Cultura

Corea del Nord, i cristiani rischiano ancora la pena di morte

E intanto dopo le prime aperture del regime i missionari si avviano verso Pyongyang

di Gabriella Meroni

Parallelamente alle prime, timide aperture del ”regno eremita” verso il mondo esterno, si intensificano le attivita’ dei gruppi cristiani sudcoreani per fare proseliti al Nord, o quanto meno per cercare di fare uscire dalla clandestinita’ i nordcoreani gia’ convertiti al cristianesimo. ”Vogliamo fare il possibile per tentare di entrare in Corea del Nord – dice il reverendo Josep Park, direttore del Consiglio cristiano coreano di Seul – Aiuteremo coloro che scappano, manderemo missionari e aiuteremo chiunque a mandare il messaggio di Dio”. Cosi’, scrive il ”Washington Post”, tra pacchi di aiuti alimentari destinati alla popolazione affamata del ”regno eremita” si trova anche qualche Bibbia, debitamente nascosta per evitare che venga trovata dalle autorita’ nordcoreane. Infatti, nonostante la politica ufficiale sia di tolleranza nei confronti delle attivita’ religiose, a Pyongyang si rischia ancora la pena di morte, perche’ ”credere in Dio piuttosto che in Kim Il Sung e’ il piu’ grande dei peccati agli occhi” delle autorita’ comuniste. Secondo il rapporto del 1999 del dipartimento di Stato americano sulla liberta’ religiosa nel mondo, in Corea del Nord ”non esiste una reale liberta’ religiosa”. Prima della guerra di Corea del 1950-53, nella parte settentrionale del Paese si trovavano circa tremila chiese, sigillate subito dopo l’avvento al potere di Kim Il Sung. Le ultime stime parlano di una popolazione cristiana in Corea del Nord compresa tra le 10mila e le 300mila unita’, su un totale di 22 milioni di abitanti.


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