Sostenibilità
Repair Cafè, riparare gli oggetti per contrastare la cultura dello scarto
Tremila attività in tutto il mondo, 30 (per ora) in Italia: l'ultima a Saronno. Una formula itinerante che si sta estendendo sempre di più. Si ripara un po' di tutto, lavorando insieme
C’è l’aroma del caffè, ma prima di tutto c’è il gusto della riparazione di un oggetto non più funzionante, con benefici per economia domestica e ambiente. Le persone arrivano un po’ alla volta. C’è chi lo ha saputo dai social e porta una macchina del caffè danneggiata da tempo. Altri arrivano con una fornita cassetta degli attrezzi: la mettono a disposizione con le loro competenze. Sono scene da un “Repair Cafè”, luoghi dove è possibile dare nuova vita a ciò che si rompe, contrastando la cultura dello scarto, a sostegno del riuso. Si tratta di gruppi spontanei che con cadenza regolare o saltuaria lanciano un evento di riparazione, attraverso social e passaparola. Nel mondo ve ne sono più di 3mila. In Italia sono circa 30. L’ultimo è nato da pochi mesi a Saronno (Varese) e ha una formula itinerante, con l’idea di coinvolgere diversi quartieri. A crearlo Roberto Barin, da sempre impegnato per la sostenibilità ambientale. A lui si è affiancata l’associazione culturale “Il Tassello”, che ha messo a disposizione la propria sede per i primi incontri. In tre appuntamenti è nato un gruppo con sei riparatori.
I partecipanti possono portare piccoli elettrodomestici, sveglie, biciclette ma anche stampanti e pc malfunzionanti. Non c’è qualcuno che ripara per gli altri, lo si fa insieme. L’idea è quella del coinvolgimento diretto: ciascuno mette a disposizione le proprie competenze e chi non ne ha può apprendere. Un’attività di volontariato, dove si è ripagati dalla soddisfazione reciproca di rimettere in circolo prodotti ancora utilizzabili. Non sempre la riparazione riesce, ma ciò che si genera ha comunque valore, anche nella dinamica sociale di condivisione di tempo e conoscenze.
«Gli oggetti hanno un’obsolescenza sempre più rapida e programmata», sottolinea Barin. «Valutare la riparazione è pensare all’ambiente e al futuro. Senza contare la soddisfazione personale: spesso nei nostri incontri sentiamo all’improvviso un’esclamazione di gioia per un oggetto che torna in vita”.
La prima esperienza di Repair Cafè nasce in Olanda, una quindicina di anni fa. Un movimento che si è diffuso repentinamente, tanto da raccogliere gli aderenti in una fondazione. Oggi ci sono gruppi in 36 Paesi del mondo. In Italia i più longevi sono attivi da oltre una decina di anni. Molti sono diventati associazioni, altri organizzano veri e propri corsi di riparazione. A Perugia, dove il Repair Cafè è nato nel 2017 e fa riferimento all’associazione Coordinamento regionale Umbria Rifiuti Zero, oggi ci sono 11 riparatori e due organizzatori che portano gli eventi un po’ ovunque. Di recente ne è stato allestito uno all’aperto, sul Lago Trasimeno.
«Un anziano ci ha portato un vecchio televisore e siamo riusciti a farlo funzionare», spiega l’organizzatore Michele Giommini, 59 anni. «Per lui aveva un valore affettivo importante ed è stata una soddisfazione». Tra i riparatori umbri ci sono diversi pensionati ma anche giovani universitari. «A breve è in partenza un corso di riparazione sartoriale e ne stiamo programmando uno di piccole riparazioni», evidenzia Giommini. «A volte anche sistemare una presa di corrente fa la differenza. Gettiamo tante cose, ma il 70% potrebbe essere riparato. Il problema è che non ci si prova nemmeno, per mancanza di competenze e perché le dinamiche di consumo ci hanno portato a questo». A Perugia riparano anche la plastica. «Siamo stati contattati da un Repair Café della Nuova Zelanda per questo». Buone pratiche in circolo, che sono la vera essenza di tutti i gruppi informali che si rifanno alla politica “rifiuti zero” e promuovono il movimento Right to repair.
Ugo Vallauri è coordinatore della campagna europea per il diritto alla riparazione ed è anche co-director della Restart Project, impresa sociale nata nel 2012, cui molti Repair Cafè europei e italiani fanno oggi riferimento. «In Italia, a differenza di altri Paesi dell’Unione europea, il movimento si è sviluppato in modo autonomo e non è legato a un’unica associazione», spiega Vallauri. «Ogni Repair Cafè è a sé, anche se può fare riferimento al nostro coordinamento che riunisce organizzazioni in 20 Paesi».
Restart funziona da piattaforma online e raccoglie dati sulle attività di ogni gruppo per comunicare l’impatto che attività di questo genere hanno in termini di produzione di rifiuti e di CO2. Vallauri è in dialogo con le istituzioni europee per affermare sempre di più il diritto alla riparazione. «Oggi è fondamentale fermare la frustrazione dell’usa e getta. Usiamo i dati raccolti per capire quali siano i prodotti che le persone cercano maggiormente di riparare e premere sul legislatore per dire basta ai prezzi elevati dei pezzi di ricambio, design difficili da smontare e a un sistema che smette repentinamente di supportare il prodotto». Per Vallauri non basta però la buona volontà di gruppi non profit: serve un cambio di sistema in grado di ripensare la velocità di consumo degli oggetti. «I Repair Cafè sono una vetrina che ricorda a più persone che riparare è possibile ma il recupero deve essere supportato in diverse forme. In Austria, ad esempio, è attivo un bonus della riparazione. È importante il lavoro di rete, anche in Italia, perché la riparazione diventi normalità, accessibile e conveniente».
Credits: foto gentilmente concesse da Repair Cafè
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