Mondo

Drammatico rapporto Amnesty sul Congo

"L'attenzione internazionale deve tramutarsi in azione efficace per proteggere i diritti umani della popolazione dell'Ituri" ha dichiarato Irene Khan, Segretaria Generale di Amnesty International

di Benedetta Verrini

Il governo dell’Uganda deve riconoscere la propria parte di responsabilità per la enorme sofferenza umana e l’abuso dei diritti umani nella regione dell’Ituri, e deve adottare passi immediati per cessare il continuo sostegno ai gruppi armati e al saccheggio economico che alimenta le atrocità. Lo ha dichiarato Irene Khan, Segretaria Generale di Amnesty International, in occasione del lancio, oggi a Kampala, la capitale ugandese, del rapporto Repubblica Democratica del Congo: Ituri, necessità di protezione, sete di giustizia. “Negli ultimi anni una pletora di gruppi armati, finanziati e supportati dai governi di Kinshasa, Kampala e Kigali, hanno fomentato il conflitto inter-etnico nell’Ituri, mettendo una comunità contro l’altra e causando violenze di una brutalità inimmaginabile. L’Uganda resta un attore principale del conflitto in quella regione” ha dichiarato Khan. A maggio, nel capoluogo Bunia, i combattenti delle milizie hanno massacrato e mutilato intere famiglie, prendendo di mira particolarmente donne e bambine e utilizzando lo stupro come arma di guerra. L’impiego frequente e assai diffuso di bambine e bambini soldato è una significativa e tragica caratteristica di questo conflitto, che distrugge il loro futuro e li rende sia vittime che carnefici. Mentre nella capitale Kinshasa si sta perseguendo una logica di pace, nell’Ituri la guerra è ancora molto radicata. Il rapporto di Amnesty International fa la cronistoria dei massacri, degli stupri, degli abusi di massa e dell’esodo di migliaia di civili durante i primi nove mesi di quest’anno ad opera di vari gruppi armati e milizie. Centinaia di scuole, centri sanitari e servizi sociali sono stati distrutti; i villaggi sono stati saccheggiati, incendiati e rasi al suolo. Alcune delle peggiori atrocità commesse a Bunia hanno avuto luogo nelle settimane successive al rapido ritiro delle forze ugandesi in maggio e al fallimento della Monuc (la forza delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo) nel fornire protezione alla popolazione. Il rapporto di Amnesty International riconosce i tentativi fatti a Kinshasa per una soluzione politica, ma nota anche che la situazione dell’Ituri costituirà un test cruciale per capire che direzione prenderà il processo in corso. “Bunia è ancora divisa per etnie, la popolazione vive nella paura e gli sfollati sono impossibilitati a ritornare nelle proprie abitazioni. Massacri e altri abusi dei diritti umani continuano impunemente in altre parti dell’Ituri. Ma la forza multinazionale d’intervento rapido (‘Operazione Artemidè) guidata dalla Francia e il successivo dispiegamento della Monuc con un mandato rafforzato hanno portato qualche parvenza di sicurezza a Bunia” ha rilevato Irene Khan. “Se da un lato occorre sostenere questa nuova fase, dall’altro bisognerà occuparsi di molte altre necessità e farlo urgentemente. La Monuc deve accelerare il proprio dispiegamento al di fuori di Bunia, sorvegliare rigorosamente l’embargo sulle armi, velocizzare il processo di disarmo e smobilitazione – compreso quello dei bambini soldato – e contribuire a fondare un sistema di polizia adeguato. Il governo di transizione e i vari gruppi devono sostenere il lavoro della Commissione di pacificazione dell’Ituri per istituire un’amministrazione civile. Uganda e Ruanda devono interrompere il loro supporto ai gruppi armati”. Il rapporto accoglie con favore la decisione del pubblico ministero della Corte penale internazionale di occuparsi dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità commessi nell’Ituri. “Non ci sarà pace né riconciliazione nell’Ituri finché non ci sarà giustizia. L’impunità non dovrà prevalere in nome dell’unità nazionale. Il ciclo di brutali rappresaglie, attacchi e contrattacchi continuerà finché non verrà posta fine all’impunità per tutti gli abusi” ha aggiunto Irene Khan. “I procedimenti giudiziari da parte della Corte penale internazionale trasmetteranno un segnale importante ma ciò non sarà sufficiente: occorrerà prendere in considerazione anche altre misure a livello internazionale e dovrà essere data priorità all’istituzione di un efficace sistema di giustizia nazionale”. “Per anni l’Ituri ha costituito lo scenario di depredazioni, saccheggi e abusi di massa dei diritti umani, mentre il mondo restava a guardare in silenzio. Non si può permettere che ciò accada di nuovo: l’attenzione internazionale deve tramutarsi in azione efficace per proteggere i diritti umani della popolazione dell’Ituri” ha concluso Irene Khan. Cosa fare per l?Africa/Congo (09/07/2003) di Daniele Scaglione (Amnesty International) Il ricorso a un intervento armato è sempre il frutto di un fallimento e l?invio di una forza multinazionale europea nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc) non fa eccezione: la serie di errori che ha preceduto questa missione è impressionante. I governi occidentali, primo tra tutti quello francese, hanno sostenuto il dittatore Mobutu quando la grande nazione africana si chiamava ancora Zaire. La comunità internazionale non ha voluto prevenire il genocidio ruandese del 1994, lasciando avvenire i massacri sino a quando non furono interrotti dal Fronte Patriottico Ruandese, guidato dal tutsi Paul Kagame, che vinse la guerra civile compiendo decine di migliaia di crimini di guerra. Oltre un milione di hutu, temendo la rappresaglia dei tutsi, scapparono nello Zaire orientale. I genocidi ben presto presero il controllo dei campi profughi e degli aiuti che centinaia di organizzazioni non governative consegnavano direttamente nelle loro mani. Dopo aver chiesto inutilmente all?Onu di farsi carico del problema, il governo ruandese mise in piedi una coalizione guidata da Laurent Desiré Kabila che nel novembre del 1996 attaccò i campi profughi e nel maggio del 1997 ribaltò il regime di Mobutu. Ma si era concluso solo il primo atto. Una guerra contro i civili. La regione orientale della Rdc, oltre a essere particolarmente fertile, è una delle zone più ricche del mondo di materie prime. Molti furono attirati nel conflitto, definito con un efficace ossimoro la ?prima guerra mondiale africana?. Agli eserciti regolari di sette nazioni si sono affiancati vari gruppi di miliziani, in un gioco di alleanze variabili. Il numero di civili morti a causa delle violenze supera i 3 milioni, i profughi sono decine di milioni. Le Nazioni Unite cercarono di fare qualcosa prima nel novembre del 1996, dispiegando un piccolo gruppo di militari, poi nel luglio del 1999, dando vita alla missione di Caschi blu Monuc. Ma era davvero troppo poco. Secondo un rapporto presentato da alcune organizzazioni non governative il 19 giugno scorso, nella Rdc il 12% dei bambini non raggiunge il primo compleanno, 3 milioni non ricevono la minima istruzione, 400mila sono scappati dalle loro case, decine di migliaia sono stati reclutati a forza nei gruppi armati. Nella regione dell?Ituri ragazzini sono stati costretti ad assistere all?uccisione dei loro genitori a colpi di ascia, ragazzine sono state violentate di fronte alle loro famiglie, bambini sono stati obbligati a uccidere i loro parenti, infanti sono stati ammazzati nei letti d?ospedale. Tra le vittime vi sono anche 17 Caschi blu. Non intervenire ora per limitare le violenze contro i civili sarebbe l?ennesimo errore. Il 30 maggio il Consiglio di sicurezza ha permesso l?invio di una forza multinazionale che, coordinandosi con la Monuc, avrà il compito di «contribuire alla stabilizzazione e alla creazione di condizioni che permettano l?implementazione di aiuti umanitari, assicurare la funzionalità dell?aeroporto di Bunia, proteggere gli sfollati nei campi profughi e i civili in generale». Il 5 giugno seguente l?Unione europea, per la prima volta nella storia, ha risposto alla chiamata inviando un contingente guidato dalla Francia. I 1.500 militari europei saranno presenti a Bunia sino all?1 settembre. Avranno maggior libertà nell?uso della forza rispetto ai Caschi blu, ma riusciranno a fermare le violenze, cosa che, in un contesto meno ostile, faticano a fare le centinaia di migliaia di soldati occidentali inviati in Iraq? L?ambasciatore francese in Uganda ha spiegato che si interviene per consentire un corridoio umanitario, non certo per disarmare le milizie. Jean-Marie Guehenno, sottosegretario delle Nazioni Unite per le operazioni di peace keeping, è più ottimista: «Bunia è il cuore dell?Ituri e la consolidazione del processo politico in Bunia dovrebbe avere un positivo effetto in tutta la regione». A fine giugno i militari dispiegati sono solo 700 francesi. Hanno imposto la consegna delle armi e ottenuto rassicurazioni sullo sgombero dei miliziani insediati a Bunia. Sono riusciti a prendere il controllo dell?aeroporto e di alcuni punti strategici della città. Hanno già aperto il fuoco, uccidendo il 17 giugno due guerriglieri da cui erano stati attaccati. L?intervento armato era un atto doveroso già parecchio tempo fa. Ma sarà utile solo se, come ha affermato Guehenno, sarà davvero «un elemento della più ampia strategia internazionale per portare la pace nella Repubblica democratica del Congo». Il cambiamento radicale delle politiche estere dei Paesi più ricchi del mondo è indispensabile, ma segnali positivi se ne vedono pochi, e sui diritti umani non si va oltre le sempre più timide dichiarazioni di principio. Per ulteriori informazioni sulla crisi nella Repubblica Democratica del Congo: www.amnesty.it/crisi/drc/


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