Formazione

Mario Merz. Addio al profeta dell’Arte povera

Giuseppe Frangi ricorda la figura dei più grandi artisti italiani del secolo.

di Giuseppe Frangi

Se ne è andato, senza retorica e senza coccodrilli. Mario Merz, uno dei più grandi artisti italiani del secolo, artefice dal 1967, con un manipolo di amici, di quel movimento così profetico ribattezzato Arte povera. Del resto Merz aveva proprio l?aria del profeta, con quella sua capigliatura bianca, d?anarchico d?altri tempi, e quel suo protagonismo appartato. Proprio poche settimane fa, il 23 ottobre a Tokyo, aveva ricevuto, con Claudio Abbado, il prestigioso Praemium imperiale. In quell?occasione s?era parlato molto del riconoscimento, condito con polemiche, al direttore d?orchestra. Pochi avevano notato la presenza di Merz.
Eppure quella presenza pesava: perché non c?è prestigioso museo d?arte contemporanea al mondo che non abbia una sua opera. O ambisca ad averla. Il suo nome suona mitico e cristallino a chi ha assistito alle entusiamanti evoluzioni che l?espressività contemporanea ha subito sotto la spinta di geni come il suo. Ma cosa ha fatto la sua grandezza? Quello di aver riproposto in chiave radicale l?interrogativo del rapporto tra l?arte e la vita, senza preoccuparsi di azzerare tante certezze, comprese quelle delle avanguardie. Per Merz ristabilire quel rapporto ha significato una sfida permanente, una riflessione quasi monacale attorno ad alcuni temi chiave che per lui erano un punto di congiunzione, anzi di coincidenza tra la sfera dell?arte e quella della vita. Il più celebre di questi punti di congiunzione lo trovò nella forma dell?igloo, forma che gli era stata prestata proprio dalla storia dell?uomo e che lui ha colto come occasione di vivificazione dell?arte. I suoi Igloo, perennemente reinventati con poesia e rigore concettuale, sono come un atto d?amore verso l?uomo, un?affermazione di resistenza contro il cinismo globale. In un?intervista recente, concessa ad Hans Ulrich, così raccontava il suo sogno di un?arte che aiutasse ?la vita a vivere?: “Penso che sarebbe una cosa straordinaria per un museo possedere la prerogativa che una statua insegni a essere a chi passa da lì. Come se, in fondo, le statue potessero ?esserci? a tal punto da suggerire al visitatore delle eguali capacità: questo sarebbe il mio museo preferito”. Forse, parlando così. parlava in realtà delle ragioni del suo lavoro. Un lavoro che aiuta l?uomo a essere, contro le distruttive energie del niente.

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