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Iraq: la Cri resta per altri sei mesi
La Croce rossa italiana resta a Baghdad altri sei mesi. Il mandato scadeva a fine settembre, ''ma ci sono ancora molte cose da fare. dice Scelli, il commissario straordinario
di Paul Ricard
La Croce rossa italiana resta a Baghdad altri sei mesi. Il mandato scadeva a fine settembre, ”ma ci sono ancora molte cose da fare. Andremo via a marzo – dice Maurizio Scelli, il commissario straordinario della Cri – e speriamo, per allora, di aver portato a termine anche la formazione del personale sanitario iracheno”. In una Baghdad dove i morti e gli attentati sono ormai triste routine, i 50 uomini e donne della Croce rossa italiana continuano a svolgere il loro lavoro – 350 persone assistite di media ogni giorno – ”senza preoccupazioni”. La Croce rossa internazionale ha richiamato buona parte del suo personale: ”noi – ribatte Scelli – abbiamo avuto una reazione diversa”. ”I nostri operatori, i nostri volontari – spiega – ritengono che vestire questa casacca comporti anche mettere a rischio la propria vita. L’obiettivo principale e’ aiutare quelli che hanno bisogno, e quando arriva un bambino ustionato al 60 per cento, perche’ si e’ rovesciato addosso una tanica di benzina che il padre vendeva al mercato nero, non c’e’ nient’altro da pensare o da fare, se non dargli una mano. E’ pieno di persone disperate ed esasperate, che non possono contare su un sistema sanitario locale efficiente. Quindi, e’ Baghdad il nostro posto”. La Croce rossa italiana da alcune settimane si e’ trasferita da un ospedale da campo ad una struttura fissa, e quello e’ stato il momento in cui ha dovuto rinunciare alla protezione dei 30 carabinieri del reggimento Tuscania. ”Su questo punto – spiega Scelli – il comitato internazionale della Croce rossa e’ stato estremamente rigido. Non hanno mai visto di buon occhio che fossimo protetti da una forza armata, perche’ siamo un soggetto neutrale, secondo i principi di Ginevra nessuno ci puo’ toccare ed e’ sempre valido il detto che ‘non si spara sulla Croce rossa’. Tuttavia, quando siamo arrivati, all’indomani della fine delle ostilita’ ufficiali, la situazione era di caos totale: la citta’ veniva saccheggiata, la gente esasperata portava via tutto dagli ospedali, persino i barattolini con il virus del vaiolo”. In questa situazione, ”il nostro ospedale da campo, con strumenti di ogni tipo, anche di valore – prosegue Scelli – rischiava di durare mezz’ora. Per questo il Governo italiano ha disposto che venissimo in qualche modo protetti ed anche a Ginevra, dopo iniziali riserve, poi hanno capito. Alla fine abbiamo concordato che nel momento in cui avremmo tolto le tende, per spostarci un una struttura fissa, i carabinieri sarebbero stati utilizzati in un altro modo. E cosi’ e’ stato”. Ed ora chi vi protegge? ”I militari della coalizione internazionale – risponde Scelli – e i poliziotti iracheni contrattualizzati dagli americani. Abbiamo un minimo di protezione. Serve solo per assicurarci i trasferimenti dall’hotel Palestine, dove siamo alloggiati, fino all’ospedale”. Ma la Croce rossa italiana e’ un possibile obiettivo? Secondo il commissario straordinario, che a Baghdad e’ gia’ stato quattro volte, no. ”La sicurezza – afferma – e’ sempre un grosso punto interrogativo. La situazione e’ sotto gli occhi di tutti e quando ci sono sparatorie, esplosioni, tutti alziamo la guardia. Ma in ospedale lavorano anche 35 iracheni, tra medici ed infermieri, e la nostra attivita’ e’ tutta finalizzata ad assistere la gente del posto. Ora stiamo riallestendo le sale operatorie, i reparti, possiamo contare sulla collaborazione di equipe mediche dei principali ospedali italiani, come il Gaslini e il Rizzoli, e di importanti professionisti, come il prof. Lucarelli di Pesaro, esperto di trapianto di midollo osseo nei bambini. Mi chiedete se l’ospedale della Cri sia un possibile obiettivo: devo rispondere che non abbiamo mai avuto preoccupazioni di questo tipo”. Comunque, un po’ di rimpianto per i carabinieri del reggimento Tuscania alla Croce rossa ce l’hanno. ”E non solo perche’ hanno protetto il personale nel migliore dei modi, ma perche’ si sono dimostrati – dice Scelli – di una umanita’ unica. Dopo 6-7 ore di vigilanza, con la tensione a mille, si cambiavano e andavano ad imboccare i bambini nell’ospedale”. La missione della Cri, dunque, va avanti: ”C’e’ una estrema gratitudine nei confronti di questa operazione – conclude Scelli – da parte degli iracheni e una grande ammirazione da parte degli americani. Siamo soddisfatti del lavoro svolto. Ma non e’ ancora finito”.
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