Non profit

Quando un paziente finisce le terapie. Come dire tumore al tempo passato

Si chiamano "dimissioni protette". E' un programma messo a punto da una delle Asl meglio organizzate d’Italia, quella di Pavia. Ed un articolo di Benedetta Verrini.

di Romano Asuni

S i può vincere, certo. O almeno strappare una lunghissima proroga che vale quanto una vittoria. E una vita. Lea Pericoli, la più grande tennista italiana di tutti i tempi, ha sconfitto un tumore al seno, “nel tie break più drammatico della mia vita”, quasi 40 anni fa. Lance Armstrong, grandissimo del ciclismo mondiale, ha sepolto il ricordo del cancro ai testicoli che lo aveva quasi piegato, sotto il trionfo in cinque Tour de France consecutivi. Ma insieme a loro, privilegiati pur nel dramma, migliaia di volti anonimi si riaffacciano alla vita dopo il tumore. Come affrontano il ?dopo?, cosa trovano, come riescono a rintracciare una normalità di vita? Stefano Del Missier, direttore generale della Asl di Pavia, ha coniato un?espressione fra il burocratico e il rassicurante per chi si trova ad affrontare queste situazioni: dimissioni protette. Che vuol dire tornare a casa avendo dei punti di riferimento, sotto tanti aspetti. “Negli ultimi 10/15 anni, la medicina non è cresciuta soltanto come scienza e ricerca o farmacologia o tecnologia, ma anche sul piano organizzativo. Che vuol dire favorire l?integrazione fra ospedale e territorio, costituendo quindi un ?trait-d?union? con il paziente dimesso, che serve proprio a favorirne il reinserimento. Ecco perché dimissioni protette, ma anche protocolli d?intesa e percorsi diagnostico-terapeutici che facciano sentire l?ex paziente in qualche modo rassicurato. L?ammalato, ormai guarito o convalescente, non deve mai sentirsi ?sballottato? ma trovare sempre un punto di riferimento in sintonia con lui. Può sembrare paradossale, ma l?uscita dall?ospedale e la fine delle cure più importanti non è vissuta dal paziente soltanto con comprensibile sollievo ma anche con l?apprensione di chi deve riappropriarsi della vita e non sa se riuscirà. Nasce così una sorta di ?sindrome di Stoccolma? più o meno evidente, per cui l?ex malato sente come un cordone ombelicale che lo lega alle persone e al luogo dove ha sofferto tanto ma, in qualche modo, è risorto. Ed è qui che la ?protezione? deve manifestarsi al meglio, magari, come accade, col supporto sempre più importante del volontariato. “è un tasto molto delicato”, risponde Del Missier. “Facciamo un passo indietro. Un tempo c?era lo Stato che voleva occuparsi di tutto e dare risposte a tutti. Ha fallito, non per disimpegno o scarsa applicazione ma per l?obiettiva impossibilità di riuscire. Di fronte alle prime difficoltà, allora, ha cercato di coinvolgere il volontariato, ma in modo sbagliato, assegnandogli un ruolo residuale, più o meno da ?pacca sulla spalla?. Oggi siamo davanti a una rivoluzione epocale: la società si sta riprendendo la sua parte di responsabilità, anche col volontariato. Dico di più: la salute non è un diritto, è un?opportunità. Un diritto devono essere la cura e l?assistenza del malato. E qui, una volta superata la fase acuta del male e assicurata al paziente una condizione accettabile di vita, devono entrare in funzione i soggetti che gli possano dare ogni supporto. Il ruolo del volontariato qui è essenziale, il paziente si sente, ed è, una persona al centro delle attenzioni terapeutiche, assistenziali, psicologiche”. Al punto che molti ex pazienti, tornati a prendere in mano interamente il timone della propria vita, diventano a loro volta volontari. è vero, e in che misura ? “è impossibile”, conclude Del Missier, “stilare percentuali, ma credo che ci siano, in numero importante. Ma il discorso è un altro. Credo che l?esperienza di una malattia seria faccia comprendere il vero senso della vita. Penso piuttosto che, anche senza passare da un?esperienza terribile, dovremmo accorgerci di quello che ci capita intorno. Non vorrei essere pessimista, ma il clima sociale che si respira, soprattutto per i modelli suggeriti dai media, spinge in tutt?altra direzione”.

VIDAS, ASSISTENZA CON UN PALMARE

“Coniuga alta tecnologia e bisogni profondi dell?uomo. è un esempio di come sfere tanto lontane possano incontrarsi in un reciproco e benefico attraversamento di funzioni e di valori”. Così Giovanna Cavazzoni, presidente di Vidas, l?associazione milanese che presta assistenza domiciliare gratuita ai malati inguaribili di cancro, il 4 novembre scorso ha presentato Ermes, un progetto all?avanguardia (in collaborazione con Siemens, Synapsis, Vodafone) per rispondere alle necessità delle persone in assistenza domiciliare. Come funziona? Gli operatori Vidas attivi nell?assistenza sono stati dotati di un palmare con un applicativo specifico per il percorso assistenziale domiciliare di cure palliative, da aggiornare in tempo reale e in loco, e immediatamente consultabile sia dai colleghi impegnati nelle cure allo stesso malato, sia in sede Vidas. Il palmare non elimina certo l?utilità del cellulare ma la integra. La cartella clinica informatica non elimina l?eventuale possibilità di avere, per la consultazione da parte del medico di medicina generale, copia cartacea stampata con una stampante portatile in dotazione. Ermes è nato dopo un anno e mezzo di analisi, approfondimenti e consultazioni, anche in ragione della costante estensione del servizio territoriale Vidas (fino a 50 chilometri da Milano). “Una delle sensazioni più significative che il paziente e la sua famiglia hanno bisogno di avvertire a domicilio, soprattutto per il concetto di sicurezza che racchiude, è il sentirsi quasi l?unica realtà di cui l?équipe curante si sta occupando”, spiega Daniela Cattaneo, direttore socio-sanitario Vidas e ideatrice del progetto. “Questo vissuto Vidas ha cercato di realizzarlo, costruendo attorno al malato una rete di risorse umane e strumentali tese a raggiungere l?obiettivo della qualità, pur restando al servizio della centralità del paziente e della sua famiglia”.

Benedetta Verrini


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