Emergenze
Tossicodipendenze: il modello Portogallo invidiato negli Usa
I leader politici portoghesi hanno risposto al problema delle overdosi letali allontanandosi dal modello statunitense della guerra alla droga e concentrando i fondi pubblici sull’assistenza sanitaria, sul trattamento e sulla formazione professionale. Un modello integrato nel sistema sanitario nazionale finanziato dai contribuenti, gratuito e di successo da 20 anni. Il problema è che con la pandemia manca personale sanitario e l'arrivo del fentanyl rischia di complicare le cose
di Paolo Manzo
In Portogallo, alla fine degli anni 1990, l’uno per cento della popolazione usava eroina, dalla classe alta ai poveri di Casal Ventoso. All’epoca questo quartiere di Lisbona era il più grande “supermercato della droga” d’Europa. Il Portogallo seguiva l’iter “made in Usa”, ovvero proibizione, punizione severa e criminalizzazione, ma il numero dei tossicodipendenti continuava ad aumentare.
Per dare una svolta, nel 2001 il possesso e l’uso di droghe nel Paese sono stati depenalizzati, con un’ampia riforma che ha impattato anche nel trattamento delle dipendenze. I risultati sono stati sorprendenti e, da allora, il Portogallo ha ridotto le morti per droga dell’80%, mentre negli Stati Uniti sono aumentate del 500%.
Certo, il fentanyl e gli altri oppioidi sintetici che negli ultimi 12 mesi hanno ucciso oltre 70mila persone in America a Lisbona stanno arrivando solo ora. Lo dimostrano, le prime segnalazioni da parte di familiari disperati. Ma il Portogallo in materia di droga continua ad essere un modello a Washington, come potete leggere in questa inchiesta di NPR.
Un po’ di storia
Nel 2000, il Portogallo ha approvato una legge (entrata in vigore l’anno dopo) che ha depenalizzato tutte le droghe, comprese eroina e cocaina. Il limite è rappresentato da dieci dosi giornaliere, ovvero 25 grammi di cannabis, dieci pillole di ecstasy, due grammi di cocaina o un grammo di eroina, a seconda di che cosa usa il tossicodipendente.
Sia chiaro, Lisbona non ha legalizzato ma ha rimosso le sanzioni penali per le quantità di possesso di droga fino ai limiti sopra menzionati. Ma, soprattutto, il Portogallo ha creato un sistema che spinge le persone a cercare aiuto. Del resto, chiarisce l’ideatore del modello, il presidente dell’istituto per le dipendenze lusitano João Goulão, «la depenalizzazione di per sé non significa nulla se non hai nient’altro da offrire».
«La depenalizzazione deve andare di pari passo con sufficienti offerte psicosociali e mediche come la consulenza e il trattamento delle dipendenze», conferma l’esperto di droga Onu, Martin Raithelhuber. Per Julian Somers, professore di psicologia clinica della Simon Fraser University, il modello del Portogallo è da ammirare perché enfatizza il «reinserimento sociale».
Il trattamento delle dipendenze
A Lisbona il Governo fornisce il trattamento, quasi sempre su base volontaria e per lo più gratuito. Inclusi i farmaci per attenuare la dipendenza da oppioidi, a cominciare dal metadone. Il programma a cui partecipano anche i parenti dei tossicodipendenti, i consigli di quartiere, la polizia, il ministero della Salute e gli uffici di distribuzione delle dosi per i consumatori, permette di identificare e censire i consumatori. Obiettivo è dare loro assistenza e, in caso di dipendenza grave con rischio di overdose, di ricoverarli in centri di riabilitazione, pubblici o privati.
I dati del Governo oggi mostrano che circa il 90% delle persone indirizzate alle sessioni di consulenza sulla droga alla polizia si presenta per la sessione iniziale. Nelle cosiddette commissioni di dissuasione si usano tecniche come il colloquio motivazionale. Se la persuasione su base volontaria fallisce possono essere imposti obblighi tra cui il servizio comunitario e sanzioni, come la revoca di una licenza professionale. L’ obiettivo è spingere con più forza verso il trattamento.
A cominciare dalla pandemia, tuttavia, il sistema lusitano sta presentando problemi. In particolare pesano la carenza di personale e liste d’attesa troppo lunghe. Per Goulão «i problemi della droga, dei comportamenti di dipendenza in generale, erano la priorità» a fine anni Novanta. All’epoca «l’enorme attenzione politica, gli investimenti e la facilitazione del reclutamento di professionisti per lavorare in quest’area portarono al successo». Oggi, tuttavia, «i responsabili si sono convinti che questo sia un ambito da controllare ma non più una priorità», continua il medico. Che denuncia: «L’impoverimento delle équipe operanti nel settore delle cure in molti casi sono completamente prive di risorse umane». Goulão garantisce però che l’ICAD, istituto pubblico nato il 1° gennaio 2024, «sta facendo tutto il possibile perché il primo aprile si rilancino politiche più efficaci per affrontare i problemi delle tossicodipendenze».
Credit foto pixabay
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