Non profit

Non prendiamo in giro la famiglia

L'editoriale di Giuseppe Frangi sulla ritrovata importanza attribuita al nucleo familiare.

di Giuseppe Frangi

Alcune sere fa, su Radio24 nel corso della trasmissione condotta da Beppe Severgnini, le persone erano chiamate a rispondere alla domanda nient?affatto banale: “cosa c?è di poetico nella tua vita”. Domanda che si prestava alle risposte ovviamente più esotiche e straordinarie. Invece, a sorpresa, abbiamo ascoltato un plebiscito per la risposta più normale (ma nient?affatto scontata): il momento più poetico della nostra vita è la sera quando si torna a casa. Voglia di tenerezza? Può essere. Neo sentimentalismo? Non scartiamo l?ipotesi. Ma qui vorremmo azzardare una lettura diversa: è voglia di famiglia. Una voglia inascoltata. è una storia travagliata quella della famiglia in questo nostro Paese. Per secoli è stato un dogma sociale, un luogo intoccabile e inscalfibile. Poi nel giro di pochi decenni ha dovuto subire attacchi da tutti i fronti. Dal fronte ideologico, da parte di un radicalismo un po? miope e molto chic; dal fronte dei conflitti generazionali, che prima l?hanno lacerata e poi ne hanno svuotato i ruoli (il padre ridotto ad amico); dal fronte economico: nessun aiuto, nessuna fiducia. La famiglia era sempre il centro, il vacillante sostegno su cui tutte le altre costruzioni sociali poggiavano. Ma nessuno le faceva credito. Nessuno investiva una lira su di lei. Così le case, con il passare degli anni si sono riempite di paure e si sono svuotate di figli. L?Italia, Paese cattolico, ha raggiunto il record negativo di prolificità in Europa, con medie che, se non fossero compensate dai flussi immigratori, ci porterebbero dritti all?estinzione. Quando ci si è accorti del disastro che per ostilità o anche per inerzia era stato combinato, si è iniziato a correre ai ripari. Ma invece di passare ai fatti, l?Italia si è autoassolta riconsiderando la famiglia come ?valore?. Tutti se ne sono riempiti la bocca, ognuno a suo modo le ha restituito la considerazione perduta. Ma un valore non vale niente, se dalle categorie morali non derivano poi conseguenze materiali. E queste purtroppo sono rimaste lettera morta. Il Paese in cui non c?è politico o intellettuale (e naturalmente vescovo) che non difenda il valore della famiglia, è il Paese che, come ha denunciato Gigi Bobba, le dedica il 3,8% della spesa sociale, contro l?8,2% della spesa europea. Una percentuale che non verrà variata di molto dal malinconico provvedimento varato dalla Finanziaria di Berlusconi, che devolve un?una tantum a quanti nel giro dei prossimi venti mesi metteranno al mondo un secondo figlio (senza differenza di reddito). Per carità di patria, è meglio non fare paragoni con la Francia, cui, inizialmente, il governo disse di ispirarsi. Là c?è una politica strutturale che nel giro di un decennio ha ribaltato il trend demografico e che dal gennaio 2004 prevede nuove misure, le Prestations d?accueil du jeune enfant (alcune misure: incentivo alla nascita di 800 euro; 160 euro mensili sino al terzo anno di età, ovviamente a seconda del reddito). Perché la famiglia può diventare dispensatrice di valori, se prima tornerà a essere cellula sociale viva, generatrice di saperi, di ricchezza e di legami sociali. Smettiamo di considerarla come uno scrigno intristito dove conservare i resti di una società smarrita. La famiglia è un nucleo di imprenditorialità sociale: e se non viene messa in condizione di esercitare questa sua naturale funzione, continueremo a piangere sulla sua agonia.


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