Formazione

La Caritas celebra la giornata della salute mentale

L'associazione fa il punto: "sono ancora troppi i casi in cui al malato sono negate le cure" e ribadisce il "no" alla regionalizzazione della sanit

di Redazione

Molti volontari, cristiani, cittadini hanno capito che migliorare la qualità di vita dei malati di mente, degli ultimi significa migliorare la qualità di vita di ogni persona. Numerose Caritas locali hanno dato vita a forme diverse di condivisione. Si attivano in tutto il Paese, dopo essersi debitamente formate, per rendere le comunità parrocchiali, i quartieri, i luoghi del vivere quotidiano realmente accoglienti per tutti, senza distinzione; con una maggiore attenzione proprio a chi è più debole, a chi soffre in silenzio, a chi per una malattia, curabile, è tenuto spesso ai margini del vivere quotidiano. In quasi una Caritas su due è presente un’attenzione specifica a quanti soffrono per una malattia mentale. Dal Nord al Sud troviamo: parrocchie che offrono i propri spazi per attività diurne cui sono invitati a partecipare non solo i malati di mente ma l’intera cittadinanza, facilitando inclusione e arricchimento reciproco; gruppi parrocchiali che sono attenti ad includere al loro interno persone malate di mente; gruppi che hanno promosso, integrandosi personalmente, esperienze di auto aiuto. Nel ricordare tutte queste iniziative, proprio nella Giornata dedicata alla malattia mentale, ci piacerebbe finalmente che l’Italia dopo aver chiuso definitivamente i manicomi fosse ora un paese che è passato alla reale accoglienza e integrazione dei malati di mente. Purtroppo questo non possiamo dirlo. Per più motivi: molte delle attività di inclusione attivate dalle comunità cristiane, dovrebbero risultare aggiuntive a quanto offerto dal Servizio Sanitario Nazionale, in particolare dai Dipartimenti di Salute Mentale delle ASL come luoghi di cura. Troppo spesso ciò non avviene e molte sono ancora le situazioni in cui la cura al malato di mente è negata. Mancanza di strutture, di personale, personale non qualificato, risorse economiche non disponibili: i motivi sono molteplici, ma giustizia ed uguaglianza restano solo enunciati. Non possiamo fare a meno di affermare, insieme alla Conferenza Episcopale Italiana (Comunicato finale Consiglio Episcopale Permanente, settembre 2003), che “la stessa regionalizzazione della sanità porta con sé il rischio di una diminuzione di assistenza nelle zone economicamente più deboli”. Alla chiusura del Santa Maria della Pietà si disse: ?Roma, prima capitale senza manicomio?. Questo purtroppo non vuol dire Italia senza manicomio. Infatti nel nostro Paese ne sono rimasti 6, che ospitano 1.200 persone. Sono sconosciuti ai più e li chiamano Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Ufficialmente sono luoghi di cura in cui accogliere quanti tra i malati di mente hanno commesso dei reati. Di fatto sono carceri, dove oltre a scarseggiare il personale sanitario, quello specializzato nella riabilitazione, sono anche assenti quasi del tutto, con alcune eccezioni, farmaci e vitto. Se, sempre insieme alla Conferenza Episcopale Italiana, siamo pronti come cristiani a “sostenere il malato e la famiglia,…sensibilizzare le realtà parrocchiali alle problematiche di salute” ci sentiamo anche in dovere di richiamare chi di competenza ad agire secondo giustizia. Non possiamo, solo in nome di una maggiore sicurezza per i “cittadini sani” permettere che persone che hanno commesso reati che prevedono pene di sei mesi vivano reclusi per oltre 10 anni, solo perché hanno avuto la sfortuna di nascere magari in un territorio in cui i servizi sono pochi o non sono stati capaci di una presa in carico efficace. La comunità cristiana continuerà ad essere accogliente ed inclusiva, ma chiede alle istituzioni di non dimenticare nessun malato, perché la Giornata della Salute Mentale sia veramente per tutti.


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