Migranti

Ciad, in dieci mesi accolti 550mila profughi dal Sudan

«I ciadiani non smettono di accogliere il flusso ininterrotto di profughi che scappa dal conflitto in Sudan», racconta Olimpia Sermonti, dell’organizzazione Intersos. L’ong nel Paese ha costruito da zero un campo profughi nella provincia del Sila che può ospitare fino a 60mila persone

di Anna Spena

Sudan. Torniamo al 15 aprile del 2023. I due gruppi di membri del Consiglio di sovranità di transizione in Sudan entrano in guerra tra loro: da una parte l’esercito sudanese e dall’altra le Rapid Support Forces. Un golpe c’era già stato nel 2019, un secondo nel 2021. Le stime che fa l’Onu per provare a circoscrivere la crisi sudanese sono drammatiche: nel 2024, 24,8 milioni di persone – un abitante su due – avranno bisogno di aiuti umanitari. Quella del Sudan è una delle peggiori crisi umanitarie in atto. Già prima del 2023 nel Paese c’erano 3,8 milioni di sfollati interni, la maggior parte arrivava dalla provincia del Darfur. A fine gennaio 2024, oltre 1,7 milioni di persone ha attraversato il confine con l’Egitto, il Ciad e il Sudan del Sud. Paesi che però a loro volta stanno affrontando sfide umanitarie, climatiche e di sicurezza. E infatti oggi il Ciad è precipitato nel caos. Non si hanno ancora notizie esaustive ma sembrerebbe che Yaya Dillo, che guida il Partito socialista senza frontiere, abbia organizzato un attacco contro l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza dello Stato. I partiti dell’esercito fedeli al presidente Idriss Déby sono stati visti concentrarsi nel quartiere governativo, ma nelle strade della capitale N’Djamema, ci sarebbero stati scontri e morti. In Ciad il prossimo sei maggio si sarebbero dovute tenere le elezioni presidenziali.

Il Ciad e quel fiume di profughi

Olimpia Sermonti è la vicedirettrice regionale dell’organizzazione umanitaria Intersos per l’Africa orientale. E in Ciad ha ricoperto il ruolo di capo base per le province del Ouaddai e del Sila, ad est del Paese, al confine con il Sudan. «Nel 2023 sono sbarcate sulle coste italiane 158mila persone. E neanche tutte sono rimaste», riflette. Il collegamento con il Paese nel quale ha vissuto per mesi dopo l’inizio dell’ultimo conflitto è immediato. «In Ciad in due mesi di profughi ne sono arrivati 400mila. L’Italia è uno dei Paesi più ricchi e sviluppati del mondo, il Ciad uno dei più poveri», racconta. E poi ancora: «Nel 2023, il 42% della popolazione del Ciad viveva sotto la soglia di povertà, e dalla scorsa primavera ha visto letteralmente arrivare fiumi di persone che camminavano verso la frontiera, come un flusso ininterrotto». Oggi in Ciad vengono accolti oltre 550mila rifugiati sudanesi.


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La fame e le piogge

Piogge straordinarie, le più violente degli ultimi trent’anni, hanno colpito il Ciad dall’inizio di settembre del 2022 e hanno provocato l’esondazione del Chari e del Logone, i due fiumi che si incontrano nella capitale N’Djamena. «Intere aree della città», spiega Sermonti, «sono state sommerse dall’acqua, le case sono state spazzate via, 157mila persone, secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, sono state costrette a fuggire. Più di 1,3 milioni di persone sono state colpite dalle conseguenze delle piogge. E questo non ha fatto altro che peggiorare i già alti livelli di malnutrizione: qui oltre un milione di minori sono gravemente malnutriti». Secondo il Notre Dame Global Adaptation Index, il Ciad è il Paese più vulnerabile al mondo di fronte agli effetti dei cambiamenti climatici. 

Campo profughi di Zabout

I campi profughi

«La situazione è agghiacciante. Nella provincia del Ouaddai ci sono 200mila persone accampate senza neanche una latrina che aspettano di essere redistribuite. Ma non ci sono abbastanza campi profughi per tutti. Quella del Ouaddai è l’area più colpita perché lì c’è l’unica strada che collega il Sudan e il Ciad». Già prima dell’inizio dell’ultimo conflitto Intersos aveva sviluppato risposte di emergenza multisettoriali e assistenza alle persone vulnerabili nelle province del lago Ciad, N’Djamena e Chari Baguirmi. Ha garantito assistenza medica di base, in particolare nell’ambito della cura della malnutrizione e dell’assistenza alimentare. L’ong ha sostenuto i centri di accoglienza per persone sfollate intorno alla città di N’Djamena, a Toukra 1, Toukra 2 e Milezi. Sono stati costruiti pozzi, latrine e 320 ripari d’emergenza ed è stata riabilitata una scuola per ospitare decine di famiglie sfollate. 

Per rispondere a questa nuova emergenza: «Con fondi di Unhcr», spiega Sermonti, «abbiamo costruito, nella regione del Sila dove si trovano 100mila rifugiati, un campo profughi partendo da zero. Il campo Zabout è composto da 10mila unità abitative. Ogni shelter può ospitare sei persone e per ogni quattro strutture è stata prevista una latrina». Il campo nasce su 400 ettari di terreno. «Ettari di terreno», ci tiene a sottolineare la vicedirettrice regionale di Intersos, «che erano coltivati da gente che vive di quello che semina. Contadini che hanno detto “va bene, prendetevi il mio pezzo di terra”. Questo per sottolineare come davanti a una tragedia di queste dimensioni anche chi non aveva niente non si è tirato indietro». Intersos sta anche lavorando nel campo profughi di Kerfi, dove sta costruendo degli shelter aggiuntivi, 517 per il momento e in quello di Daguessa, dove ora si trovano i returnees. L’ong porta avanti attività di protezione, con spazi sicuri per donne e minori, agevola le riunificazioni familiari, gestisce dei casi di protezione dell’infanzia e assiste persone sopravvissute alla violenza di genere. 

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