzio e’ pressocche’ assoluta, anche il giorno dopo i funerali di Stato delle 19 vittime di Nassiriya. Se l’opinione pubblica si interroga sulla ”diversione di rotta” della Chiesa italiana rispetto al pacifismo del mondo cattolico e della posizione del Papa, nel briefing quotidiano ad Assisi viene chiesto ai giornalisti di non fare domande che non siano sulla parrocchia e i vescovi vengono invitati dai superiori a non commentare le parole del cardinale presidente. Tra i pochi che si lasciano avvicinare dai cronisti c’e’ il patriarca di Venezia, il neopromosso cardinale Angelo Scola: ”occorre, a partire dalla solidarieta’ per le vittime irachene e per i feriti, invocare con grande forza la pace, oltre che il conforto dei feriti e dei familiari. La pace realistica, perche’ e’ sbagliato il pacifismo utopico ed e’ sbagliata la ideologia della realpolitik della guerra inevitabile. E’ realistico costruire la pace passo per passo nelle condizioni oggettive”. Sull’inizio della guerra, ”il giudizio lo diede il Papa a suo tempo, ma e’ intelligente -dice Scola- cio’ che la Santa Sede e il cardinale Ruini hanno fatto in questi giorni: sono stati alla realta”’. Per questo il patriarca oggi dice: ”lavoriamo, lavoriamo il piu’ possibile, chiamiamo il terrorismo col suo nome, cerchiamo di capirne l’origine, di affrontarlo attraverso l’edificazione di una pace costruita passo passo, del quotidiano”. Ma la Chiesa puo’ parlare della necessita’ di ”combattere”? ”Si tratta di collocare le espressioni nel contesto. Il terrorismo e’ comunque una piaga che si deve estirpare; non so se sia possibile estirparla nel limite dell’umano, che e’ segnato dalle conseguenze del peccato originale, anche evitando ogni assoluto ricorso a certe condizioni che la Chiesa ha sempre stabilito con chiarezza (e il catechismo ha ribadito) per l’uso della forza”. Per l’arcivescovo di Perugia Giuseppe Chiaretti, che e’ anche presidente della Commissione episcopale per il dialogo interreligioso, ”le parole del Papa connotano sempre in modo negativo la guerra, e’ difficile parlare di guerra giusta. Per dirimere i contrasti bisogna trovare altri percorsi” ed in ogni caso tra violenza e legittima difesa ”il discrimine e’ difficile”. Il presidente di Pax Christi Tommaso Valentinetti invita a riflettere su cosa significa essere ”essere operatori di pace”. ”E’ soprattutto -dice- avere la coscienza che in realta’ attraverso i conflitti non si possono risolvere i problemi dell’umanita’ e non si possono risolvere certamente i problemi della pace. Se i nostri soldati li possiamo chiamare operatori di pace e’ perche’ essi probabilmente piu’ che sulle armi confidavano su quel surplus di umanita’ che hanno trasmesso in tutte le missioni di pace dive si sono recati nel mondo”. ”La pace di Cristo”, aggiugne, invade non solo il cuore e l’interiorita’ dell’uomo ma anche l’intelligenza. ”Significa operare per le vie della giustizia, per le vie del disarmo -sottolinea- per il rispetto delle minoranze etniche, per un’economia di solidarieta’ e di giustizia nel mondo, altrimenti non si potra’ trovare le vie della pace, essere operatori di pace”.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA