Oltre le sbarre

Made in Rebibbia, per cucirsi il futuro

di Ilaria Dioguardi

Dopo un corso di sartoria nell'istituto di pena romano, tenuto dai maestri dell’Accademia dei Sartori, Manuel Zumpano ha trovato la sua strada, professionale e non solo. «Questo progetto mi ha fatto vedere il domani con un’altra prospettiva e mi ha permesso di lavorare in un atelier»

Da circa due anni, Manuel Zumpano, 37 anni, ha finito di scontare la sua pena nel carcere di Rebibbia, dove ha seguito un corso accademico di sartoria. Oggi lavora per l’atelier del maestro scomparso Ilario Piscioneri, ex presidente dell’Accademia Nazionale dei Sartori, che ebbe l’idea del progetto Made in Rebibbia-Ricuciamolo insieme, iniziato nel 2018 nell’istituto penitenziario romano. L’idea del corso, sostenuto da Bmw Roma, filiale del Bmw Group Italia, è di dare ai detenuti una grande opportunità di riscatto e occupazionale, dopo aver scontato la pena.

La nuova prospettiva

«L’attività di sartoria è arrivata dopo quattro anni di carcere. Ho cominciato per gioco, all’inizio non riuscivo neanche a tenere un ago in mano. Iniziare questo corso mi ha fatto vedere la vita, e il futuro, sotto un’altra prospettiva: mi sono sentito parte di qualcosa di utile e importante. Ho dato tutto me stesso, per me era un vero e proprio lavoro», racconta Manuel Zumpano. «Avere in dotazione le forbici, ad esempio, è una grande responsabilità. Prima viene fatta una valutazione, per capire se le persone che accedono al corso possono usarle per lavorare. Già questo rende responsabili. Vedere che da un pezzo di stoffa si riesce a creare un completo da uomo è stata una grande soddisfazione, mi ha dato la forza e la voglia di continuare per questa strada. Sono riuscito a fare un passo verso la vita sana grazie alla possibilità lavorativa che ho avuto dall’Accademia. Questo lavoro mi rilassa, quando andavo in sartoria in carcere stavo bene, non pensavo ad altro. Il corso durava dalle ore 9 alle 14, ma a volte rimanevo a lavorare fino alle 18. Questo progetto dà un’opportunità concreta ai detenuti, a differenza di altri che non offrono reali sviluppi professionali all’esterno».

Un esempio di riscatto

«La maggior parte delle persone, in carcere, non ha una prospettiva, non sa da dove ripartire. In carcere è importante fare un corso di formazione e imparare un mestiere, ma poi bisogna essere accompagnati nell’inserimento lavorativo, nella fase di espiazione della pena. La maggior parte delle persone, uscite dal carcere, reiterano la vita che avevano prima. In carcere le giornate sono molto tristi, si incontra la propria famiglia una volta a settimana per un’ora. C’è tanta sofferenza, si cerca di creare la propria famiglia in carcere», continua Zumpano. «Il pregiudizio lo vivo sulla mia pelle, spesso non dà la possibilità di crearsi una nuova vita. Ho voluto dimostrare che, nonostante abbia commesso degli errori, che ho pagato, con la forza di volontà si può cambiare. Ho voluto anche dimostrare a tutti i ragazzi che mi dicevano “Che vai a fare in sartoria, vai a perdere tempo” che ce la si può fare: ero sicuro che sarei arrivato a questo punto. Oggi la mia storia è un esempio di riscatto, con la mia forza di volontà sono riuscito a crearmi un futuro».

In sartoria il lavoro è di squadra

Il Covid ha fermato in parte il progetto. Durante la pandemia, i ragazzi nell’istituto penitenziario hanno realizzato le mascherine per tutti i detenuti e le guardie penitenziarie, producendo circa 3mila mascherine.
Dopo i tre anni di corso accademico, e un quarto che ha fatto in più, Zumpano ha ricevuto il diploma dall’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia. È stato anche invitato dal Presidente della Repubblica come rappresentante delle attività che si svolgono a Rebibbia. «Verso la fine della mia pena, mi è stata data la possibilità di uscire dal penitenziario per lavorare in atelier e acquisire un mestiere. Gradualmente, ho iniziato giornate di approfondimento nell’Accademia, con piccole attività, pian piano ho iniziato a lavorare. Nella sartoria c’è un lavoro di gruppo, che porta alla realizzazione di un capo di vestiario. Questo mi fa sentire parte di una squadra e ne sono orgoglioso».

Manuel Zumpano, al centro, al termine della sfilata del 2021 del progetto “Made in Rebibbia – Ricuciamolo insieme”. All’estrema destra, Gaetano Aloisio, presidente dell’Accademia Nazionale dei Sartori.
Accanto, Daniele Piscioneri, 2° vicepresidente dell’Accademia Nazionale dei Sartori
A sinistra, l’allora Ministra della Giustizia Marta Cartabia. Accanto, il Maestro Sebastiano Di Rienzo, direttore della scuola di cucito maschile dell’Accademia Nazionale dei Sartori e maestro del progetto “Made in Rebibbia – Ricuciamolo insieme”

Maestro di alta sartoria ed educatore di vita

I maestri che hanno fatto parte del progetto Made in Rebibbia-Ricuciamolo insieme sono stati Giuseppe Bertone e Franco Mariani, ai quali è subentrato ora Sebastiano Di Rienzo, 84 anni, direttore della scuola di cucito maschile dell’Accademia Nazionale dei Sartori e da settembre 2020 maestro del progetto. «Chi frequenta questa scuola esce prima dal carcere, diventa più umano, di conseguenza si comporta bene e può godere della liberazione anticipata. Impara cosa sono la bellezza e la raffinatezza, elementi che li modifica anche nella mente. Noi maestri siamo anche educatori di vita. Quando mi trovo da solo con un allievo, capita che si confidi con me», dice Di Rienzo.

Il maestro Sebastiano Di Rienzo, direttore della scuola di cucito maschile dell’Accademia Nazionale dei Sartori

400 ore per tre anni

Durante i corsi, i detenuti imparano in tre anni a fare un completo da uomo: prima il gilet, poi i pantaloni e infine la giacca. «Quest’anno ho esaminato 15 allievi, attualmente in nove seguono il corso. Finito l’anno accademico, organizziamo una sfilata con gli abiti realizzati», racconta Di Rienzo, che iniziò la sua carriera come tagliatore dallo stilista Valentino ed è da oltre sessant’anni ambasciatore nel mondo del fashion made in Italy, grazie alla creazione di abiti femminili d’alta moda che hanno vestito grandi dive. Il totale delle ore insegnate ogni anno è di 400, da ottobre a giugno. Di Rienzo va tre-quattro giorni a settimana a Rebibbia, nell’Accademia Nazionale dei Sartori insegna modellistica. «Mi sento onorato e orgoglioso di insegnare in carcere. Ho un profondo rispetto per i miei allievi, che mi apprezzano e mi ringraziano continuamente», conclude Di Rienzo.

Il maestro Gaetano Aloisio, presidente dell’Accademia Nazionale dei Sartori

Sentirsi liberi, con ago e filo

«Made in Rebibbia-Ricuciamolo insieme è un progetto a cui teniamo molto e che vorremmo far crescere, ci piacerebbe continuare non solo a Rebibbia, ma anche in altri istituti penitenziari italiani, abbiamo maestri accademici in tutto il Paese», dice Gaetano Aloisio, presidente dell’Accademia Nazionale dei Sartori. «Vorremmo che l’Accademia diventasse un punto di riferimento per le persone fragili che non hanno opportunità lavorative, con disabilità motorie che permettono di svolgere una professione in sartoria. Il nostro lavoro ha bisogno di tanta manodopera e vogliamo lavorare su progetti di inclusività», prosegue Aloisio. «I nostri allievi hanno bisogno di noi, non vedono l’ora di svolgere le ore di corso, dicono di sentirsi liberi quando fanno sartoria. Quando riesco ad andare a Rebibbia e parlo con i maestri che insegnano ai detenuti, provo una soddisfazione più grande di ogni altro progetto professionale, mi sento veramente appagato».

Foto dell’ufficio stampa dell’Accademia Nazionale dei Sartori

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