Welfare culturale

Non servono biblioteche sociali, ma bibliotecari attenti alle comunità

«Basta parlare di spazi, quelli non cambiano, partiamo dalle competenze necessarie, perché da case di libri possano davvero diventare case della comunità». Per Ilaria D’Auria, esperta di filantropia e politiche culturali europee, il welfare culturale passa dai lunghi scaffali di libri, perlopiù dimenticati, delle aree interne

di Luca Iacovone

biblioteca di Moliterno

Lavora a Bruxelles da oltre 15 anni, è responsabile dei programmi tematici per Philea, Philanthropy Europe Association. Di recente ha seguito un progetto del programma Europe Challenge, rivolto alle biblioteche e alle loro comunità. Con Ilaria D’Auria abbiamo provato a capire cosa occorre alla fitta rete di biblioteche presente in Italia a diventare piattaforma viva di welfare culturale.

Mentre il sociale lamenta l’assenza di spazi, le grandi biblioteche cittadine sono ormai pressoché deserte. Quali opportunità reciproche potrebbero nascere tra questi due mondi?

Non tutte sono deserte, ci sono tantissimi esempi di biblioteche che hanno saputo interpretare il cambiamento della società aggiungendo nuovi servizi. Da chi offre aiuto a pagare le bollette, a chi organizza eventi culturali. Ci sono biblioteche che hanno integrato spazi in cui è possibile riparare gli oggetti di casa. Altre hanno capito che basta modificare gli orari: restano aperte anche negli orari notturni per intercettare gli adolescenti. Biblioteche che hanno deciso di specializzarsi puntando su nuovi lettori: ex-detenuti, rifugiati, persone queer. Purtroppo però molti di questi esempi sono ubicati nelle grandi capitali europee. 

Nelle aree interne, invece, l’opportunità unica e imprescindibile è che questi due mondi, quello delle biblioteche e quello del welfare culturale, diventino uno solo. Oggi più che mai diventa urgente porre le biblioteche come esempio di infrastruttura sociale, oltre che culturale, del territorio. Sono innanzitutto luoghi che, contrariamente ai bar o ai negozi, non mirano all’intrattenimento passivo o allo scambio commerciale, ma offrono delle occasioni per stare insieme e attivare processi per riflettere sulla comunità, sul futuro. 

Ilaria D’Auria alla presentazione del programma Europe Challenge

Le biblioteche potrebbero essere, quindi, veri e propri hub cittadini di welfare culturale?

La pandemia ha dimostrato quanto il welfare culturale non sia una nozione astratta. Abbiamo scoperto quanto impegnarsi in attività creative possa ridurre stress, ansia, disturbi dell’umore e in genere contribuire al nostro benessere mentale. Sappiamo inoltre che in mancanza di un’offerta sociale e culturale adeguata, le occasioni di incontro sono limitate e il rischio di isolamento con tutte le sue derive è proprio dietro l’angolo. Ma dai vuoti e dalle mancanze possono nascere grandi opportunità: in un piccolo paese, la biblioteca può riempire la mancanza di offerta di servizi sociali e culturali, promuovere il dialogo intergenerazionale, sostenere l’alfabetizzazione digitale o favorire l’integrazione di migranti. È quello che sta già accadendo in tante parti d’Europa e non solo.

Trovo che sia strano che non ci sia un tavolo di riflessione sulla funzione delle biblioteche nelle aree interne d’Italia. Mi sembra che questo tema sia un low hanging fruit che permetterebbe di rispondere a tanti bisogni sociali non corrisposti dai servizi pubblici. 

biblioteche che vorrei

Perché ancora non accade, da cosa bisogna partire?

Parliamo troppo di luoghi e spazi e troppo poco delle persone e delle competenze che occorrono. Si fa un gran parlare di biblioteche sociali, ma non è lì il punto. Occorre partire dalla figura del bibliotecario e non dallo spazio in sé. Bisogna dunque aprire un confronto sulla funzione sociale del bibliotecario e capire come le sue competenze oggi devono cambiare. A maggior ragione se si parla di aree interne.

Chi studia biblioteconomia oggi approfondisce i vari sistemi di classificazione, catalogazione, collocazione, distribuzione e conservazione delle opere raccolte nelle biblioteche, l’organizzazione e il funzionamento di queste e la legislazione relativa. Ma non basta! A queste competenze, ne vanno aggiunte altre che derivano dal riconoscimento della biblioteca quale presidio sociale, oltre che culturale, per una comunità. 

Esistono tantissimi esempi di biblioteche che hanno reinterpretato la propria funzione all’interno di una città o di un territorio, ma ancora non emerge una riflessione sulla trasformazione della figura del bibliotecario

Ilaria D’Auria


Il bibliotecario oggi deve essere anche capace di leggere, rispondere e, perché no, anticipare le nuove esigenze di una comunità. Lì dove non arriva la formazione universitaria, troppo incentrata sulle tecnologie che influenzano la catalogazione, ci sono le singole progettualità. 

Ci sono degli esempi a cui possiamo guardare?

Penso a due esempi europei che non riguardano singole biblioteche, ma mettono in evidenza come si possano attivare programmi e iniziative sul tema dell’innovazione del ruolo delle biblioteche e della figura del bibliotecario.

Lavoro da oltre 15 anni in quella che viene chiamata la “Brussels bubble”, ovvero la bolla di persone che operano in costante relazione con le istituzioni europee. Bruxelles rimane un posto affascinante in cui operano tantissimi professionisti che tentano di tradurre la varietà dei bisogni locali e di settore in istanze europee. Qui esiste anche una realtà che si occupa di biblioteche pubbliche: Public Libraries 2030. Il presupposto è che le biblioteche pubbliche consentono ai cittadini di creare un’Europa democratica, socialmente impegnata e digitalmente inclusiva. L’associazione intraprende progetti, costruisce reti di biblioteche pionieristiche e svolge attività di advocacy mirata a livello europeo a Bruxelles. Come tanti reti europee, Public Libraries collega ciò che chiama le “Lighthouse Libraries”, ovvero quelle biblioteche innovative che stanno trasformando le pratiche e le funzioni legate al settore e al contempo ambiscono a mettersi in rete per influenzare le politiche europee. 

Public Libraries parte da chi lavora nelle biblioteche e sviluppa progetti per dimostrare che le biblioteche sono il luogo ideale per aumentare la consapevolezza civica sulle principali sfide sociali. Sviluppare l’alfabetizzazione di base e le competenze digitali dei cittadini, promuovere la partecipazione civica e l’impegno dei cittadini. Sviluppano progetti europei che entrano nel merito della trasformazione digitale, ma indagano anche nuove pratiche legate alla sensibilizzazione dei giovani rispetto alle fake news o diventano luoghi di scambio per dibattiti sulla democrazia e il cambiamento climatico. 

Troppo spesso nelle reti europee le realtà marginali e remote sono poco rappresentate, eppure le aree interne possono essere banco di prova fondamentale per la riuscita di alcune progettualità

Ilaria D’Auria

Se si guarda la mappa delle “Lighthouse Libraries” si percepisce immediatamente lo squilibrio geografico, che è uno dei maggiori ostacoli della rappresentanza europea. Una prospettiva sarebbe quella di aprire un tavolo di confronto sulla mappatura e il coinvolgimento delle biblioteche nelle aree interne d’Europa. E qui ovviamente si apre la questione delle barriere linguistiche, del riconoscimento ufficiale di spazi “socchiusi” come biblioteche, di capacità di attivazione di referenti e rappresentanti in questa rete. 

Il secondo esempio?

È legato a una fondazione a cui sono profondamente legata per missione e impostazione: la European Cultural Foundation. È una realtà unica in Europa: nasce nel 1954 a Ginevra e vanta tra i suoi fondatori il filosofo svizzero Denis de Rougemont, l’architetto della Comunità europea Robert Schuman e il principe Bernhard dei Paesi Bassi. Tutti credevano appassionatamente nella cultura come ingrediente vitale per la ricostruzione e la guarigione dell’Europa nel dopoguerra.

Da quel giorno, la fondazione investe in iniziative che promuovono il “sentimento europeo” attraverso programmi e iniziative che spaziano dalla democrazia al cambiamento climatico. Sostengono una serie di iniziative che riguardano le biblioteche. Vorrei evidenziare il programma Europe Challenge, un programma annuale rivolto alle biblioteche e alle loro comunità per progettare, testare e fornire soluzioni ai problemi locali che possano portare benefici a tutta l’Europa. Avendo beneficiato di questo programma, posso solo evidenziare quanto la seconda edizione avesse incluso per la prima volta delle biblioteche nelle aree remote d’Europa rendendole protagoniste di sfide legate alla coesione sociale. 

L’importanza di queste iniziative europee sta nel mettere in rete realtà che molto spesso soffrono di solitudine e di isolamento. Ritrovarsi con altri soggetti che hanno aperto e mantengono un servizio, che dovrebbe essere pubblico, attraverso il volontariato nelle aree remote della Spagna, per esempio, ci ha permesso di capire quanto le sfide locali siano in realtà sfide europee e che non eravamo soli.

Ilaria D’Auria coinvolta nelle attività del progetto Ci sarà una volta

Le foto che compaiono in questo articolo sono di inMateria APS, di cui Ilaria D’Auria è presidente

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