Mondo

Il vescovo. L’ho conosciuta così. Annalena, quella senza valigia

"Tutte le sue cose stavano in un sacchetto di plastica". Dal Sudan parla monsignor Cesare Mazzolari.

di Emanuela Citterio

Gli altri avevano le valigie, lei solo un sacchetto di plastica”. La ricorda così monsignor Cesare Mazzolari, comboniano, vescovo di Rumbek in Sud Sudan. “Ho incontrato Annalena Tonelli per la prima volta quattro anni fa. Era arrivata in Sudan con altre persone dell?Oms e mi aveva subito colpito. Era una donna di grande sapienza professionale e di nessuna apparenza”. Raggiungiamo monsignor Mazzolari al telefono. Gli basta sentire il nome di Annalena per lasciarsi andare ai ricordi. “La conoscevo bene. Sapevo che era minacciata di morte. E lo sapeva anche lei. Si era dedicata ai poveri totalmente, e lo faceva a suo rischio. Aveva il coraggio di difendere la vita degli altri”. Vita: Annalena Tonelli era una donna di pace. Eppure sono in molti a credere che la sua sia stata una vera e propria esecuzione… Cesare Mazzolari: So di certo che la Somalia è un Paese difficile, in cui basta che qualcuno si senta offeso per diventare oggetto di una vendetta. Annalena lottava contro tutto ciò che distrugge l?essere umano, dalle malattie alle pratiche che ledono la dignità della persona, come l?infibulazione. Aveva il coraggio di denunciare, e questo dava fastidio a molti. Vita: È la vittoria dei fondamentalisti? Mazzolari: È stata una scossa tremenda per tutte le persone che hanno accettato di essere in questi Paesi a servizio degli altri. Annalena si era immedesimata con il popolo somalo, prendendo partito per i più deboli. Da sempre una posizione scomoda, che è costata la vita a Romero, a Martin Luther King, a gente come lei, allo sbaraglio per scelta di vita. Nonostante ciò, non credo che questa sia la vittoria del fondamentalismo. Annalena era così conosciuta e amata in Somalia che i dirigenti politici sanno che approvare un atto simile sarebbe fatale per loro stessi. Aveva ottenuto l?ammirazione e l?amicizia anche di responsabili di comunità islamiche, che hanno subito condannato la sua uccisione. Vita: In tutto il Sudan la libertà religiosa è fortemente limitata. Non teme per la sua vita e per i suoi collaboratori? Mazzolari: Attualmente non siamo sottoposti a un pericolo immediato. Sono in corso i colloqui di pace fra il governo di Karthoum e i ribelli dell?Esercito di liberazione popolare del Sudan (Spla), e dopo un ventennio ininterrotto di guerra civile sembra ci siano buone possibilità per un accordo. Per quanto riguarda la Chiesa, anche se l?esercito ha smesso di bombardarci, la nostra presenza resta mal tollerata. Il fondamentalismo è forte, e con i fondamentalisti è quasi impossibile dialogare. Si rifiutano di parlare. Ci considerano una spina nel fianco. Se potessero distruggere la nostra presenza in Sudan senza conseguenze sul piano internazionale lo farebbero subito. Vita: Cosa si può fare per proteggere chi ha scelto di vivere in Sudan? Mazzolari: Prima di tutto rendere il mondo conscio di ciò che succede. Ogni giorno i giornali danno conto dei morti in Iraq. Ma in Sudan è in atto un genocidio continuo, le persone muoiono a decine senza che il mondo ne sappia nulla. La comunità internazionale troppe volte sta in silenzio. Lo ha fatto anche quando sono state usate le armi chimiche in Sudan, quando sono stati bombardati gli ospedali. È mancata una denuncia chiara.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA