Questioni meridionali

Se il Terzo settore diventa motore di sviluppo del Mezzogiorno

Nel suo ultimo saggio “Il Terzo settore nel Mezzogiorno”, Guido Memo approfondisce e commenta con l’Istat i dati sul Terzo settore e le istituzioni non profit. «In questi ultimi anni da parte del Sud c’è stato un recupero sorprendente». Le imprese non profit e le organizzazioni di volontariato sono crescite negli ultimi anni. «Un dato positivo e di speranza»

di Emiliano Moccia

«Il Terzo settore può essere motore di sviluppo del Mezzogiorno. La lettura dei dati va legata ad una proposta politica che propende per una nuova versione di meridionalismo, dove tante energie democratiche di cittadinanza attiva sentono il bisogno di esprimersi, di emergere, mettendosi al passo di altre regioni, diventando una molla di innovazione del welfare e delle società. In questo caso, si tratta di un Sud che chiede risorse non perché è piagnone, ma per fare qualcosa di diverso. Se la questione meridionale oggi è raramente oggetto di dibattito culturale e politico, non vuole dire che sia scomparsa». Guido Memo è impegnato da molti anni nella promozione e nello studio del volontariato, della cittadinanza attiva, dell’economia solidale. Il suo ultimo lavoro è il saggio “Il Terzo settore nel Mezzogiorno” (Rubettino editore), libro in cui approfondisce e commenta i dati sul Terzo settore e le istituzioni non profit avvalendosi delle voci dell’équipe che in Istat cura le rilevazioni e studia questo mondo e del coinvolgimento di almeno una Università per ogni regione presa in esame. Memo ne ha parlato a Foggia in occasione di un incontro promosso dal settore Terza missione dell’Ateneo dauno.

Qual è il primo quadro che emerge dal vostro lavoro di ricerca?

In questo lavoro, con l’Istat abbiamo distinto il terzo settore dal non profit, per fornire i dati di volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative sociali. Se tra le imprese non profit costitute nel 1980 ne erano presenti nel Mezzogiorno il 17% di quelle italiane, tra quelle costituite successivamente questa quota va crescendo, fino ad arrivare al 35,5% tra il 2011-2015. Discorso analogo per le organizzazioni di volontariato: nel 1995, a distanza di quattro anni dalla promulgazione della legge quadro per il volontariato 266/91, le odv iscritte nel Mezzogiorno erano il 14,4% del totale, nel 2019 sono diventate il 24,7%, con una crescita relativa soprattutto delle regioni del Sud più che delle isole. Una crescita delle odv che si registra in tutta Italia, passando da 8343 iscritte a 36.568. ma la crescita delle odv nel Mezzogiorno è stata di sette volte, di due volte e mezzo al Nord e di oltre tre al centro.

Come giudica, quindi, lo stato di salute del Mezzogiorno?

La crescita delle cooperative nel Sud illustrata nel libro

Siamo rimasti un po’ sorpresi, perché contrariamente ai pregiudizi spesso presenti che il Terzo settore compensa una mancata presenza pubblica, in realtà abbiamo visto che è esattamente l’inverso. Nel senso, che la punta più alta del volontariato e di enti del Terzo settore ce l’abbiamo in quelle province autonome, come Trento e Bolzano, dove l’intervento a favore dei cittadini è il più alto d’Italia. Basti dire che la spesa sociale dei comuni in Calabria è di 20 euro a Bolzano è 540 euro. Questo dà già un’idea della differenza di servizi. Il Meridione su scuola, spesa sociale, sanità e tanto altro ha sempre presentato degli svantaggi. E nonostante questi svantaggi siano rimasti immutati in comparazione al Nord in questi ultimi 30 anni – a Sud il reddito, integrando anche interventi pubblici, è intorno al 65% di quello del Nord – c’è stato un recupero sorprendente. Perché oggi ci sono più cooperative sociali al Sud ogni mille abitanti che nel resto d’Italia. Sono più piccole e la loro crescita è autonoma.

Organizzazioni di volontariato iscritte dal 1995 al 2019. Il grafico del volume

Anche gli enti di volontariato dal 1995 hanno avuto una crescita di 7 volte. Insomma, si può dire che il Meridione nonostante gli svantaggi si è messo al passo. Vuol dire che c’erano delle energie democratiche, di partecipazione, che dovevano emergere e che si è riusciti ad organizzare. E’ un dato positivo, un dato di speranza. Questa sua crescita che è costante e in controtendenza rispetto al resto, ci fa pensare che se il proseguo è così può diventare un soggetto importante per lo sviluppo del Mezzogiorno, anche perché si tratta di un settore ad alta sensibilità sociale sui diritti dei cittadini.


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Quali sono le regioni un po’ più avanti rispetto alle altre?

Innanzitutto, ci sono regioni che essendo a statuto speciale hanno più risorse. Una di queste, la Sardegna usa bene queste risorse, ed ha una spesa sociale per abitante anche superiore alla media nazionale e non a caso ha un alto numero di cooperative sociali, di associazioni di volontariato e di aps. La regione che ha seguito di più la Sardegna, anche se negli ultimi anni non è più brillante come prima, è la Basilicata. La sua normativa sull’assistenza sociale ha funzionato anche un po’ da precursore sulla legge 328 grazie alla quale si fanno i piani di zona. Tradizionalmente queste sono le due regioni più avanzate. La Sardegna continua ad esserlo, la Basilicata ha avuto un appannamento negli ultimi anni. La terza più virtuosa è la Puglia che, se come dimensione della popolazione è la terza regione nel Mezzogiorno è prima per numero di enti del Terzo settore.

vita a sud

Quali sono i settori in cui il Terzo settore è più presente?

I servizi sociali e la sanità, ma bisogna tenere conto che quando parliamo di cooperative sono un numero molto più ridotto rispetto al rimanente numero degli enti del Terzo settore, che nella loro gran parte sono costituiti da associazioni di volontariato, aps, che sono quasi raddoppiate con la riforma, che apportano un gran numero di volontari. Questa rappresenta più la parte di cittadinanza attiva, che permette di fare innovazione; la cooperativa interviene, invece, quando l’ente è consapevole che quel bisogno c’è e dà un finanziamento. Ma chi fa emergere il bisogno è l’associazione di volontariato, che fa il primo passo verso l’innovazione, perché costa di meno e può permettersi di fare cose anche con scarsi finanziamenti pubblici. L’economia sociale è quindi rappresentata per la maggior parte dalle cooperative, ma la base da cui ci si muove è il mondo del volontariato e delle associazioni di promozione sociale.

Un momento della presentazione del saggio all’Università di Foggia

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